Piazza Dante é così chiamata dal1862 , quando un comitato presieduto da Luigi Settembrini ebbe la pessima idea di porre sulla piazza il monumento di Dante ( opera di Tito Angelini )
Ora non me ne voglia il sommo poeta ma lui con questa piazza non ha proprio ” nulla da condividere” ….

 

Anticamente la piazza era chiamata” largo del “mercatello” perchè ogni mercoledì si teneva il mercato .
“Foro Carolino ” dopo che Carlo III di Borbone fece costruire l ‘attuale emiciclo.
Nel dare il nome ” Dante” a questa piazza, non hanno tenuto in nessun conto, la sua storia e nessun luogo è più ricco di memoria storica di questo posto.
Erano quì presenti nel XVI secolo 2 cavallerizze dove si addestravano i cavalli , frequentate da nobili gentiluomini che si esercitavano nell ‘arte di cavalcare insegnata loro dai migliori maestri dell ‘epoca .
Le cronache del tempo ( 1623 ) ci dicono , tra l’altro, che nella piazza furono erette 3 forche per i condannati a morte ( colpevoli di produrre monete false )
Spesso il luogo vedeva accampare carovane di attori girovaghi e “saltinbanchi” che offrivano al pubblico i loro spettacoli.

La piazza che oggi noi vediamo, perfetta, simmetrica e con un imponennte monumento celebrativo fu  edificata per dare gloria alla  dinastia borbonica ma sopratutto far risaltare a tutti la grandezza de l nuovo re. L’emiciclo di ordine- dorico che attualmente delinea la piazza fù infatti commissionato dai Borbone al Vanvitelli per  far risaltare  la grandezza e la lungimiranza di questo sovrano illuminato e profondamente legato ai suoi sudditi e al suo regno,

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A tal proposito   vennero poste  sulle terrazze dell’ emiciclo tra il luglio del 1763 e l’agosto del 1764. delle sculure che. in maniera allegorica con la loro figura descrivevano re Carlo di Borbone .

Sulla balaustra possiamo notare ben 26 statue ( 3 di Giuseppe Sammartino ) che rappresentano altrettante virtù di re Carlo .

N.B. Le statue ovviamente non rappresentano solo le virtù del monarca nel senso classico della parola.   Molte di loro infatti  riflettono quelle che erano le idee illuministiche del monarca,  il suo modo di intendere la  politica,  Esse sono  il simbolo del desiderio del re  di promuover la cultura  ed il benessere sociale dei suoi sudditi, e solo alcune rappresentano il suo  stile di vita ed  il suo interesse per le arti e le scienze.  Esse rappresentano  quindi un “unicum” di virtù, belle arti e qualità di buon governo.

Sul lato sinistro sinistro dell’emiciclo di ordine- dorico che attualmente delinea la piazza, Luigi Vanvitelli vi pose le seguenti statue simbolo:

1) La Fortezza. 2) L’ Agricoltura. 3) L’Astronomia. 4) La Prudenza. 5) La Sanità. 6) La Concordia. 7) La Vittoria. 8) La Sincerità. 9) La Felicità pubblica. 10) La Vigilanza. 11) La Filosofia. 12) La Musica. 13) La Matematica.

Sul lato destro , vdendole da sinistra verso destra, invece troviamo: 14) L’Architettura militare. 15) La Speranza. 16) Lo Studio. 17) Il Valore. 18) La Pace. 19) La Meditazione. 20) La Nobiltà. 21) Il Merito. 22) La Costanza. 23) La Verità. 24) Le Belle arti liberali. 25) L’Abbondanza. 26) Il Riparo dal tradimento.

N.B.: Le statue che vedete sono rifinite solo nella parte  anteriore, visibile dalla piazza. Il loro retro, visibile solo dalle terrazze delle monache domenicane di clausura, che abitarono il monastero di San Sebasiano per oltre quatro secoli dai tempi della regina Giovanna II (1400), risulta grezzo  e solo abbozzato.

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Nel centro dell ‘ emiciclo , l ‘architetto Vanvitelli aveva ideato una specie di abside entro la quale doveva essere posta una statua equestre in bronzo di re Carlo di Borbone; ma vi risiedette provvisoriamente ( 35 anni ), sempre coperto da un telone un fac-simile in gesso , finchè durante la repubblica partenopea un patriota tolse il telone e con un colpo di sciabola decapitò il rè , d’altronde già morto ( come re di Spagna e da oltre 10 anni ). il gesto scatenò la folla che fece a pezzi l’intero monumento che fù sostituito con l ‘albero della libertà .
l ‘abside ( grossa nicchia ) diventerà poi il portone di ingresso dell’ istituto dei gesuiti .( frequentato all’ epoca dai figli della nobilta’ napoletana).
I gesuiti avevano avuto in concessione da Francesco I di Borbone l’ antico monastero di San Sebastiano ed essi vi fondarono in quel luogo due istituti di istruzione che ebbero un gran successo tra la nobilta’ napoletana , il cui ingresso principale si trovava alle spalle di largo mercatello , cioe’ nella stretta via San Sebastiano . Questa ricca nobilta’ ben presto pero’ reclamo’ un ingresso piu’ largo e spazioso che consentisse alle loro carrozze che accompagnavano i figli una maggiore facilita’ di manovra, e fu cosi’ che il portone fu aperto dal lato opposto dell ‘ edificio , al centro del colonnato della piazza.
Possiamo solo oggi capire perche’ durante la rivoluzione i gesuiti , considerati i preti della monarchia furono costretti a scappare con 25 carrozze chiuse , protette e scortate dalla guardia nazionale . I padri di sant’ Ignazio erano infatti considerati un’ unica cosa con i ricchi nobili e la monarchia ed erano visti non molto bene dall’ affamato popolo napoletano .

CURIOSITA’:Le monache domenicane dai tempi della regina Giovanna II (1400) abitarono per oltre quattro secoli  il  monastero di San Sebastiano. Nel 1807 furono “cacciate”  dai francesi. Da allora il  monastero fu prima trasformato   in  conservatorio musicale, poi nel 1820 fu la sede del  Parlamento. Dopo l’abolizione del parlamento fu assegnato ai gesuiti che dal 1826 lo trasformarono in liceo “del Salvatore” detto pure  “Collegio dei Nobili”. Con l’ unità dì Italia nel 1861 fu  requisito ai religiosi  ed è divenuto  il primo  liceo classico statale della città : il ” Vittorio Emanuele “.

Un tempo la cinta muraria della città lambiva proprio il punto di largo mercatello ,e la piazza era quindi completamente fuori dal perimetro difensivo della città .
Quando però incominciarono a sorgere vari insediamenti fuori le mura , sorse anche l ‘ esigenza di dover collegare questi nuovi quartieri con la città in maniera più diretta e funzionale .
il popolo risolse a suo modo il problema con i ” PERTUGI ” cioè varchi non autorizzati , veri e propri buchi nella cinta muraria . in particolare nei pressi di largo mercatiello i popolani avevano praticato un grosso buco nel muraglione per evitare di fare un lungo giro onde entrare in città dalla porta reale o da quella di Costantinopoli.
Nel 1625 il vicerè Antonio de Toledo , duca d ‘ alba , su sollecitazione di Paolo di Sangro , principe di Sansevero , che accolse la petizione dei napoletani e la presentò al vicerè , acconsentì alla trasformazione del “pertigium” in porta , a condizioni che le spese fossero sopportate dalla popolazione locale .La porta fù quindi realizzata e assunse il nome del vicerè ( PORT’ALBA ), ma i napoletani per lungo tempo ( ed ancora oggi di tanto in tanto ), hanno continuato a chiamarla “porta sciuscella ” dal nome dei frutti di carrubo , che sospinti dal vento , dal giardino del vicino convento di san Sebastiano piovevano in strada e venivano raccolti dalla gente del popolo Le “sciuscelle” sono saporiti frutti, ricchi di zucchero, che normalmente erano il pasto di asini e cavalli , in passato erano gustati dai napoletani poveri come “dolce di strada”.
La porta che ora si vede , non è quella originale , in quanto nel 1797 fu ristrutturata e fu posta sopra la statua bronzea di san Gaetano che prima sormontava la demolita Porta Reale
Un tempo alla sommità di Port’Alba vi era un bellissimo affresco realizzato dal grande pittore Mattia Preti di origine calabrese , seguace dell’ancor più celebre Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
Si trattava di un ‘ opera votiva realizzata in occasione della peste che imperversò a Napoli nel 1656 in cui i personaggi principali della composizione : la vergine , S. Gennaro e S. Gaetano , tra una massa di moribondi colpiti dal morbo implorano in plateali atteggiamenti .
Tale opera purtroppo è andata completamente perduta nel tempo
Durante la peste del 1656 , piazza Mercatello fù uno dei centri di raccolta degli infermi ; un quadro di Gargiulo Domenico detto ” Micco Spadaro ( Micco diminutivo di Domenico e spadaro perchè era questo il mestiere del padre )custodito nella certosa di san Martino , ne dà una sconcertante rappresentazione( si intravede anche la demolita porta Reale )
Largo Mercatello fù luogo di incontri privilegiati fino al 1912: il primo caffè chantant all ‘aperto di Napoli ,il Diodati , caro a Salvatore Di Giacomo ora non c’è più.
Propongo di cambiare il nome della piazza .facciamo una petizione . PIAZZA MERCATELLO o meglio FORO CAROLINO visto che sulla sua architettura incide fortemente l ‘ impronta di Carlo III di borbone e sopratutto di Luigi Vanvitelli .

Ricordiamo sempre  che  l’emiciclo di ordine- dorico che attualmente delinea la piazza ,  fu voluto da carlo III ed eseguito da Luigi Vanvitelli  .

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ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

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