Castel Capuano , costruito in stile tipicamente medievale, costituiva in passato un baluardo imprendibile ed inespugnabile per qualsiasi esercito nemico . Nel tempo modificato e ampliato venne inizialmente utilizzato come residenza reale per poi essere abbandonato e sostituito in questa sua funzione da Castel Nuovo (meglio conosciuto come Maschio Angioino.).
Fu edificato dal normanno Guglielmo di’ Altavilla detto ” il Malo ” , nella seconda meta’ del XII secolo sul luogo che prima ospitava una fortezza bizantina . Sotto il suo regno il maniero funziono’ da reggia e da fortezza prendendo il nome dalla vicina Porta Capuana – dove partiva la strada che conduceva a Capua –
Federico II comprendendone l’ importanza per la posizione strategica che occupava nel complesso delle mura , ordino’ nuovi lavori per renderlo più’ ampio e solido.
Fu ulteriormente ampliato da Carlo I d’Angio che trasferendo la capitale del regno da Palermo a Napoli si ‘ stabili’ in Castel Capuano in attesa del completamento del suo nuovo castello ( Castel Nuovo ).
Nel 1484 gli Aragonesi lo inglobarono nella cinta muraria cittadina trasformandolo in residenza reale .Sotto Alfonso d’ Aragona si trovava in questo luogo per volere del sovrano una splendida biblioteca , considerata all’epoca una delle più importanti d’Europa dove nacque la celebre Accademia Alfonsina , e dove Antonio Beccadelli detto ” il Panormita “leggeva i classici latini davanti alla corte . Nello stesso periodo aragonese si celebrarono in questo luogo il matrimonio tra la figlia di Alfonso II, Isabella d’ Aragona e Gian Galeazzo Sforza duca di Milano , poi avvelenato da suo zio Ludovico il Moro .
Nel 1540 , non essendo piu’ funzionale come fortezza , per lo spostamento in avanti delle mura urbane, il castello fu adibito per volere di don Pedro Di Toledo a sede dei Tribunali .
Il vicere’ , lo fece ristrutturare per riunirvi tutti i tribunali fino ad allora sparsi in diversi luoghi della citta . Da quel momento sara’ chiamato ‘ il palazzo della vicaria ‘, perche’ era il Vicario del Regno a presiedere al governo del potere giudiziario ed i suoi sotterranei furono adibiti a soffocanti prigioni .
Le esecuzioni capitali avevano luogo nello spazio antistante la facciata settentrionale e le gabbie di ferro con dentro le teste recise dei giustiziati , oppure le mani o i piedi, troncati , dei condannati , venivano appese all’angolo del castello prospiciente via Carbonara, sulla facciata che dà su Piazza Capuana.
Nel largo davanti alla porta principale del Castello , a destra , sopra una base quadrata di pietra , esisteva una antica colonna romana di marmo bianco che veniva indicata come la << colonna infame della vicaria >> , oggi conservata al Museo di San Martino (nell’androne delle Carrozze della Certosa di San Martino ).
Secondo vecchie leggi, quando un fallito dichiarava di non possedere più niente ,e quindi , di non poter pagare i suoi debiti, doveva salire sulla base di pietra della colonna, calare le brache, mostrare il deretano nudo ai suoi creditori e pronunciare le parole:< cedo bonis >
Le due parole latine volevano dire < sono morto per i beni di fortuna> ed il gesto significare< cosi’ sono ridotto>. Il debitore condannato doveva essere legato abbracciato, con i pantaloni completamente calati e cosi, tra gli squilli di tromba del banditore, doveva proclamare per una o più ore la frase.
Come potete osservare in questo famoso dipinto attribuito ad Ascanio Luciani dove viene rappresentato il largo antistante il Castello , in quegli anni , l’intera area intorno a Castel Capuano era la zona più frequentata e caotica della città . Notate le molte carrozze e la gran folla di persone , mercanti e avventori vari che tgiravano tra improvvisate bancarelle. Ma notate sopratutto la colonna infame e la presenza di uomini in toga che si aggirava per la piazza
Alcuni divertenti personaggi del luogo mi hanno raccontato che , per sentito dire da anziane persone , i personaggi in questione venivano addirittura prima immersi con la loro parte bassa nell’acqua . I deretani nudi esposti erano pertanto completamente bagnati e questo secondo antichi racconti tramandati sarebbe all’origine del famoso detto napoletano ‘ stare ‘cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua‘ , riferito a persone cadute in difficoltà o cadute in disgrazia .
In passato l’espressione stava ad indicare la stanchezza conseguente ad un eccessivo carico di lavoro ed era legato al mondo dei pescatori che con una grossa rete , chiamata “sciaveca “, erano solito pescare . Questo modo di pescare richiedeva un grande sforzo fisico ma sopratutto anche l’azione di calarsi in mare immersi fin sopra le ginocchia. Il loro lavoro era tutt’altro che riposante ed è per questo che stare ‘cu ‘e pacche dinto’a l’acqua‘ aveva all’inizio assunto il significato di una stanchezza dovuta all’eccessivo carico di fatica. All’epoca però i pescatori erano considerati persone molto povere ( il pesce non costava tanto come adesso ) e a svolgere questo mestiere erano coloro che non avevano proprio più nulla da perdere poiché ridotti sul lastrico. Quindi fare il pescatore e sopratutto farlo usando ‘ la sciaveca ‘ era in quel tempo in città una cosa tutt’altro che auspicabile per chiunque .
Ascoltare persone anziane a cui i propri nonni hanno tramandato vecchi racconti è una delle cose piu affascinanti che ti può capitare nell’antico centro della nostra città ed io avendo avuto la fortuna di conoscere alcuni di essi , sono rimasto rimasto per intere ore ad ascoltare incantato i loro racconti . Ho cosi potuto scoprire che lo scopo di denudare il debitore veniva messo in atto solo per dimostrare che lo stesso avrebbe fatto qualsiasi cosa per soddisfare i suoi creditori ed il pubblico atto di costrizione del debitore insolvente veniva solitamente accompagnato da fischi e urla di rumorosi e chiassosi scugnizzi .Il denudamento e l’esposizione dei glutei avevano il compito di rendere chiaro che il povero debitore sarebbe stato disposto a cedere tutto , ma proprio tutto ( avete capito ? ) quello che gli era rimasto per risarcire i creditori .
Il debitore non doveva solamente abbassarsi i pantaloni ma anche sbattere il sedere tre volte sulla colonna tra gli squilli di tromba del banditore pronunciando la frase ‘ vedo bonis ‘ cioè ” chi ha da avere si venga a pagare ”
Ho così scoperto anche il significato dell ‘ espressione napoletana ‘”Managgia a colonna nfame “che pare nasca proprio da questa umiliante pratica . Essa viene infatti usata solitamente come imprecazione nei confronti di un episodio avverso .
L’umilazione pubblica subita dal debitore davanti alla colonna sarebbe anche all’origine , secondo questi antichi racconti , dell’espressione e ” na man annanz e cu n’ata man arreta “( con una mano davanti e l’altra dietro ) comunemente adoperata per indicare una persona che se ne torna a casa umiliato e a mani vuote.
Nel 1546 Don Pietro de Toledo aboli’ l’umiliante pena della colonna , sostituendola con un’altra più’ decorosa.
Il debitore che ricorreva al disonorevole beneficio doveva, dopo che il suo nome e la formula d’uso erano stati gridati dall’esecutore , restare ritto accanto alla colonna , a capo scoperto , per un’ora, davanti ai suoi creditori.
Tale usanza duro’ fino al 1736 , cioè fino a quando Carlo di Borbone l’aboli, facendo abbattere la colonna infame , oggi conservata nella Certosa di San Martino , nell’ atrio delle carrozze del Museo di San Martino.
Ben più’ a lungo duro’ l’altro uso che della base della colonna si faceva ; l’esposizione , cioe’ dei corpi senza vita delle persone morte tragicamente , onde permetterne il riconoscimento: una sala mortuaria all’aperto.Tale macabra esposizione ebbe , finalmente , fine nel 1857.
Ancora oggi il castello conserva la sua antica funzione di Tribunale . Una funzione che ha mantenuto sino ai nostri giorni , ospitando i protagonisti di quella che e’ passata alla storia come la scuola Giuridica napoletana ( un’eccellenza internazionale ).
L’ edificio e’ insufficiente oggi per il regolare svolgimento della giustizia e con la costruzione del nuovo palazzo di giustizia ( centro direzionale ) in un altro luogo , la sede dei tribunali , dopo quattro secoli ben presto lasceranno Castel Capuano .
A breve gli uffici dovrebbero del tutto traslocare al centro direzionale : la speranza e’ che il maniero ricordato da Miguel de Cervantes nel ” Don Quijote de la manche ” possa diventare un punto di riferimento per il turismo culturale .Non c’è luogo , infatti , che racchiude tutte insieme le vicissitudini storiche cittadine come come questo grande palazzo e che invece è uno dei castelli più antichi di Napoli.
La struttura e le caratteristiche di Castel Capuano com’erano in origine, non esistono più’, tante sono state nel corso dei secoli, le modifiche apportate all’ interno ed all’esterno dell’edificio. La prova e’ data dalle numerose lapidi , marmi, scritte ed epigrafi che si vedono per ogni dove , perche’ ogni apportatore di modifiche , si faceva un dovere , specialmente i vicere’ spagnoli , di segnalare ed eternare il cambiamento fatto o il restauro compiuto.
Anche i borboni nel 700 e nell’800 fecero eseguire nuove modifiche che finirono per falsare il carattere antico del castello che oggi non ha proprio più’ niente della fortezza normanno – Sveva e della reggia angioina-aragonese.
L’ingresso principale reca lo stemma di Carlo V re di Spagna ( ma anche precedentemente re di Napoli con il semplice nome di Carlo di Borbone ).
Nella parte posteriore e’ sita la fontana del Formiello del XV secolo che prese il nome dall’ omonimo acquedotto .
Nel passato una delle vicende più’ tragiche che ebbero come scenario il palazzo di giustizia fu l’accoltellamento dell’aristocratico napoletano Ser Gianni Caracciolo , nel 1432; la tragica morte del cavaliere che aveva conquistato il cuore della regina Giovanna e insieme a quello anche un grande potere.
L’amante della regina Giovanni Caracciolo , meglio conosciuto come Ser Gianni , era un uomo di grande coraggio , distintosi nelle guerre al seguito di re Ladislao e una volta divenuto il favorito della regina penso’ bene di sfruttare la sua favorevole posizione .
La regina lo nomino’ Gran Siniscalco e Ser Gianni con gran senso politico e con il controllo delle finanze regie ,rinsaldo’ amicizie ed alleanze con uomini importanti e potenti,cominciando quell’ascesa che doveva farlo diventare il vero padrone del regno.
Ser Gianni dominava completamente la regina e si fece assegnare il principato di Capua e l’ importante ducato di Venosa Egli comandava ed agiva come un vero padrone , ma aveva anche molti nemici e non ne tenne conto , quando ,oltrepassando i limiti , arrivo’ ad insultare la regina che aveva rifiutato di concedergli il principato di Salerno.
Sessantenne , amareggiata e stanca , Giovanna non amava più il favorito , fu quindi facile convincerla della necessita’ di liberarsene . A convincerla del tutto fu Covella Ruffo , duchessa di Sessa , tanto intima di Giovanna quanto acerrima nemica del favorito.
La regina , convinta , acconsenti a firmare l’ ordine di arresto del Gran Siniscalco ma i propositi dei congiurati erano ben altri e Ser Gianni venne assassinato .
Alla regina fu detto che all’ ordine di arresto egli aveva opposto resistenza con le armi e rimasto ucciso nella lite ( invece fu ucciso con inganno senza che avesse potuto tentare il minimo gesto di difesa ).
Il gran Siniscalco fu sepolto nella chiesa di San Giovanni a Carbonara , la stessa dove era stato sepolto re Ladislao , fratello di Giovanna e un anno dopo il figlio gli fece erigere un monumentale sepolcro.
Sul corriere di Napoli il 20/01/1896 , Salvatore Di Giacomo così ricorda l’evento avvenuto a Castel Capuano.
…” trascinato per quella grande scala de’ due finestroni ‘, fu gettato in fondo al cortile di Castel Capuano il corpo di Ser Gianni Caracciolo . Rimase li’ , in camicia, a un piede aveva ancora una lunga calza rossa…
Nelle carceri del castello hanno sostato , a volta per lungo tempo prigionieri illustri :
Vi fu rinchiuso per motivi mai del tutto chiari Gianbattista Marino.
Pare che nella prigione il poeta sarebbe finito per aver ingravidato la fanciulla da lui amata , tale Antonella Testa , nel tentativo di costringere il padre di lei ad assecondare le nozze.
Ma la morte della ragazza dopo un aborto, avrebbe fatto scattare denuncia e arresto. Nel 1770 Giacomo Casanova venne a trovare il marchese di Petina , convivente di una sua ex amante di Londra , arrestato per falso.
Sei anni dopo sara’ il marchese De Sade a visitare le carceri del Castello.
Nel 1893 Gabriele D’Annunzio rischiera’ di esservi rinchiuso dopo una sentenza di condanna a 5 mesi di detenzione poi condonata per indulto , per adulterio ( la signora coinvolta era Maria Gravina , moglie del Conte Ferdinando Anguissola e dalla relazione nacque una bimba )
La vicaria aveva poi una grotta di massima sicurezza , un imbuto sotterraneo conosciuto come ” la fossa del Panaro”che ebbe tra i suoi prigionieri illustri Eleonora Pimental De Fonseca , giornalista ed eroina del 1799.
Secondo molti che giurano di averlo visto , sembra che tra le mura del castello si aggiri il fantasma di una donna morta per un efferato crimine commesso: Giuditta Guastamacchio.
Giuditta Guastamacchio era una bella donna di 32 anni che aveva una relazione amorosa con un prete , un certo don Stefano d’Aniello che per nascondere l’illecito rapporto e le varie malelingue che incominciavano a diffondersi in città fece sposare in un matrimonio di copertura Giuditta con un suo nipote campagnolo appena sedicenne . Durante il matrimonio ovviamente Giuditta ed il prete continuarono a frequentarsi e le cose andarono bene per un bel po di tempo ,fino a quando un giorno il giovane sposo stanco di questa situazione prima minacciò e poi decise di andare a denunciare il tutto.
Giuditta per evitare lo scandalo decise di intervenire . Con la complicità di suo padre , di un giovane chirurgo e di un barbiere cerusico fece strangolare il marito e tagliare il suo corpo in molteplici pezzi per andarli a gettare in vari posti della città in maniera tale che nessuno in tal modo potesse mai ritrovarli .
Il barbiere , fu però fermato da una guardia reale mentre stava per andare a gettare una mano del giovane assassinato custodita in un sacco . Arrestato ed interrogato, messo alle strette , dopo un estenuante interrogatorio confessò tutto.
Non vedendo arrivare il loro complice , Giuditta , il padre ed il prete capiscono subito che qualcosa non era andata per il verso giusto e decisero di fuggire . Vennero intercettati sulla strada per Capodichino , arrestati e condannati all’impiccagione nel largo delle Pigne , attuale Piazza Cavour . Solo don Stefano non venne impiccato ma esiliato a vita nelle fosse di Favignana.
Mani e teste amputate della bella Giuditta e dei suoi complici vennero esposte in alcune gabbie , sulla facciata del castello per alcuni mesi a monito dell’efferato crimine al fine di non far dimenticare al popolo la severa punizione .
Da allora il fantasma della bella Giuditta pare si aggiri ancora oggi dannato tra le numerose stanze del castello ed alcuni dei numerosi avvocati che per anni hanno operato tra quelle mura giurano di averlo visto apparire preceduto da un gelido vento.
CURIOSITA’: fino all’800 nelle aule del castello si svolgevano le attesissime estrazioni del gioco del lotto , tanto attese dal popolo napoletano.