La chiesa si trova vicino piazza Carita’ e conserva nel suo interno un eccezionale patrimonio artistico .
La sua facciata poco appariscente , racchiusa tra case private e una caserma non lascia immaginare nemmeno lontanamente il ricco patrimonio artistico che gelosamente custodisce nel suo interno , credo infatti , che in assoluto sia una delle opere meno visitate e piu’ sottovalute di Napoli .
Faceva parte del monastero degli Olivetani , fondato nel 1411 in una vasta area di proprietà dei frati benedettini che si trovava fuori dalle mura della città. Alla sua costruzione contribuirono diverse famiglie nobiliari tra le quali i D’Avalos e i Piccolomini , nonchè lo stesso re Alfonso II d’Aragona.

CURIOSITA’: Sulle guide la chiesa compare con il nome di Sant’Anna dei Lombardi ( nome derivato da una vicina confraternita distrutta da un terremoto ) , ma i napoletani preferiscono l’ antica dicitura di Monteoliveto .

La chiesa e il monastero di Monteoliveto, fondati nel 1411 e soppressi quasi quattro secoli dopo, costituivano uno dei piu’ importanti complessi della Napoli aragonese. Esso era molto caro alla dinastia degl Aragonesi ed in particolar modo al re Alfonso II d’Aragona che spesso vi si recava per ascoltare la messa .

Grazie ai  laute e parsimoni contributi finanziari delle nobili famiglie , in pochi anni venne costruita sul luogo , una vera e propria cittadella monastica nel cui interno si potevano contare molti giardini e ben quattro chiostri . Per tutto il quattrocento e il primo cinquecento la costruzione gotico-catalana venne poi costantemente arricchita con splendide opere d’arte sopratutto eccezionali sculture rinascimentali. Fra i vari committenti oltre ai reali vi erano famiglie nobili che facevano a gara nelle decorazioni e abbellimento delle rispettive cappelle gentilizie .
Il monastero era il paradiso dei bianchi monaci dell’ordine : 4 chiostri tenuti a giardino,con fontane , statue , guglie, e busti ; una biblioteca ricca di codici miniatici ; una foresteria affrescata da Giorgio Vasari nella quale Torquato Tasso , trascorrendovi gli ultimi anni della sua vita , ebbe agio di scrivere ampie parti della Gerusalemme conquistata (riscrittura “riveduta e corretta” della suo capolavoro Gerusalemme liberata ).

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La soppressione del monastero purtroppo avvenuta  dopo un saccheggio nel 1799,durante i moti rivoluzionari,  cancello’ quasi completamente il vecchio bel monastero , che divenne dapprima  sede delle Reali segreterie e dei Tribunali , Venne poi successivamente trasformato in una caserma ( Pastrengo) e vari lotti di abitazione.

Al posto del suo grande bellissimo giardino , trasformato nel tempo dai monaci in un grandioso orto botanico , venne invece costruito un mercato poi demolito nel 1935.

N.B. La parte del Monastero che non sono stati capaci di demolire per edificare nuove costruzioni è oggi occupata dalla caserma del corpo Carabinieri  Patrengo , così come il chiostro Maggiore , utilizato dagli stessi carabinieri come parcheggio per le loro autovetture . Grossa parte del vechhio chiostrino risulta invece inglobato nella parete esterna del vicino  palazzo delle poste .

CURIOSITA’: I frati Olivetani furono cacciati dai Borbone al loro ritorno sul regno,  perchè ritenuti colpevoli di aver parteggiato per la Repubblica partenopea .  Al loro posto , il re Ferdinando IV  , decise che a gestire quello che rimaneva del convento fosse l’Arciconfraternita dei Lombardi , che erano già presenti nella zona con una piccola chiesa proprio accanto al monastero. Questa chiesa si chiamava per l’appunto proprio ” Sant’Anna dei Lombardi “ed era stata progettata da Domenico Fontana . Dalla fusione di queste due strutture si deve il doppio nome  con cui la chiesa è oggi conosciuta ( la vecchia chiesa di Sant’Anna dei Lombardi fu successivamente demolita dopo il terremoto del 1805 in seguito ai gravi danni subiti ).

I monaci Olivetani erano molto famosi in città e fuori dal Regno, anche per un famoso sapone che essi producevano nella loro spezieria . Si trattava del famoso sapone di Marsiglia capace di lavare ogni cosa , che fino a quache decennio fa usavano le nostre donne per lavare piatti e  pentole, ma anche per fare la doccie e lavarsi i capelli . Esso era quindi molto apprezzato per la sua efficacia, sopratutto dalle massaie per fare il loro bucato , ma spesso non veniva comprato ma solo ricevuto dal ” saponaro ,  un allora famoso venditore di oggetti vari che girava di quartiere in quartiere alla ricerca della mercanzia che doveva poi rivendere. Il saponaro in pratica girava alla ricerca di cose vecchie da ripristinare alla meglio per poi poterle rivenderle barattando la merce in cambio del famoso pezzo di sapone giallo.

CURIOSITA’: Da qui il famoso detto napoletano ” Cca’ e pezze e ccà o’ sapone ”

Ovviamente i saponari si procuravano il sapone proprio dai frati Olivetan di questo convento che in cambio chiedevano mercanzia che poteva ritornare utile per il convento.

La bellissima chiesa a navata unica con cinque cappelle per lato, mostra nel suo interno  un bellissimo pavimento a mosaico , ed un grande organo affiancato da affreschi di Giovan Battista Caracciolo .

Nel suo vestibolo di accesso, si trova il monumento funebre del famoso architetto Domenico Fontana , originariamente collocato nella distrutta chiesa di Sant’Anna dei Lombardi .

Da non perdere tra le numerose cappelle che fanno da cornice alla chiesa, una visita alla cappella Correale , un perfetto gioiello dell’ umanesimo fiorentino dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano , un bellissimo altare in marmo imperniato sulla scena principale dell ‘ Annunciazione e la Cappella Piccolomini in cui si puo’ ammirare la raffinata ” Adorazione dei pastori ” di Antonio Rossellino .
In questa chiesa e’ conservato il monumento funebre di Maria di’ Aragona ( opera sempre di Rossellino e Maiano )
Segue poi la successione di tre ambienti sempre accompagnati da sculture e affreschi del 400 che portano all ‘ oratorio del santo sepolcro .
Ed eccoci dinanzi al grande capolavoro di questa chiesa : ” Il mortorio di Guido Mazzoni ” . Si tratta di 8 statue a grandezza naturale realizzate nel 1492 dal famoso scultore modenese trasferitosi alla corte aragonese , che rappresentano un gruppo di persone dolenti intorno al corpo di Cristo deposto .
Il ” COMPIANTO DEL CRISTO MORTO ” nella cappella Orilia ( oratorio del santo sepolcro ) e’ uno dei capolavori di Guido Mazzoni . Le 8 figure in terracotta a grandezza naturale erano in origine policrome . Intorno al corpo di Gesù , da sinistra identifichiamo : San Giuseppe di’ Arimatea ( ritratto del futuro Alfonso II d’Aragona ) , Maddalena , Maria Salome , la Madonna , San Giovanni , Maria di Cleofa , e Nicodemo ( re FerranteI ) .
Il volto del Cristo deposto e’ incredibile e imperdibile .
La drammaticita’ con cui sono rappresentate le immagine femminili e’ impressionante : la Madonna che perde i sensi e cade riversa all ‘ indietro , Maria di Cleofa che si torce la mani e stringe i denti e il movimento dei capelli di Maddalena che corre in avanti urlando il suo dolore …… insomma un capolavoro da non perdere …..

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Passando dalla Cappella dell’ Assunta ( dove si affaccia un monaco affrescato da Giorgio Vasari ) si raggiunge attraverso un corridoio la Sagrestia Vecchia , in origine refettorio del monastero olivetano . La volta , divisa in riquadri , fu affrescata dal Vasari nel 1544 e ben si accorda con l’ ambiente in legno sottostante fatto di pannelli intarsiati ( di fra Giovanni da Verona , un monaco olivetano ) .
L’ opera della volta e’ divisa in 3 riquadri dedicati a fede , religione ed eternita’ in cui spicca la manierista ” allegoria della virtu’ “.

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Dal coro della bella chiesa , possiamo accedere sotto la  sua  zona absidale in un suggestivo e misterioso particolare  ipogeo . Si tratta della ” Cripta degli Abati “composta da antichi sedili di pietra che servivano, così come nelle catacombe di San Gaudioso, per dare luogo all’ ’antico processo di scolatura delle salme. I cadaveri dei monaci  , preventivamente perforati dai ” schiattamuorti ” per accelerarne la decomposizione , venivano lasciati seduti per fargli perdere tutti i liquidi ( venivano lasciati a scolare ) che defluivano tramite apposite scanalature.

La volta della Cripta appare  decorata da affreschi raffiguranti gli alberi d’una foresta sacra. e tutt’intorno, sono visibili dei teschi degli abati racchiusi in  teche di vetro. Al di sopra dei sedili sono state ritrovate antiche teche con i resti mortali di personaggi illustri tra cui dovrebbero esserci le spoglie del  potente segretario di stato  durante il regno borbonico  , Bernardo Tanucci . Essi per vera fortuna sono stati ritrovati in un secondo grande ipogeo presente sotto la cripta in quello che viene chiamata ” la terrasanta ” la cui funzione era quella di  accogliere in passato le ossa dei monaci dopo la ” scolatura “. Accanto ad una cassetta scura di legno marcio ceduto al tempo giacciono in questo posto secondo molti , quelli che vengono considerati i  pochi resti giacenti ancora presenti e  fino ad oggi considerati  definitivamente persi , del grande ministro e nemico agguerrito dei potenti Gesuiti .

Il registro con l’atto di  morte del famoso ministro si trova in verità  nella sacrestia della chiesa di Santa Maria degli Angeli,  che si trova a due passi dove egli abitava in via Gennaro Serra, ma le sue spoglie  vennero invece sepolte per sua volontà  nella poi demolita Chiesa de’ Fiorentini

Non dimentichiamo infatti che egli era di origine toscana e la chiesa di San Giovanni dei fiorentini rappresentava in città un importante luogo di culto e riferimento  per tutta la numerosa comunità toscana presente nel capoluogo ( 2680 fiorentini circa su 212 mila abitanti in tutto ). Sul pavimento di questa antica chiesa erano infatti presenti e sparse numerose lapide  sepolcrali recanti nomi di famose famiglie toscane presenti in città e lo stesso  i Tanucci aveva già voluto precedentemente  mettere le tombe di suo figlio Giulio, morto pochi mesi dopo la nascita, e dell’adorata figlia Marianna.

 La bella  chiesa, fondata nella prima metà del quindicesimo secolo da Isabella d’Aragona, dove esistevano pregevoli opere d’arte come otto statue del Naccherino e pregevoli dipinti di  Marco Pino e Giovanni Balducci nonchè  sull’altare maggiore, una bella  Natività di Cristo di Marco da Siena , venne purtroppo demolita nel 1953 per decisione di  una demenziale amministrazione comunale  per far sorgere nel tempo al suo posto il brutto palazzo della ” Standa “. La chiesa  dopo la fine della guerra, nonostante i bombardamenti, stava sempre in piedi ed appariva ancora perfettamente solida, a dispetto dei suoi quattrocento anni. eppure, malgrado ciò, la cieca amministrazione comunale  decise di espropriare e lottizzare l’intero «Rione San Giuseppe Carità» per darlo in pasto alla speculazione edilizia  ( era il periodo di Achille Lauro ).

La chiesa dei Fiorentini fu quindi condannata da quel momento  a scomparire perché la sua presenza ostacolava gli interessi degli speculatori.

Venne in maniera stolta  deciso di costruire all’Arenella  una «Nuova chiesa dei Fiorentini» ma solo dopo averla costruita fu chiaro a tutti di quanto l’idea  fosse sbagliata. La memoria storica sopravvive dove s’è formata. Se si cerca di spostarla, muore. Ancor più priva di senso fu la seconda decisione, quella di trasferire nella nuova chiesa l’intero patrimonio artistico e storico della vecchia chiesa . Lo spostamento si sarebbe presto rivelato impossibile. Non è facile ambientare opere d’arte antiche in un contesto moderno. Prova ne sia che la chiesa nuova riuscì ad accogliere solo dieci dipinti provenienti dalla vecchia. E nemmeno una statua.

La Tomba del Tanucci durante l’ abbattimento dell’edificio di culto venne completamente distrutta da quattro blocchi di piperno staccatisi dal cornicione della cupola . La sua lapide marmorea venne frantumata in mille pezzi  e sul fondo del loculo dopo un’accurata ricognizione non venne rinvenuto al momento alcun avanzo delle spoglie mortali di Bernardo Tanucci». Resisi conto dell’enorme danno effettuati il sovraintendente ai lavori e quello ai beni culturali per non perdere la faccia  di fronte allo scempio effettuato non comunicarono  la notizia alla stampa e nessun  giornale ne parlò.

I resti mortali contenuti nelle altre tombe furono quel punto subito a composti in cassette di legno e trasportati per disposizione della Curia Arcivescovile nella cripta della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi »dove oggi possono finalmente riposare in pace  accatastati in  venticinque cassette, come unici testimoni di uno scempio come pochi ( menomale che i morti non possono parlare ) .

N.B.

A Napoli viveva, sin dal tempo degli Angioini una comunità di ricchi mercanti e banchieri fiorentini. Nelle botteghe della Piazza del Mercato, nei Banchi Pubblici della città e ovunque si parlasse di danaro saltavano fuori i nomi dei Frescobaldi, degli Acciaiuoli, dei Bonaccorsi, dei Baldi e dei Peruzzi. Quasi tutti i toscani trasferiti a Napoli dove avevano avevano fatto soldi. Alcuni di essi collezionavano opere d’arte e promuovevano scambi culturali con la loro terra d’origine. Il più celebre dei fiorentini napoletanizzati era  il grande banchiere Filippo Strozzi. Quando questi nel 1447 fu  espulso da Cosimo dei Medici e costretto ad andare in esilio, egli scelse Napoli come sua   nuova sede dei propri affari abitando  in una sontuosa dimora ubicata nell’attuale piazza Bovio  ( ex piazza della Borsa  )  nell’antico sedile di Portanuova . A Napoli, divenuto banchiere del re Ferrante d’Aragona, costruì la sua immensa fortuna.

La chiesa testimonia quindi come vedete l’interesse che a Napoli suscitarono fermenti artistici sviluppatisi nel Rinascimento fiorentino . Grazie infatti ai buoni rapporti politici esistenti tra gli Aragonesi ed i Medici ( sopratutto durante il regno del re Ferrante ) , furono numerose la presenza in città in quel periodo di maestranze toscane , molte delle quali lavorarono proprio alla costruzione del complesso dei frati Olivetani.

La loro presenza ci ha lasciato in questa chiesa molte  mirabili opere ma anche una bellissima storia raccolta dal web che vi voglio raccontare .

La storia potrebbe iniziare con un suono, un suono lieve, prodotto dal passo sicuro di un uomo, un uomo che cammina per le corti e le contrade di una città medievale, siamo infatti intorno al 1480 (quasi 1500) e la città è quella di Napoli, già capitale di Regno e contesa tra Angioini e Aragonesi. Il passo è quello deciso di chi compie ogni giorno lo stesso tragitto e come ogni giorno il suono del suo passo viene coperto, ad un certo punto del percorso, da un canto gregoriano che si comincia a udire in lontananza; un canto che proviene dalla chiesa di Santa Maria Olivetana dove risiede una confraternita monastica devota alla Regola di San Benedetto. Quando il canto monotonale si avverte ormai distintamente, l’uomo è già alle soglie del chiostro, tira un piccolo sospiro e finalmente entra nella chiesa, neanche il tempo di volgere lo sguardo all’altare e subito si dirige verso la prima cappella dislocata sulla navata sinistra della chiesa, lì un altro suono si produce più alto e forte di tutti, il suono dello scalpello che martorizza il marmo. Un uomo dai capelli rossi infatti, uno scultore è intento a terminare la sua opera, un monumento funebre maestoso e solenne che dovrà ospitare nientemeno che le spoglie di Maria d’Aragona figlia illegittima di Ferdinando I d’Aragona. I due uomini si guardano e il sorriso di saluto diventa quasi una smorfia ironica, “…che stai sempre qui”! Sembra dire uno, “…chissà se mai la finirai quest’opera”! Sembra dire l’altro. Cosa possono avere mai in comune questi due signori lo riusciamo a capire solo quando, ritirati i monaci dalla novena mattutina, iniziano a discorrere tra di loro. Sono infatti entrambi fiorentini, il loro eloquio e la loro cadenza è inimitabile, così come il loro graffio sempre vivo nel dibattere, uno si trova a Napoli per lavoro ma l’altro ancora non si è capito. Messere Antonio Gamberelli è conosciuto da tutti come Rossellino, ed è uno scultore famoso ma siccome gli artisti in questo periodo storico devono sapere fare un po’ di tutto, lui è anche pittore ed architetto. Questa opera gli è stata commissionata direttamente dalla famiglia dei banchieri Strozzi per conto del marito di Maria d’Aragona: Antonio Piccolomini, parente alla lontana di Enea Silvio, il vecchio Papa Pio II da poco scomparso.

I nostri due amici a Napoli sono in buona compagnia, la comunità fiorentina è infatti molta folta in città, del resto qui non molti anni prima aveva già lavorato Donatello, con il suo monumento funebre al cardinale Rainaldo Brancaccio nella chiesa di Sant’Angelo a Nilo, ma anche Michelozzo, Andrea Guardi, Francesco Filelfo e Lorenzo Valla vivevano stabilmente a Napoli, tutti più o meno nella zona che dal porto si arrampica sulla piccola calata San Marco, che con il passare del tempo si è meritata proprio il nome di Via dei Fiorentini. Ironia della sorte volle che la Via dei Fiorentini nel suo antico tracciato, molto più esteso dell’attuale, incrociasse proprio Via Loggia dei Pisani, infatti nel 1238 in piena Età Sveva, una flotta della Repubblica di Pisa dopo aver vinto una dura battaglia contro i Saraceni approdò esausta a Napoli e così il Console Addone Gualdulio, in adempimento ad un voto, fondò la chiesa di San Giacomo, la grande loggia tra la chiesa ed il Porto ispirò poi il nome della strada, ma questa è ovviamente un’altra storia! Anche i fiorentini infatti avevano la loro confraternita, la Regina Isabella di Chiaromonte vista la loro opera meritoria, decise infatti di fondare una chiesa in zona e farne dono alla comunità fiorentina che la consacrò al proprio Santo patrono, San Giovanni Battista ai Fiorentini appunto, questa chiesa molti secoli dopo, nell’ambito degli infiniti progetti di risanamento cittadino, venne “smontata” dal suo luogo d’origine (nell’area oggi occupata da Palazzo Fernandes) e “rimontata” con una nuova facciata, nel quartiere collinare del Vomero. Ma torniamo ai protagonisti della nostra storia, loro sono diventati amici, fa sempre piacere infatti quando sei lontano da casa incontrare un tuo concittadino e poi i fiorentini a Napoli più o meno si conoscono tutti, anche se di questo Messere che tutte le mattine va a vedere la cappella Piccolomini si sa ben poco. Pare si chiami Barnaba Guadagni che sia benestante e di buona famiglia, tutte le mattine viene a vedere il lavoro di Rossellino perché quella cappella gli ricorda quella identica “Del Cardinale Del Portogallo”, allestita sempre da Rossellino, nella chiesa di San Miniato al Monte di Firenze. Ma tutta la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, con il suo stile improntato al rinascimento toscano, gli fa respirare aria di casa. E pensare che tra non molti anni (1545), in quella stessa chiesa, il refettorio dei monaci Olivetani verrà affrescato, da un altro grande artista Toscano: Giorgio Vasari.  Quando Rossellino rompendo il silenzio gli chiede di raccontargli la sua storia, Barnaba senza farselo ripetere due volte, quasi sollevato rivela al suo concittadino il suo segreto, in realtà lui non si chiama Guadagni ma il suo vero nome era quello di Barnaba de’ Bischeri, tanto bastò per fare impallidire Rossellino, si trovava infatti di fronte al rappresentate di una delle più ricche, famose e prestigiose famiglie fiorentine: 15 Priorati e 2 Gonfalonieri di giustizia, massima carica giurisprudenziale della Repubblica Fiorentina. Ma soprattutto si rese conto che quella storia non aveva proprio bisogno di farsela raccontare, perché come tutti i fiorentini, la conosceva più che bene. La famiglia Bischeri infatti possedeva terreni e molte abitazioni intorno la Chiesa di Santa Reparata, quando la Repubblica fiorentina decise di ampliare tale struttura per edificare una maestosa cattedrale consacrata alla Madonna del Fiore, si rese necessario liberare molto spazio dall’area circostante e per questo vennero offerte congrue somme di denaro alle famiglie interessate allo sgombro, ma visto che il valore dei terreni era molto aumentato da quando era iniziato il progetto, la famiglia Bischeri che era quella maggiormente interessata all’operazione, tentò una speculazione finanziaria eccessiva che risultò fallimentare. Il governo della Repubblica decise infatti di ridurre l’area interessata ai lavori e di espropriare senza indennizzo alcuni terreni, molti raccontano anche, ma questa forse è solo una leggenda, che alcune delle abitazioni di proprietà della famiglia Bischeri, vennero addirittura incendiate. Questo episodio sancii la fine delle fortune di questa famiglia che invisa al governo della Repubblica dovette subire oltra al danno anche la beffa, infatti dopo quell’esproprio non passo un giorno senza che i fiorentini, al comparire di qualcuno della famiglia in giro per le strade di Firenze, con quell’ironia acre che solo i toscani sanno avere, si rivolgesse loro apostrofando un sorridente: “Bravi Bischeri”! Questa espressione oggi potremmo dire che divenne virale, fino a diventare un modo di dire comune e colloquiale che oltrepassò anche le mura fiorentine. Ancora oggi in tutta la Toscana quando si vuole indicare una persona poco furba la si definisce affettuosamente: Bischero! Ma in realtà il termine secondo l’ortodossia della lingua fiorentina, andrebbe sempre usato accompagnato dall’aggettivo “Bravo”, altre locuzioni sarebbero improprie. In ogni caso questa famiglia infastidita da tali atteggiamenti, pur avendo inciso significativamente nella società fiorentina sin dal XIII secolo, decise di cambiare il proprio cognome in Guadagni e di trasferirsi, almeno in parte, all’estero, Barnaba però, ultimo Priore della famiglia, rimase a Firenze, la sua attività politica lo portò in aperto contrasto proprio con Cosimo il Vecchio, il quale dispose il suo esilio da compiersi nel Regno di Napoli, storico alleato della Signoria fiorentina. Ma questa non è una storia triste, infatti Barnaba aveva compiuto il suo esilio e sarebbe potuto tornare nella sua Fiore quando voleva, inoltre molti dei suoi parenti avevano fatto fortuna tra la Francia e la Romagna ed erano tornati a Firenze dove stavano costruendo un imponente edificio proprio in quell’area vicino al duomo dove risiedevano le loro antiche abitazioni, quel palazzo esiste ancora oggi e si chiama Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati (attuale sede della Regione Toscana) e nonostante il palazzo mantenga quel nome acquisito, alcuni membri della famiglia vollero porre una piccola lapide proprio nell’attuale Piazza del Duomo all’angolo con via dell’Oriuolo, con l’iscrizione: “Canto (Contea) Dei Bischeri”! Come dire non vi dimenticate che questa è sempre casa nostra!

Barnaba però preferì rimanere a Napoli, godendosi la sua fiorentinità guardando il mare in compagnia dei suoi amici fiorentini in giro per le sue amate chiese, lontano da quel termine che pure se usato in modo affettuoso rimaneva ingombrante tra mura di Firenze. Rossellino continuò la sua opera di artista e scultore specializzandosi in bassorilievi e creazione in terracotta. Per fortuna entrambi non vedranno mai la trasformazione a cui la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto andò incontro negli anni a venire, in età Borbonica infatti i monaci olivetani vennero accusati di aver dato asilo ad alcuni rivoluzionari durante i moti del 1799, moti che portarono alla breve esperienza della Repubblica Napoletana. Tornato a Napoli, nel suo personale processo di restaurazione, Re Ferdinando I di Borbone dispose la cacciata degli Olivetani e l’assegnazione della chiesa ad un’altra nutrita confraternita, che aveva perso da poco la propria struttura di riferimento a causa del terremoto del 1798, quella dei “nazionali lombardi”. Così oltre alla modernizzazione delle strutture effettuate dall’ architetto Gaetano Sacco, la chiesa cambiò anche il nome in “S. Anna dei Lombardi”, agli Olivetani è rimasto ad oggi quanto meno il nome della piazza. E a proposito di nomi anzi di cognomi, siamo sicuri che il nostro Barnaba forse avrebbe voluto un altro destino per il suo antico cognome, che per storia e lignaggio non era inferiore a quello dei Tornabuoni, degli Acciaioli o dei Della Robbia, ma se ci riflettiamo questa è l’unica famiglia che viene sicuramente nominata e ricordata tra Firenze e dintorni, centinaia di volte al giorno per tutti i giorni, quindi nel bene e nel male, resta una delle poche famiglie che se pure involontariamente, ha fatto anche la storia del costume sociale.

ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

 

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