In tempi passati , la morte , e la sua cerimonia , in una citta’ dove tutto e ‘ spettacolo non poteva non avere una sua teatralità .
Un grande spettacolo , con tante scene , tanti personaggi e un grande regista .
Il regista , appunto che possiamo intravedere nell’impresario delle pompe funebri che con il suo impeccabile abito nero e con faccia di circostanza dirigeva la perfetta organizzazione delle onoranze funebri .
Nella organizzazione delle onoranze funebri infatti era consuetudine scegliere oltre il carro , la bara , i candelabri , gli addobbi e infine anche il tipo di partecipanti al corteo funebre e iI grande organizzatore era appunto l’impresario .
Lo spettacolo nella sua tragicita’ era un susseguirsi di atti dove la scena acquistava un ruolo fondamentale come in un grade palcoscenico ed in questo scenario , la morte veniva in un certo senso ridimensionata e alleggerita del suo pesante significato .
Il primo scenario che avveniva nella Napoli antica , era presso la casa del defunto dove per l’occasione la stessa veniva addobbata in modo … . teatrale .
Lunghe liste di tessuto nero , trapuntate d’oro scendevano dall’alto a ricoprire gli usci .
I ritratti del defunto venivano tutti ricoperti così come gli specchi della stanza .
La salma vestita dei suoi abiti migliori posta al centro della stanza veniva illuminata da quattro giganteschi candelabri posti ai lati del letto pronta ad accogliere l’ultimo saluto dei tanti amici e parenti che venivano ad onorarlo in occasione della tradizionale veglia .
La seconda meravigliosa scena si svolgeva poi in strada dove due grossi teli neri pendevano ornalmente dal portone di ingresso come sipario sulla scena in modo da attirare l’attenzione di ogni passante quasi ad invitarlo a rendere omaggio al morto.
Il terzo scenario apparteneva alla carrozza funebre.
Il carro funebre , spesso una monumentale carrozza barocca era trainata in base alla classifica del funerale da due , tre , quattro , sei o da otto grandi cavalli lucidi e rigorosamente neri , mentre il cocchiere con cilindro e frac li teneva a freno .
La gente si accalcava e commentava la magnificenza del funerale o ne criticava la miseria in base , spesso al numero dei cavalli . ( Ma comme’ ? Manco nu tiro a quatt’ a chillu pover’ ommo ? )
L’ultimo atto apparteneva alle congreghe che normalmente , in vita , in cambio di un canone mensile , garantivano la presenza di più’ persone ( confratelli della congrega ) nel giorno del funerale ad accompagnare il defunto lungo il corteo funebro oltre a garantire un sicuro posto al cimitero .
Alcune congreghe per dare magnificenza al corteo fittavano in cambio di piccole somme di danaro i loro affiliati di solito vestiti con saio bianco .
La più famosa e presente congrega era quella della confraternita dei poveri di San Gennaro che in cambio di un misero compenso garantivano un elevato numero di persone presenti al funerale cosi’ da dare una certa solennita al corteo .
Un mesto corteo di uomini claudicanti che si trascinavano a fatica , si disponeva intorno e dietro al carro , tutti vestiti con vecchi abiti color grigio e ricoperti di una mantellina di pari colore pronti ad accompagnare il corteo bisbigliando lugubri titanie , talvolta tenendo in mano una canna , in cima alla quale sventolava una piccola bandierina.
Una bellissima poesia di Raffaele Viviani racconta di questi poveri , lasciando a noi una preziosa e drammatica testimonianza della loro presenza .
La poesia , bellissima , comincia con queste parole :
Mentre o’ carro se ne ieva
e ‘ pezziente e San Gennaro ,
tanto e’ l’acqua ca faceva ,
se truvaine ‘nu riparo
sotto all’arco ‘e nu purtone .
………
La citta’ ha comunque sempre avuto un forte rapporto con i morti e in particolare con le anime del Purgatorio ed il loro culto . I luoghi emblemi di questo speciale rapporto sono il celebre cimitero delle fontanelle , situato nel Rione Sanita’e la Chiesa di S. Maria del Purgatorio in via Tribunali e la dimostrazione del loro culto e’ la cura con cui sono tenuti i teschi in essi contenuti .
La finalità di questi luoghi rispecchia a pieno la generosità del popolo napoletano e ci fa comprendere quanto il culto dei morti e la religiosità fossero una trama importantissima e fondamentale del tessuto sociale.
Questo culto e’ è una porta rituale tra il mondo dei vivi e dei morti: i morti chiedono ai vivi una preghiera e i vivi, perlopiù donne, si rivolgono alle anime abbandonate che fanno da tramite tra la vita terrena e quella ultraterrena.
Nasce in questo modo , nel tempo l ‘ usanza di adottare ” un ‘anima pezzentella “, ossia di scegliere il teschio di un anonimo defunto ( una capuzzella ) e prendersene cura proteggendolo ( talvolta in una piccola e rudimentale bacheca in legno e vetro )ed onorarlo con devozione continua e amorevole talvolta con la speranza di ottenere la …… sospirata grazia
Il limite tra la fede e la superstizione è sottile, ma i devoti sentono più vicini a loro le anime pezzentelle di umili origini nelle quali ritrovano comuni miserie, sofferenze e solitudini. L’adottante sceglieva una capuzzella, la puliva e la lucidava, la poneva su un fazzoletto ricamato ed infine, durante visite periodiche, le offriva lumini, fiori e preghiere “A refrische ‘e ll’anime d’o priatorio”. Poi la circondava con un rosario e la adagiava su un cuscino, ornato di pizzi e ricami . Solo dopo questo rituale pare che l’anima purgante apparisse in sogno , richiedendo “refrisco” ( cioè preghiere e cure per essere sollevata dalla sofferenza) e svelando la sua storia personale. Se la capuzzella iniziava a sudare, significava che si stava adoprando per intercessioni a favore del devoto o per concedergli la grazia . In realtà l’alto tasso di umidità della cava ancor oggi provoca la formazione di gocce di condensa sui teschi, facendoli sembrare sudati. A questo punto l’animella entrava a fare parte della famiglia e veniva custodita in un tempietto di marmo o di legno, in una teca di vetro, a volte pure in una semplice scatola metallica di biscotti , sui quali si incidevano il nome dell’adottante e l’anno di ricevimento della grazia. Se però non venivano esaudite le richieste, quali guarigioni, matrimoni,vincite al lotto, il devoto poteva rimpiazzare la capuzzella con un’altra, nella speranza che si rivelasse più benevola. Se il teschio non sudava, significava che l’anima pezzentella era in uno stato di sofferenza ed impossibilitata ad elargire grazie, quindi bisognava confidare in entità celesti più potenti.
A queste anime pezzentelle , bisognose di cure e preghiere si poteva chiedere di tutto anche cose piccole piccole e poco “mistiche” come vincere una lotteria .
Ma e’ proprio la grazia la vera grande filosofia napoletana , poichè nella sua concezione egli ritiene che le anime dei morti svolgono un ruolo importante in quanto possono influire sull’ esistenza dei vivi .
Tutto questo rientra nella grande filosofia del popolo napoletano che con pari disinvoltura mostra una esuberante confidenza con la vita e una grande familiarità con la morte e con l’Aldila .
Le anime dei morti , infatti ,vengono viste come entità spirituali a cui potersi rivolgere con familiarità ma anche con dovuto rispetto per chiedere grazie ed intercessioni , nonchè per ottenere guarigioni , vincite al lotto ed altri favori , per cui esse vanno venerate quasi allo stesso modo dei santi ( la chiesa ad un certo punto preoccupata scese in campo e ne abolì il culto ).
Visitare i luoghi di culto popolare consente di esplorare il mistero, ove si confondono riti sacri e profani, religione e magia. L’iniziale incredulità o scetticismo svaniscono man mano che nel rituale delle anime pezzentelle si riconoscono un generale bisogno di essere ascoltati per ricevere conforto e sollievo, di ascoltarsi nel raccoglimento di una preghiera, per gli altri e per se stessi, di trovare conferme di protezione nei meandri della fede o della suggestione superstiziosa.
Questo culto così particolare non solo è una sorta di misericordiosa alleanza e complice intesa tra i poveri vivi e i poveri morti per un aiuto reciproco, ma anche un’occasione per riflettere sull’aldilà attraverso il simbolo dei teschi.
Il culto delle anime pezzentelle approda alla consapevolezza che in fondo “all’ àutro munno simm tutte eguale” e “Simm tutt cape ‘e morte”, cioè che “la morte è la completa uguaglianza degli ineguali”, è “una livella” a detta di Totò: ciò che era visibile e rilevante in vita diviene invisibile ed irrilevante nella dimensione sospesa (“queste pagliacciate le fanno solo i vivi: noi siamo seri…apparteniamo alla morte”, proclama l’ombra del netturbino a quella del marchese che disdegnava di essere sepolto accanto a lui) .