L’Unico monastero dell’ordine benedettino a Napoli, attualmente sede dell’archivio di stato , fu fondato sull’altura di monterone nell’area dell’antico Sedile di Porto  e si articola in quattro chiostri e due chiese: una dedicata ai due santi e l’altra rappresentata dalla chiesa inferiore (oggi non visitabile).

La costruzione dell’attuale complesso risale al X secolo , quando i frati Benedettini , temendo le continue razzie dei saraceni , decisero di abbandonare la precedente sede sulla collina di Pizzofalcone ritenuta più accessibile e pericolosa , per trasferirisi in città alla ricerca di una più protetta e sicura nuova sede.

L’origine del monastero risale quindi con precisione all’846 d.C. quando qui venne fondata una chiesa per accogliere le spoglie di San Severino e S. Sossio. Inizialmente vi furono portate nel 902 le sole reliquie di San Severino  e due anni dopo anche quelle di San Sossio che furono ritrovate dagli stessi monaci benedettini mentre cercavano materiale di spoglio per la costruzione della loro chiesa.

I monaci  infatti mentre erano tutti impegnati in giro alla ricerca di materiale da recuperare per pura  provvidenza trovarono  tra i ruderi del castello di Miseno,  anche le ossa del santo martire Sossio (fu decapitato con suo cugino San Gennaro a Pozzuoli, durante le persecuzioni cristiane volute dall’imperatore romano Diocleziano).

La chiesa  fondata nel X sec dai Benedettini subì poi un rifacimento nel 1490  per conto di Giovanni Donadio detto il Mormando, che segnò le basi per quella che sarebbe stata la moderna chiesa poi  ultimata il secolo seguente dal suo allievo  Giovanni Francesco di Palma. I terremoti del 1688 e 1731 fecero sì che l’architetto Giovan Battista Nauclerio (uno dei maggiori architetti che operarono tra ‘600 e ‘700),  si prendesse cura della stabilità della chiesa. A questi è infatti attribuibile la ristrutturazione della volta e della parete superiore.

Il risultato di tutto questo fu il sorgere di un fabbricato imponente che rappresentò per lungo tempo essere uno dei monasteri più grandi di tutta Napoli .I monaci benedettini nel loro trasferimento da Castel dell’Ovo , portarono nel loro nuovo edificio non solo le reliquie di San Severino ma anche alcuni libri della loro biblioteca tra cui diversi che trattavano della sapienza magico-iniziatica del mondo antico.

 

 

 

 

 

 

La prima cosa quando entri in questa meravigliosa chiesa che uno può fare è solo quella di stropicciarsi gli occhi per l’incredibile bellezza del suo interno . Una cosa fantastica !!! La prima reazione che hai è quella di rimanere  a bocca aperta … quasi ti manca l’aria …

La seconda reazione è invece quella di infinita tristezza . Quasi ti viene da piangere per l’incuria e l’abbandono in cui versa . Una vera e propria vergogna ! Il vero fallimento di tutte le nostre istituzioni che dovrebbero preservare i beni di Napoli per il solo interesse di tutelare la bellezza della nostra città , si vede nella gestione di questa chiesa . Degrado ed abbandono regnano sovrani .

Il suo fantastico pavimento MAI DOVREBBE ESSERE CALPESTATO !Ed invece … viene lasciato senza protezione al calpestio di chiunque …

Questo magnifico pavimento della navata , realizzato in opus sectile , risale al XVI secolo ed è stato realizzato con marmi pregiati accostati a marmi antichi provenienti dal reimpiego di materiali di epoca romana . Per farvi capire l’importanza di questo pavimento basta solo citare il vasto numero della intera gamma cromatica di marmi presenti : Alabastro , Broccatello di Spagna , giallo di Siena , Libeccio, Africano , Breccia corallina , Fior di pesco , giallo antico , portasanta e verde antico .

L’ultima volta che ho avuto il piacere di visitarla ( anche questo è difficile fare perchè è quasi sempre chiusa ) non vi nascondo che non sono riuscito a nascondere delle lacrime … non si può lascaiare andare così un’opera d’arte come questa  . I suoi addetti alla gestione dovrebbero essere condannati per reato contro il patrimonio culturale”, che avviene  non solo nei confronti della nostra città ma della intera Nazione  e del mondo intero .

Questi signori stanno creando un danno all’intera umanità.

La chiesa, certamente una delle più belle di Napoli ( se non addirittura la più bella )  nel suo interno mostra una pianta a croce latina ad unica navata  con abside rettangolare  e soffitto a volte.  Sono presenti  sette meravigliose cappelle per lato più quelle del transetto ed un prezioso pavimento marmoreo del 500 (vennero impiegati marmi di 14 provenienze diverse dalla Spagna alla Turchia) che  ospita numerose lastre sepolcrali, tra le quali quella di Belisario Corenzio che morì propri in questo luogo, all’età di 80 anni, cadendo dai ponteggi mentre realizzava gli affreschi della volta. I bellissimi affreschi della volta, furono purtroppo andati perduti a causa del terremoto del 1731.

Belisario Corenzio oltre a lasciarci la vita ci ha lasciato nella chiesa anche delle bellissime opere come la Trinità, sulla volta del transetto,  le Storie del Vecchio Testamento e dell’ordine benedettino, sulla volta e sulle pareti dell’abside, e l’ascensione, sulla volta del transetto destro.

 

 

 

Il ciclo di affreschi sulla volta (in sostituzione di quelli del Corenzio andati distrutti) sono dell’artista Francesco De Mura che ha pure dipinto il bel “Convito in casa del fariseo “, posto all’ingresso principale. L’artista con il suo modo di dipingere portò a Napoli il nuovo gusto Rococò (stile ornamentale di origine francese che corrisponde alla fase finale del Barocco caratterizzato da sfarzo ed eleganza).

 

 

 

 

 

 

 

La  bellissima cupola  presenta un ciclo del pittore fiammingo Paul Schepers eseguito nel 1566.

L’altare maggiore e la balaustra sono opere di Cosimo Fanzago che vennero poi successivamente  rimaneggiate  da Giacomo Mazzotti.

 

Tra il 1560 e il 1570 fu eseguito, sul retro dell’altare maggiore, un elaboratissimo coro ligneo  in noce progettato da Benvenuto Tortelli e Bartolomeo Chiarini che  in breve tempo  divenne un vero e proprio modello per gli intagliatori di legno di fine Cinquecento. Imponente sull’opera si staglia il monumentale organo in legno e cartapesta  del secolo XVIII.

 

 

 

 

 

 

 

Nel transetto sinistro,  notiamo il sepolcro di Vincenzo Carafa di Michelangelo Naccherino.

Tra le cappelle si distingue per pregio la cappella Medici di Gragnano dove troviamo   il sepolcro di  Camillo de’ Medici, realizzato dallo scultore napoletano Girolamo D’Auria.

Nella zona dell’abside si ricordano la cappella Sanseverino e quella di Girolamo Gesualdo.

Nella cappella Sanseverino possiamo vedere i tre sepolcri che la nobildonna Ippolita De Monti, moglie del nobile Ugo Sanseverino  fece realizzare da Giovanni Merliano da Nola per i suoi figli nel 1539.

I  tre giovani figli  furono vittima di un atroce delitto operato da Girolamo, fratello di Ugo, aiutato dalla moglie Sancia Dentice, che  fece avvelenare i tre figli maschi di Ippolita, per carpirne l’eredità. Giovanni da Nola rappresenta  i giovani, seduti e con un libro tra le mani.

Ippolita, distrutta dal dolore e desiderosa di vendetta, chiese giustizia nei confronti di Girolamo per il suo crimine. Tuttavia, per mancanza di prove, i due assassini ebbero solo pochi anni di carcere. Ippolita ,allora amareggiata,delusa e colma di  odio nei confronti di tutta la famiglia dei Sanseverino lasciò il marito tra i suoi giochi di potere, e si ritirò nel monastero di San Gaudioso.

Sul monumento funebre di Andrea Bonifacio, il figlio  morto a soli sei anni, i genitori chiamarono un poeta e uno scultore per onorare la sua memoria. L’autore dell’epitaffio fu l’umanista e poeta Jacopo Sannazzaro, mentre  ad eseguire l’opera fu lo spagnolo Bartolomé Ordoñez, che fece una scultura di grande qualità destinata a diventare un modello per tutti gli scultori napoletani del Cinquecento.

Il fanciullo Andrea, sorretto da due puttini piangenti, giace senza vita all’interno di un sepolcro che ricorda più uno scrigno.

Un corridoio del XV sec., dall’antisagrestia conduce alla chiesa Inferiore rinascimentale curata da G. F. Mormando nella quale sono presenti numerose tombe del ‘500.

Nelle varie cappelle della  chiesa , ed esttamente in 5 cappelle , ci sono anche molte opere di Marco Pino ( allievo di Domenico Beccafumi ) , pittore veloce , versatile e dalla  felice vena narrativa  a cui molti committenti dell’eopca si rivolsero per poter erigere nella chiesa una cappella familiare in cui far mostra della propria pietà religiosa ma sopratutto della nuova posizione sociale raggiunta .

Marco Pino , collaborò co il suo maestro agli affreschi bellissimi dell’ abside del Duomo di Siena . Egli dopo un soggiorno in cui maturò una profonda esperienza nell’arte dell’affresco , si trasferì a Napoli dove ebbe modo di mostrare veramente tutto il suo valore . Nella nostra città egli fu accolto con grandi onori e trovò fama e gloria . Quì divenne in poco tempo , il dominatore della scena artistica meridionale sopratutto dopo l’ affresco della grande pala dell’altare  , ritenuta dalla chiesa ufficiale cattolica come una delle opere maggiormente adatte alla comunicazione in un periodo in cui il cattolicesimo era scosso dai venti eretici della riforma protestante .

Da allora , fu il caposcuola riconosciuto per molti degli artisti napoletani dell’epoca ed un artista molto richiesto da vari  committenti. Assai fertile , produttivo e veloce , continuò a lavorare senza sosta fino alla morte pur di accontentare in numero enorme di commitenti che richiedevano una sua opera. In età avanzata , storpio ,ed  in pessime condizioni di salute ,egli continuava a non rinunciare ad accontentare alti prelati , aristocratici,  e ricche famiglie . Si racconta che addirittura pur di continuare a dipingere si facesse issare dentro una cesta lungo le gigantesche assi delle grandi travi montate nella chiesa .

La bellisima sacrestia mostra la volta e le pareti con affreschi di Onofrio De Lione , allievo di Belisario Corenzio . Il ciclo deghli affreschi è ispirato al Vecchio Testamento e mostra la battaglia di Sennacherib, il convito di Baldassare , il rapimento dei vasi sacri dal Tempio di Gerusalemme e l’interessante numerazione dei vasi di Babilonia , Alle pareti possiamo invece ammirare affreschi in cui sono presenti santi benedettini.

La pavimentazione è anch’essa in opus sectile ma stavolta con impiego di lastre di forma rombica alternate in tre diversi colori ( nero , bianco e grigio ) . Purtroppo il pavimento è in parte rovinato per maldestre grossolane reintegrazioni fatte da grossi incompetenti con banali stuccature cementizie ( hanno anche dipinto in bianco su degli affreschi in una sala posta alle spalle della sacrestia ).

L’arredo ligneo è della fine del XVI ed inizio XVII secolo . Degli interessanti ed abbandonati ambienti annessi mostrano decorazioni del XVIII secolo ed un incredibile e bellissimo lavabo  del 1587. Al centro ” la sala del tesoro ” con stucchi del XVII secolo .

Inutile dirvi che i bellissimi dipinti sono purtroppo in pessimo stato di conservazione e temo che le cattive condizioni termo igrometriche e microclimatiche in cui l’ambiente è sottoposto , primo o poi distruggerà tutto . Gli arredi lignei mostrano segni di alterazione cromatica ,ed alcuni  dissesti strutturali come fessurazioni e diffuse marcescenze ….

VI PREGO FATE PRESTO !!!! SALVATE QUESTO GIOIELLO  !!!!

 

 

 

Il convento è dotato di quattro chioschi. il chiostro del Platano delimitato su ogni lato da maestose arcate e che prende il nome da un platano miracoloso pare piantato al suo centro proprio da San Benedetto da Norcia in persona.   Un’antica leggenda racconta che le sue foglie  fossero dotate di proprietà terapeutiche e quindi adoperate dai frati per preparare specialità medicinali molto ricercate all’epoca. Peccato che il suo fusto alto otto metri e mezzo sia stato incoscientemente abbattuto negli anni cinquanta .

 

 

 

 

 

Il chiostro del Noviziato a pianta rettangolare mostra  portici con ben trenta  arcate poggianti su pilastri in piperno.

Il chiostro quadrato o di marmo è delimitato da 24 colonne di marmo di Carrara e mostra al centro una statua di Michelangelo Naccherino raffigurante la ” teologia “. Da questo chiostro si può accedere anche alla Sala Capitolare ed al Refettorio.

 

 

 

 

L’

Ultimo, ma non meno bello è il chiostro piccolo , detto di ” servizio “perchè sfociava in un ingresso secondario . In questa atmosfera di quiete e vera oasi di pace per un lungo periodo Torquato Tasso vi soggiornò attratto dalla pace e dal silenzio che vi  si respirava.

Nel 1799 il monastero venne soppresso e trasformato in un deposito ad uso delle truppe del cardinale Ruffo i cui uomini, certo non fini aristocratici , arrecarono non pochi danni alla struttura .Nel 1804 , il complesso ritornò ai frati Benedettini ma nel   1808 in seguito all’abolizione dell’ordine benedettino voluta dal governo francese , la struttura venne completamente abbandonata e le spoglie dei santi Severino e Sossio furono trasferite nella chiesa di San Sossio a Frattamaggiore .

Nel  1835 ,i Borbone tornati al potere , decisero di utilizzare il complesso come Grande Archivio Regio , poi divenuto  Archivio di Stato.

Il terremoto del 1980 , danneggiò la chiesa ,e  durante i lavori di restauro , che durarono circa due anni, rimase chiusa al pubblico.

In verità questa chiesa ancora oggi è quasi sempre chiusa al pubblico e difficile da visitare . Un vero peccato , dal momento che a mio parere veniamo privati in questo modo ogni giorno della visione di un grande capolavoro , forse il piuù bello di tutti.

 

Nella piazzetta antistante l’archivio di Stato al centro  troviamo una bellissima Fontana che versa purtroppo in un evidente stato di abbandono ( una vergogna per la nostra amministrazione ) eseguita su progetto di Cosimo Fanzago nel 1649. Realizzata in marmo e piperno, la fontana del Pendino, fu voluta dal vicerè conte d’Ognate.

Di fronte alla fontana colpisce l’attenzione una piccola chiesetta incastonata tra civili abitazione in stato di degrado e abbandono.

chiesa napoli - piazza Lucrezia d'alagno

chiesa inquadrata dalla Fontana della Sellaria

Chiesa inquadrata dalla Fontana del Pendino

 

Si tratta della chiesa di Santa Maria Stella Maris (Santa Maria Stella del Mare) costruita nel 1907 in  sostituzione di un’altra demolita, in stile architettonico neogotico con i suoi archi a sesto acuto sia in facciata che nelle pareti laterali, nel cui interno si incastano  finestre bifore.

La vecchia chiesa che fu demolita durante il Risanamento urbanistico, ospitò varie congreghe: dal 1561 quella dei venditori di ferri, dalla fine del Seicento quella dei Tavernari e dalla metà del Settencento quella dei Caciolii. La struttura odierna, invece, fu sede dalla Reale Arciconfraternita di Santa Maria Stella Maris e San Biagio dei Caciolii.

In alto si erge un semplice campanile a punta con monofore. Sul portale d’ingresso, invece, è posta un’iscrizione che conferma la data di fondazione. bifora

Una delle finestre bifore

 

Campanile

Particolare del Campanile

 

chiesa

                                                                                                       

 

Chiesa santi Severino e Sossio, interno

Coro Chiesa santi Severino e Sossio

decoro Chiesa santi Severino e Sossio, interno

Decoro sacrestia santi severino e sossio

 

CURIOSITA’ : Pare che la presenza di alcuni libri “proibiti magici “presenti nella biblioteca siano stati accreditati responsabili di una serie di sventure che ha colto il monastero nel tempo sin dal momento della sua fondazione ( ben 15 incendi ).Si diffuse ad un certo punto in città la voce comune che il monastero fosse infestato dal ” male ” che spinse lo stesso  monaco  San Benedetto ad incidere sulle colonne d’ingresso alcune particolari benedizioni con lo scopo di allontanare il maleficio.

 

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