La chiesa fu fatta costruire da Roberto d’ Angiò nel 300 in onore di Celestino V ( Pietro, ritiratosi sulla maiella in Abruzzo, come eremita, rinunciò al trono papale ottenuto nel 1294: colui che fece, per viltade, il gran rifiuto ( Dante ).
La chiesa fu dotata di un convento poi soppresso e nella prima metà dell’800 divenne la nuova sede del REGIO COLLEGIO DI MUSICA assorbendo i 4 istituti esistenti sino allora a Napoli e che avevano trovato una sistemazione provvisoria nel vicino monastero delle monache di San Sebastiano allora in disuso.
Divenne quindi dal 1826 il Conservatorio di musica a Napoli e la direzione fu affidata a Nicola Zingarelli.
A Nicola Zingarelli si sono poi succeduti con gran successo altri noti personaggi come Gaetano Donizetti – Francesco Saverio Mercadante – Francesco Cilea- e tanti altri.
L’antico convento dei celestini (sede del conservatorio) ospita una biblioteca ed un museo storico con una preziosa raccolta di antichi strumenti musicali.

 

 

 

 

 

 

 Il  Museo Storico Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella, inaugurato da Francesco Cilea il 3 dicembre 1925,  ospita una tra le più rilevanti collezioni di strumenti musicali d’Europa, una meravigliosa galleria di ritratti di musicisti, sculture, cimeli storici, insieme a fotografie, stampe, monete e medaglie, elementi di arredo ed arredi liturgici provenienti dalladiacente chiesa di San Pietro a Majella. In esso  si trovano strumenti antichi e preziosi come l’arpa  di Stradivari, il pianoforte-clavicembalo Vis à Vis di Johann Andreas Stein e i magnifici  pianoforti a tavolo, donati a Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello da Caterina II di Russia.

Sono  inoltre presenti raccolti in una collezione ineguagliabile, splendidi antichi archi molti dei quali costruiti nella prestigiosa scuola napoletana di liuteria e  preziosi  strumenti musicali a tastiera pianoforti come i pianoforti di Mercadante e di Thalberg ed un incredibile organo con sette registri, appartenuto all’antica famiglia degli organari Cimmino  giunto a noi a distanza di anni in perfetto stato di conservazione . 

Completano la ineguagliabile collezione anche degli inredibili plettri rilucenti di intarsi di madreperla, e dei magnifici strumenti a fiato tra cui spicca il cembalo di Caterina II di Russia,

Non mancano ovviamente altri importanti  cimeli storici, testimonianze spesso commoventi della presenza, negli antichi orfanotrofi, prima, nel Conservatorio di San Pietro a Majella, poi, di artisti eccezionali.

 

 

 Esposti nell’area museale al primo piano dell’Istituto, vero e proprio tripudio di luci e di colori sono i salteri di manifattura settecentesca, le arpe di pregio degli Erard e di Pleyel ed una selezione di strumenti a fiato, tra i quali spicca per valore simbolico un corno di invenzione appartenuto al padre di Rossini.

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La loro storia, così come quella degli strumenti della liuteria ad arco e a pizzico (la più imponente retrospettiva pubblica sulla liuteria napoletana del Sette-Ottocento), insieme ai fiati e ai pianoforti, principalmente dovuti alle innumerevoli manifatture attive a Napoli nel corso dell’Ottocento, si completa e si lega imprescindibilmente alla storia dei manoscritti della biblioteca e ai documenti custoditi nell’archivio storico dell’Istituto.

 Collezionati a partire dal 1868, nei diversi ambienti del complesso monumentale dei padri celestini di San Pietro a Majella, inteso come museo diffuso, è possibile ammirare una quadreria che si compone di più di duecento dipinti, opera di artisti come la Elisabeth Vigée Le Brun, Gennaro Maldarelli, Filippo Palizzi, Francesco Paolo Michetti, autori dei ritratti di Paisiello, Ferdinando Sebastiani, Ferdinando Pinto, Francesco Paolo Tosti. Con essi fanno bella mostra di sé i cimeli storici, testimonianza tangibile del legame che ebbero con il conservatorio napoletano musicisti come Bellini, Donizetti, Verdi, Martucci. 

 

CURIOSITA’: Nel museo musicale è stato ritrovato “nascosto” sotto pile di custodie di altri strumenti un prezioso pianoforte a cristalli  della fine dell’Ottocento che pare appartenesse alla nobile famiglia Del Balzo. Il rarissimo di pianoforte  che si riteneva perduto Il  è stato ritrovato durante i lavori di sistemazione della sala adibita a deposito,  chiamata sala “del tesoro nascosto” perché contiene cimeli, strumenti e quadri di notevole valore e in fase di scoperta.

La  costruzione della chiesa fu iniziata verso la fine del duecento e completata agli inizi del trecento per volere di Carlo II d’Angiò.
Da notare gli archi a sesto acuto e le volte a crociera delle navate laterali tipici dell’ arte gotica e le preziose e bellissime opere nel transetto e nel soffitto di Mattia Preti. Splendido invece l’altare maggiore del ‘600 con la bella balaustra in marmi policromi.

Nel suo interno la chiesa si  presenta con 3 navate e un transetto terminale.

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Inizialmente questa chiesa fu costruita con un  impianto gotico ma successivamente nel XVI secolo fu rimaneggiata in stile barocco (come avvenne per molte chiese di Napoli) con una ricca decorazione  in marmo e stucco colorato che coprì interamente la preesistente struttura gotica. Successivamente con grandi lavori di restauro molte delle decorazioni seicentesche furono eliminate come si può notare negli gli archi a sesto acuto e le volte a crociera delle navate laterali tipici dell’arte gotica.

Oggi le navate sono separate  da pilastri sorreggenti archi gotici con dieci cappelle laterali.

Nella cappella Leonessa e nella cappella Pipino sono presenti due cicli di affreschi risalenti alla metà del trecento.
Nella prima cappella a destra, è presente la statua di San Sebastiano di Giovanni Merliano da Nola, il maggiore esponente della scultura rinascimentale a Napoli.
Nella quarta cappella a destra si può ammirare una bella tela della Madonna che appare a San Celestino di Massimo Stanzione. A sinistra nella quinta cappella sono presenti anche tre tele di Francesco De Mura.

Nella prima cappella a sinistra possiamo invece ammirare un pavimento in mattonelle maiolicate, del periodo aragonese.  Nel soffitto e nel transetto possiano notare le bellissime opere di Mattia Preti che mostra episodi della vita di San Celestino e di Santa Caterina d’Alessandria.

La balaustra e il bellissimo altare maggiore del 600 in marmi commessi, sono stati realizzati rispettivamente da Cosimo Fanzago e da Bartolomeo e Pietro Ghetti.

Alla sinistra dell’altare notiamo un affresco che rappresenta “la Madonna del Soccorso“, un pò consumata dal tempo che nasconde una bella storia.

  Si racconta che Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, prima della famosa battaglia di Lepanto, comandante della flotta della Lega, si recò da solo a pregare e chiedere protezione alla Madonna del Soccorso, inginocchiandosi proprio dinanzi a questo affresco.

Secondo le cronache del tempo fu proprio grazie alla protezione della santa madre che lo scontro andò a buon fine e Giovanni d’Austria sconfisse gli Ottomani dopo una furiosa battaglia nei pressi di Lepanto.
In seguito al conflitto, nella chiesa di San Pietro a Maiella, l’intero esercito armato depose le proprie armi di fronte all’ immagine sacra per ringraziarla del dono ricevuto.

Nel lato opposto della chiesa colpisce un dipinto che raffigura Cristo vestito con una tunica Si tratta di un dipinto del crocifisso del Duomo di Lucca di epoca medievale.

La chiesa risulta dotata anche di un bel campanile che si può meglio ammirare dalla piazzetta Miraglia.
Lasciando da parte la storia di Celestino V ( la sua storia la trovate qui) vorrei soffermarmi un momento su gli antichi istituti musicali poichè questi sorsero allo scopo di dare una casa ai bambini abbandonati per miseria.
Questi poveri bambini non era infatti raro ritrovarli per strada, abbandonati a se stessi al freddo e alla fame, sopratutto dopo grandi carestie come quella del 1589.

I bambini venivano spesso, grazie ad opere misericordiose, raccolti e dato loro un alloggio sotto il cui tetto potevano anche trovare un pasto caldo.
I conservatori di Napoli erano 4:
1) S. MARIA DI LORETO, il più vecchio, dove furono formati grandi personaggi come Domenico Cimarosa – Nicola Antonio Porpora ( maestro di Haydn ) – Tommaso Traetta – Antonio Zingarelli ( fù maestro di Bellini ).
2) CONSERVATORIO DEI POVERI DI GESU’ CRISTO
nato dopo la grande carestia del 1589 grazie al francescano FOSSATARO da Nicotera che questò fino a raccogliere fondi per acquistare un edificio in largo gerolamini; qui egli con molta misericordia e dandosi un gran da fare ospitò una massa enorme di bambini abbandonati. Da questo posto uscirono musicisti come Alessandro Scarlatti – Francesco Durante – Giovan Battista Pergolesi
3) S. ONOFRIO A CAPUANA ne fu allievo Giovanni Paisiello
4) PIETA ‘ DEI TURCHINI allievo Gaspare Luigi Spontini che fu il compositore privato della moglie di Napoleone.

Nella prima metà dell”800 furono poi tutti raggruppati nell’unica scuola musicale di San Pietro a Majella.
Talvolta però alcuni di questi ragazzi finivano per aumentare le fila dei ‘famosi cori bianchi‘: un gruppo di ragazzi eunuchi dalla voce bellissima e cristallina che deliziavano l’ascolto di persone presso salotti privati o interi teatri (alcuni di loro sono poi divenuti famosissimi come Farinelli o Moreschi) o meglio in chiesa dove facevano parte di selezionati cori di cui il più prestigioso aveva sede presso il Vaticano.
C’è stato infatti, purtroppo, un tempo in cui le voci bianche cantavano al posto delle donne: ‘Mulier taceat in ecclesia‘ la donna in chiesa deve tacere. E se non poteva parlare figuriamoci se poteva cantare! Allora per poter ottemperare a questa prescrizione e avere comunque cantanti che potessero eseguire le parti femminili, tra il XVII e il XVIII secolo e perfino in pieno 800 in Italia furono evirati migliaia di bambini. Il loro impiego si diffuse poi anche nelle esecuzioni musicali profane.
La pratica di utilizzare eunuchi nel coro del Vaticano fu bandita solo nel 1878. L’ultimo castrato cantava ancora nella cappella Sistina nel 1922. Si chiamava Alessandro Moreschi e un critico musicale tedesco scrisse: Non credevo che la voce umana potesse essere il più straordinario di tutti gli strumenti musicali, fino a quando non ho ascoltato Moreschi.

Per avere una voce così bella era necessario che la castrazione si facesse prima della pubertà, cioè prima della muta della voce poichè solo così in teoria il risultato poteva essere eccellente: si otteneva una voce femminile emessa però da un torace maschile, che può contenere molta più aria, e attraverso corde vocali maschili che per vibrare hanno bisogno di meno aria e possono quindi tenere una nota più a lungo. Potevano arrivare a coprire anche tre ottave e mezza, un’estensione vocale fuori dal comune.

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L'Aquila, basilica di Collemaggio, spoglie di Papa Celestino V
L’Aquila, basilica di Collemaggio, spoglie di Papa Celestino V

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE VOCI BIANCHE
Per quanto se ne sa, quella dei castrati è un’“invenzione” cinese, di almeno 5 mila anni fa. Allora si producevano castrati per farne guardiani del potere. Insieme alla mascolinità perdevano la possibilità di normali rapporti familiari e sociali, e vivevano in una condizione psicologica oscillante tra l’odio di sé, la malinconia e la disperazione. Senza nemmeno perdere l’aggressività, perché, spenta a livello fisico dalla mancanza di testosterone, si ristabiliva sul piano psicologico.
Unica possibilità di riscatto, la fedeltà assoluta al signore, dal quale ricevevano in cambio non solo onori e titoli come guardiani dell’harem o dei templi, maestri delle cerimonie, ma anche importanti incarichi politici e amministrativi.
Tra il 1505 e il 1510 l’eunuco Liu Chin fu reggente al trono per l’imperatore Witsu, in quel periodo represse con estrema violenza una rivolta di aristocratici, ne fece decapitare molti che avevano incarichi pubblici e li sostituì con compagni di sventura. 
Ma gli eunuchi rimanevano comunque degli infelici: molti custodivano religiosamente i testicoli in una scatola, raccomandando che venissero seppelliti insieme a loro, per essere uomini completi almeno nell’aldilà.
Dalla Cina, la pratica si diffuse in Occidente. I Romani importarono dagli Ittiti il culto di Kubaba, divinità della fecondità e della terra che chiamarono Cibele. Chi voleva diventare suo sacerdote doveva offrire alla dea pene e testicoli tagliandoseli da sé con un coltello di pietra nel corso di una cerimonia orgiastica che si svolgeva ogni anno il 24 marzo.
Poi però i Romani scoprirono che i castrati potevano servire anche per divertimenti molto profani, visto che la loro pelle si manteneva liscia e priva di peli e il loro corpo assumeva sembianze femminili.
Perché c’era eunuco ed eunuco. Infatti, si distingueva tra castrazione “nera”, che comportava l’asportazione anche del pene e che rendeva l’eunuco ancora più simile a una donna, e castrazione “bianca”, che salvava il pene. Il prezzo di uno schiavo eunuco poteva essere anche 250 volte superiore a quello di uno schiavo da lavoro, secondo la qualità: c’era il semivir, mezzo uomo, l’eviratus, totalmente castrato, il mollis, solo un po’ effeminato, e il malacus, dotato di tratti e movenze così femminili da poter passare per una danzatrice
Gli Arabi impararono tardi l’utilità degli eunuchi, perché Maometto aveva vietato la castrazione sia degli uomini sia degli animali. Li scoprirono verso il 750, quando conquistarono la Persia, dove l’usanza era giunta dalla Cina. Non solo dimenticarono subito il precetto del profeta, ma misero in piedi un sistema di produzione e distribuzione vasto ed efficiente, visto che erano particolarmente adatti come custodi degli harem di califfi, sultani e sceicchi. Gli schiavi da Bisanzio, dalla Cina, dalla Nubia, dall’Etiopia e dall’Europa venivano portati nei centri specializzati nella castrazione che si trovavano a Samarcanda, nella città egiziana di Assiut o in quella armena di Derbent per essere poi venduti nei mercati di Baghdad o del Cairo. 

L’asportazione dei testicoli prima della pubertà impedisce la differenziazione del sesso maschile perché viene a mancare il testosterone, l’ormone prodotto dai testicoli che ha questa funzione. Conseguenze? Pene e prostata rimangono piccoli, la voce si alza invece di diventare grave, non crescono peli e muscoli. E poiché il testosterone ha anche la funzione di stimolare il desiderio sessuale, il castrato non solo non è fertile ma è anche impotente.
Se invece la castrazione avviene dopo la pubertà, gli effetti sono meno drammatici: i peli si riducono, la pelle diventa più sottile e può anche accadere che la voce riacquisti tonalità femminili. E, quanto ai rapporti sessuali, in questo caso quello che manca è il desiderio, non la possibilità tecnica. Quanto alla versione femminile della castrazione, cioè l’asportazione delle ovaie, oltre all’infertilità ha come conseguenza l’immediata menopausa.
Esiste però la possibilità che altri ormoni di origine surrenale svolgano, ma solo in parte, la funzione del testosterone e in questo caso si ha un eunuco che può in qualche misura avere rapporti sessuali. Pare che Farinelli, famoso cantante castrato del 1700, andasse sì a letto con le donne, che impazzivano per lui, ma che all’ultimo momento si facesse sostituire dal fratello Riccardo, che era tutt’altro che eunuco.

Il Trattato sugli eunuchi, del 1707, spiegava come procedere alla castrazione.

“Il fanciullo viene narcotizzato con l’oppio e immerso a sedere in un bagno di acqua molto calda, fino a quando cade in uno stato di completa incoscienza. Quindi si apre lo scroto e si asportano i testicoli”. Così il Trattato sugli eunuchi, del 1707, spiegava come procedere alla castrazione, una pratica allora corrente in Italia per allevare cantanti con qualità straordinarie. Ma che affondava le sue radici nell’antichità. Un rito pericoloso (due bambini su tre morivano per infezioni ed emorragie) profondamente legato alla religione e, per quanto possa sembrare incredibile, non ancora scomparso. 

 

 

LA BATTAGLIA DI LEPANTO

Il 17 ottobre del 1571 , turchi e cristiani , in un epico scontro, passata alla storia come la battaglia di Lepanto, scrissero una delle più importanti pagine della nostra storia moderna. 

Attraverso gli esiti di quella battaglia si decise infatti il nostro destino religioso . 

Oggi probabilmente, in Italia, saremmo quasi tutti Mussulmani, se in quella battaglia a vincere era l’agguerrita flotta mussulmana dell’impero Ottomano guidata da Muezzinzade Ali Pascia. 

Le cronache narrano di oltre 400 galere e 200mila uomini che affrontandosi in una battaglia navale, ingaggiarono per via mare, una delle emblematiche dello scontro tra Oriente e Occidente. 

Di fronte al continuo pericolo dei saraceni ( apertamente appoggiati dal sultano dei Turchi, Solimano il Magnifico) che con le loro escursioni rappresentavano un vero e proprio flagello per le popolazioni europee e mediterranee, anche lo stesso traffico commerciale marittimo con la continua minaccia ottomana, viveva un momento di grande difficoltà.

Papa Pio V°, accortosi dell’incombente pericolo decise quindi di organizzare una grande alleanza cristiana per combattere con una spedizione militare’ imminente avanzata ottomana . 

Spagna, Venezia e gli Stati Pontifici siglarono subito una decisiva alleanza. Alla Lega Santa, in breve tempo, si unirono il Granducato di Toscana, i Ducati di Savoia, Urbino, Ferrara, Mantova oltre alla Repubblica di Genova ed ai cavalieri dell’Ordine di Malta. 

Il tutto ebbe origine a Napoli nella chiesa dedicata a Santa Chiara. In quell’occasione caio e infatti il cardinale Granvelle consegnava solennemente a Don Giovanni d’Austria lo stendardo della flotta: una bandiera di seta color cremisi con impresso l’immagine del crocifisso, mentre nella vicina chiesa di San Pietro a Maiella, Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V,e comandante della flotta della Lega, si recò da solo a pregare e chiedere protezione alla Madonna del Soccorso, inginocchiandosi proprio dinanzi a questo prezioso affresco ancora oggi presente nella bellissima chiesa . 

Dieci giorni dopo, al largo di Messina, cominciarono a radunarsi le 209 navi cristiane, che imbarcavano complessivamente circa 40.000 tra marinai e rematori, 20.000 combattenti, 7000 fanti spagnoli, 6000 mercenari italiani e 5000 soldati veneziani. 

Esse si apprestavano a combattere il più grande scontro navale della storia medioevale e moderna . 

Da una parte l’agguerrita flotta mussulmana dell’impero Ottomano guidata da Muezzinzade Ali Pascia, dall’altra quella cristiana della Lega Santa sotto il comando di don Giovanni D’Austria, 

Tra galee e galeotte si contavano nello schieramento mussulmano più di duecento imbarcazioni, a cui si aggiungeva un numero imprecisato di brigantini corsari. A bordo, alcune migliaia di giannizzeri erano affiancati da quasi 25.000 uomini, tutti armati di archibugi, archi e frecce. Ma sicuramente l’artiglieria ottomana era meno numerosa e meno potente di quella cristiana e la sua flotta era sfibrata da mesi di continue scorribande lungo il Mediterraneo. Nelle file della Lega Santa si distinguevano le imbarcazioni e gli armamenti della Repubblica di Venezia che, negli ultimi tempi, aveva investito in tecnologia per rendere sempre più moderna ed efficiente la sua deterrenza militare. Nell’Arsenale di Venezia erano state costruite le galeazze, imbarcazioni più alte e lunghe delle normali galee e per questo praticamente inabbordabili. Su di esse erano stati sistemati i cannoni oltre che lateralmente, anche a prua ed a poppa, con il risultato che le galeazze potevano sparare contemporaneamente in tutte le direzioni. 

Le cronache ci raccontano che furono proprio le sei galeazze veneziane che, nell’arco di un paio d’ore di feroce e concitata battaglia, riuscirono ad affondare e danneggiare molte decine di navi avversarie. 

Gli Ottomani, palesemente disorientati, ma con il vento in poppa, tentarono lo scontro frontale puntando, senza successo, l’imbarcazione dove si trovava il comandante della Lega Santa così da ucciderlo e sfiancare i morale dei soldati cristiani. L’attacco della flotta turca era accompagnato da un rumore assordante prodotto dal suono di centinaia di tamburi, timpani e flauti. La flotta della Lega Santa rispondeva con un assoluto silenzio. Verso mezzogiorno, nel pieno dei combattimenti, il vento cambiò, improvvisamente, direzione: le vele turche si afflosciavano, mente si gonfiavano quelle della Lega Santa che, nel frattempo, aveva issato su ogni imbarcazione una grande croce. Le navi cristiane avevano ormai preso il sopravvento anche se il comandante mussulmano Uluc Ali si era impossessato del vessillo dei Cavalieri di Malta. La svolta decisiva si verificava nelle prime ore del pomeriggio di quel 7 ottobre 1571 quando due galee toscane riuscivano ad abbordare la nave ammiraglia di Muezzinzade Ali Pascia il quale fu ferito a morte e il suo corpo decapitato venne esposto sul pennone di una galea cristiana. Erano passate da poco le 16.00 quando le poche imbarcazioni turche ancora efficienti prendevano il largo allontanandosi dal golfo di Corinto. La battaglia di Lepanto si concluse con la grande disfatta dei Turchi che riuscirono a mettere in salvo solo una trentina di navi e che persero, tra morti, feriti e prigionieri, quasi 35.000 uomini. I cristiani riuscirono anche a liberare 15.000 rematori forzati rinchiusi nelle stive delle galee nemiche. All’epica battaglia, partecipò, a bordo di una nave spagnola Miguel De Cervantes, l’autore del Don Chisciotte della Mancia, il quale si distinse per il coraggio. Il futuro narratore venne ferito da ben tre colpi di archibugio che lo centrarono al petto ed alla mano sinistra di cui perse l’uso. La notizia della vittoria suscitò un’ondata di entusiasmo in tutta Europa. Per la cristianità era la fine di un incubo e la dimostrazione che gli Ottomani non erano invincibili. Il Papa celebrò la vittoria con una messa di ringraziamento nella basilica di San Pietro, mentre tutte le campane di Roma suonavano a festa. 

Quel famoso scontro navale, in cui la flotta cristiana , al comando di Don Giovanni d’Austria, sbaragliò quella turca ponendo fine ad ogni pretesa d’egemonia dell’impero ottomano fu un momento particolare . 

Con quella battaglia vinta, l ‘Europa si salvò dall’invasione musulmana. 

In quella battaglia navale si fronteggiarono infatti non solo due flotte ma due mondi contrapposti: l’impero turco musulmano in piena espansione militare e l’Europa in una fase di estrema difesa del territorio europeo cristiano. È verosimile arguire che, se a Lepanto avessero vinto i Turchi, San Pietro avrebbe fatto la stessa fine della basilica cristiana di S. Sofia a Costantinopoli, trasformata in moschea musulmana, unitamente all’ex-impero cristiano d’Oriente.

Si racconta che Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, convinto del fatto che   proprio grazie alla protezione della santa madre  era riuscito a  sconfiggere gli Ottomani a Lepanto, al ritorno dal conflitto, si recò di nuovo nella chiesa di San Pietro a Maiella, e con l’intero esercito armato depose le proprie armi di fronte all’ immagine sacra per ringraziarla del dono ricevuto.

ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA
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