Il Complesso monumentale di Santa Maria della Pace si trova lungo via Tribunali e fu realizzato nel 1587 dove esisteva il quattrocentesco palazzo nobiliare di Ser Gianni Caracciolo, gran Siniscalco del Regno e amante della Regina Giovanna II.
L’immobile fu acquistato nel 1587 dai frati Ospedalieri dell’Ordine di San Giovanni di Dio, detti Fatebenefratelli che lo attrezzarono ad ospedale.
Il Complesso comprende l’ insieme della chiesa di Santa Maria della Pace , e dell’Ospedale dei Frati Ospedalieri di San Giovanni di Dio con annesso ” lazzaretto ” .
Nel corso del XVII e del XVIII infatti in questo posto nel cuore di Napoli , nei pressi di Castel Capuano, venivano accolti e curati lebbrosi e appestati della città.
Il palazzo venne adattato ad ospedale e a piccola chiesa che venne dedicata a Santa Maria della Pace, in ricordo della fine delle ostilità tra Filippo IV re di Spagna e Luigi XIV re di Francia.
L’Ospedale ,chiamato dei Frati Ospedalieri di San Giovanni di Dio meglio conosciuto come l’ex ospedale della Pace ha cessato la sua attivita’ nel 1970 per divenire edificio storico tutelato dalla Sovrintendenza dei Beni ambientali .
La struttura dell’antico palazzo è ancora visibile nel portale d’ingresso, costituito da un grande arco in stile gotico fiorito.
Il complesso monumentale si sviluppa intorno a due chiostri realizzati a quota diversa per le esigenze della pendenza del sito.
Nel complesso si possono visitare la Sala del Lazzaretto e la menzionata Chiesa dedicata a Santa Maria della Pace ( chiamata così perché la Vergine potesse concedere la pace a tutti i cristiani )
La Chiesa fu iniziata nel 1629 su progetto di Pietro de Marino ed ultimata nel 1659. La struttura architettonica è a croce latina. La pianta interna è a navata unica, con tre cappelle per lato, transetto e abside rettangolare.Il pavimento è in piastrelle maiolicate e cotto è opera di Donato Massa su disegno di Domenico Antonio Vaccaro. L’abside è stato realizzato da Nicola Tagliacozzo Canale.
Sul lato sinistro della chiesa si apre un portale a tutto sesto, databile intorno ai primi anni del XV secolo, appartenuto al Palazzo Caracciolo, che dà accesso ai chiostri dell’ospedale e del convento: dal primo, seicentesco, si passa al secondo chiostro, costruito nella seconda metà del XVIII secolo, che ha come particolarità quella di presentare il piano ad un livello inferiore a quello dell’ambulacro che gira sotto il suo porticato. Nel passaggio tra i due chiostri è collocata una  iscrizione murata che dice: DIO M’ARASSA/DA INVIDIA CANINA/DA MALI VICINI, ET/DA BUGIA D’HOMO DA BENE ( “Dio m’arrassa da invidia canina, da mali vicini et da bugia di uomo dabene”). Secondo Benedetto Croce si tratterebbe della testimonianza di un ricco quanto malcapitato uomo che viveva in via San Nicola dei Caserti ( nel quartiere di  Forcella ) ,  che non riuscì a difendersi dalle calunnie di alcuni nemici che lo accusavano di omicidio . Egli ,  condannato a morte sulla base di una falsa testimonianza dettata da un moto di invidia di un vicino , per vendicarsi ,  prima di essere portato al patibolo lasciò i suoi beni ai frati dell’ ospedale in cambio di quella lapide -denuncia perpetua da lasciare in eterno nel luogo dove egi abitava  , in via S, Nicola dei Caserti , nel quartiere Forcella . La lapide fu poi spostata all’interno dell’Ospedale della Pace nel 1889 nell’ambito dei lavori per il Risanamento di Napoli ma, i frati , per rispettare l’impegno preso con il poveretto nel XVI secolo,  decisero di posizionare  nel posto originale , una copia della lapide  che ancora oggi esiste .
Nel 1732, la chiesa venne restaurata da Domenico Antonio Vaccaro a causa dei danni dovuti al terremoto.
La Sala del “Lazzaretto”, luogo di morte e disperazione della Napoli dei secoli passati e’ così definita proprio per la tipologia di malati che un tempo ospitava .
L’ampio salone misura 60 metri di lunghezza per 10 metri di larghezza ed è alto 12 metri.
Vi si accede da uno scalone il cui ingresso è sulla sinistra del vestibolo.
Il nome evoca scenari di dolore e sofferenza : E’ detta del Lazzaretto perché si accoglievano in questa Sala i lebbrosi e all’occorrenza gli appestati della citta’ .
Il posto racconta una storia di tristezza e di forte disagio sociale ; lo rivela ancora oggi il ballatoio che corre a meta’ altezza lungo le pareti dello stanzone: una sorta di balconata sospesa a mezza altezza da cui medici e inservienti “calavano” cibo e bevande agli infetti senza venire in contatto con loro, in modo da evitare il contagio.
L’assistenza al piano terra era assicurata da medici e infermieri che si proteggevano dalle malattie indossando una maschera con un lungo naso adunco, che conteneva erbe e sostanze le quali si pensava filtrassero l’aria infetta.
Sullo sfondo , nella parte terminale , è ancora possibile ammirare un pregevole altare di marmo (del XVIII secolo), che separava la Sala dalla zona retrostante che un tempo era destinata a gabinetto medico.
La volta e la zona delle finestre spiccano anche per i pregevoli affreschi (raffiguranti la Vergine Maria e i Santi dell’Ordine di San Giovanni di Dio) di Andrea Viola e Giacinto Diano . Un grande salone con un ciclo di affreschi bellissimi , ricco di storia : tutto questo laddove, fino agli anni Settanta del Novecento, erano collocati i letti per i degenti.

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