All’inizio di uno dei cardini più famosi del nostro centro antico  per la presenza delle tante botteghe dove si costruiscono pastori e presepi si trova  uno degli edifici religiosi più antichi , della nostra città.

 

Si tratta dell’antico monastero di San Gregorio , (detto anche di San Liguoro ) , situato presso l’odierna Piazza San Gaetano ed all’inizio di via San Gregorio Armeno.  Il monastero insieme al vicino Tribunale di San Lorenzo  faceva parte del cuore pulsante della vita politica, culturale e religiosa del centro antico di Napoli e divenne nel  tempo un luogo simbolo del prestigio di nobili famiglie napoletane .Entrare come monaca in questo monastero non era facile e bisognava superare una rigida severa selezione . Era uno dei monasteri più ambiti dalla giovane nobiltà locale e avere una figlia od un proprio familiare che si era dedicata alla vita monacale nel convento di San Gregorio era una cosa da andar fieri. Un titolo di nota  e merito  che dava lustro alla famiglia e motivo di vanto in società per non dire   poi che importanza assumevi se divenivi addirittura badessa.
Le monache, prima basiliane e poi benedettine, divennero quindi per le nobili famiglie , da un lato il tramite di  preghiera  verso Dio  e dall’altro il simbolo del loro prestigio.

Il monastero  fu costruito sul luogo dove anticamente  sorgeva un Tempio dedicato a Demetra , a cui erano attribuiti  i poteri di dare fertilità alla terra e di renderla feconda ( dea del grano e dell’agricoltura protettrice del matrimonio e delle arti sacre) e l’intero luogo si chiamava strada Nostriana dal nome dal vescovo che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri.

Il monastero con una sua prima originaria chiesa ( poi demolita ) venne costruito solo nel 930 , in occasione della venuta a Napoli di un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia in fuga da Costantinopoli che portarono con loro le reliquie di San Gregorio  .

Ricordiamoci che San Gregorio Armeno è stato il fondatore del primo stato cristiano del mondo in  l’Armenia. Questo stato  adottò il credo cristiano come religione ufficiale prima che ciò avvenisse nella Roma di Costantino.

Quando nell’ottavo secolo  a Costantinopoli si verificarono delle lotte tra iconoclasti e iconodulici ( ovvero tra cristiani favorevoli e contrari alla venerazione delle immagini sacre) , l’atmosfera tesa spinse le suore basiliane a lasciare la città e trasferirsi a Napoli, dove fondarono un monastero in onore di San Gregorio Armeno.

Nel 1009, in epoca normanna, il monastero si unì a quelli vicini  di San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e quello dedicato a San Pantaleo per formare una sola unica grande  insula monastica  gestito da monache benedettine che ospitavano giovane ragazze  figlie di nobili famiglie . Le rendite provenienti dalle rette mensili nell’ospitare le nobili figlie associato al  denaro derivante dalle loro doti, le rendite fondiarie e la possibilità di possedere ricchezze personali incoraggiavano l’illuminata e colta committenza di badesse e di priore dai nobili natali; gusto ed eleganza erano riportate dai saloni delle feste e dalle cappelle gentilizie, nelle mura monastiche. Le singole stanze erano arredate con sfarzo e mobili di pregio e alle novizie monache accudite con garbo e gentilezza venivano concessi svariati privilegi, tra cui quello di avere una o due cameriere, un vitalizio da parte delle famiglia (che però veniva elargito alla madre superiora) ed un confessore personale, che aveva il compito di dedicarsi esclusivamente alla sfera spirituale della nobile monaca. Quest’ultima figura era particolarmente ben vista dalle giovani monache, che erano solite usare il loro vitalizio per fare, ai loro confessori, costosi e frequenti regali.

D’altronde molti dei  tanti conventi nati in tutta la città  erano sorti  principalmente per gestire le figlie non primogenite  di nobili famiglie aristocratiche .Era infatti in voga in tempi antichi che per diversi motivi ,ma principalmente economici , le seconde o terze figlie nate in una nobile famiglie si dessero alla vita monacale .La  nascita di una figlia femmina era vista come una disgrazia provocando nei genitori una terribile angoscia per la dote che essi avrebbero dovuto fornire poichè  questo significava indebolire il proprio patrimonio familiare .La dote era prevista  loro malgrado per la sola primogenita  e non era assolutamente ipotizzabile sprecare una seconda dote. Dividere un patrimonio familiare tra due o più figli significava indebolire la ricchezza ed il potere della famiglia , e  concedere più di una dote nuziale sarebbe risultato gravoso anche per le tasche dei casati più facoltosi.

Le seconde e terze figlie erano inevitabilmente destinate alla vita monacale ma ….di lusso.

Bisogna comunque considerare che la vita della donna fin dal Medioevo era molto dura : essa non aveva potere economico e la sua esistenza sociale era dovuta esclusivamente alla funzione di madre e moglie completamente assoggettata al volere del marito , generalmente impostole dal padre , e che era quasi sempre analfabeta.

Con la monacazione , paradossalmente , la donna si sottrae al suo destino e , anche se la scelta le è imposta da ragioni economiche e dinastiche del genitore , una volta entrata nel monastero le si aprono spazi di libertà più ampi rispetto a quelli offerti ad una giovane sposa : la possibilità di una alfabetizzazione non solo utile alla lettura delle opere religiose ma anche alla pratica della gestione del monastero , dove essa occupa spazi decisionali nell’amministrazione di una comunità che ha quasi sempre ampi rapporti economici e commerciali , nonchè relazioni continue con le autorità religiose e politiche.

CURIOSITA’ :

La nobiltà napoletana nel XVI  secolo , tende , con la monacazione forzata delle figlie femmine non destinate al matrimonio, a trasformare i monasteri femminili in propaggini delle casate stesse non solo utili a smaltire l’eccedenza demografica femminile , ma anche a gestire forme di potere sia politico che economico . La vita comunitaria in questi monasteri era una chimera : le monache occupavano appartamenti privati costruiti e tramandati dalle appartenenti alle famiglie nobili all’ interno delle mura conventuali , servite dalla converse , e gestivano sia patrimoni privati , sia quelli dello stesso monastero qualora occupassero alte cariche .

A questo punto è opportuno ricordare che nei monasteri le monache erano sopratutto suddivise in due grandi categorie : le coriste o signore e le converse . Le prime erano quelle che amministravano il monastero , guidate da una badessa ( sempre scelta dal loro gruppo ) , una vicaria e da poche altre . Esse gestivano le enormi risorse economiche del monastero ed erano coinvolte in esborsi anche personali per contribuire talvolta alle diverse spese che il monastero doveva sostenere . Le converse , di contro , svolgevano compiti molto umili ed erano a tutti gli effetti le servitrici delle signore e non godevano degli stessi privilegi .

 

Le nobili monache quindi non vivevano male se si eccettua la castità (?  ) e questo successe fino al famoso Concilio di Trento nel 1563 dove fu stabilito una più severa vita monacale con obbligo di clausura . Le stanze  a disposizione delle suore divennero più semplici e  spartane e gli stessi monasteri dovettero adeguarsi ad  una riorganizzazione degli spazi che dovevano rendere “invisibili” le donne, separandole dal mondo con alte mura, inferriate e ruote. Questo editto di fatto svuotò i monasteri di nobili monache che abbandonarono i conventi per far ritorno alle proprie famiglie.
Le monache di San Gregorio Armeno manifestarono il loro dissenso e solo per una  parte si adeguarono al nuovo ordinamento . Seppero con bravura barcamenarsi alle nuove direttiva  ecclesiastiche, sapendo  favorire mediazioni, accettare compromessi e aprire spazi di libertà e di creatività, divenendo parte attiva nel lungo, complesso e contraddittorio processo di riforma. Nonostante il divieto di mondanità, di ostentare ricchezze, di fare teatro o di eseguire canto figurato, esse fecero del monastero un celebre e raffinato centro di cultura e di arte, dove trovarono accoglienza, dal XVII al XIX secolo, rinomati pittori, scultori e musicisti.

 

Nel 1572 l’intero complesso fu totalmente ristrutturato . Nel 1574  si diede inizio ai lavori di demolizione della vecchia chiesa, che doveva trovarsi nel luogo dove è oggi il cortile e la cappella dell’Idria ( la sola superstite del primitivo organismo).Venne di conseguenza  realizzata una nuova chiesa stavolta defilata rispetto al monastero e , costruito  il  campanile .  Fu creato in piperno il grande scalone monumentale aperto che conduce all’ ingresso del monastero  ed il suo bel portale d’ingresso . Venne inoltre negli anni successivi completato il monumentale chiostro che oggi possiamo ancora ammirare .

 

 

Il portale d’ ingresso in marmo e piperno a buglie alternee e lo scalone aperto  furono  eseguito da Giovanni Vincenzo Della Monica nel 1500 .Varcandolo attraversiamo  un ampio scalone scoperto che rimedia al dislivello tra strada e quota del chiostro. Lo scalone è costituito da trentatré gradini in piperno ed è posto tra due alte pareti parallele decorate dove intravediamo scolorite dal tempo  colonne di marmo verde, avvolte da spirali di foglie, con al centro allegorie femminili su piedistalli, alternate con vere aperture  dal lato destro del chiostro,  verso gli ex parlatori, e a finte finestre lungo il muro che fiancheggia  a sinistra la strada, con scorci prospettici e scherzosi episodi di cani e gatti sui davanzali. Questi affreschi raffiguranti foglie , colonne e figure allegoriche statuarie che vediamo consumati dal tempo e dalle intemperie ( incredibile che non vengano protetti ) sono stati eseguiti sempre nel 1700 da Nicola Antonio Alfami.

Nel 1770 furono aggiunte sullo scalone delle fasce laterali ad opera dello scultore  Pietro Ghetti ( originario di Carrara ) che insieme al fratello Bartolomeo sono stati autori di alcune grandi opere in città come il fastigio sul portale del Gesù Nuovo, l’altare maggiore della chiesa di  Monteoliveto ed il sepolcro del Cardinale  Brancaccio.

 

 

A conclusione della rampa si trova il grande portale in legno di noce incorniciato da un arco marmoreo dove  si sviluppa la composizione ad affresco di Giacomo del Pò eseguita agli inizi del Settecento  raffigurante la Gloria di san Benedetto.Il portale di marmo conserva le antiche ante  in noce ai cui lati vi sono le ruote rivestite da lamine di rame e incorniciate da intarsi marmorei ripresi anche nella parte interna.

 

 

 

Una volta varcato l’ingresso  , attraverso un ambiente voltato, vi è una sorta di ampio corridoio, alle cui pareti sono affrescate alla sua sinistra un grande affresco raffigurante l’Annunciazione eseguito da Paolo De Matteis e a destra delle scene della vita di Giovanni Battista eseguite nel 1657 da Micco Spadaro . Alla fine del piccolo corridoio troviamo l’accesso al chiostro grande  (realizzato da Vincenzo Della Monica)  a mio parere uno dei più belli e suggestivi della nostra città.

Il chiostro è una vera e propria oasi di pace : un luogo ricco  di misticismo dove il silenzio ed il canto degli uccelli fanno da sfondo al bel giardino ricco di cedri e belle piante su cui affacciano le antiche stanze abitate un tempo dalle suore di clausura. Al  centro  possiamo ammirare la bella bianca fontana marmorea seicentesca e le due statue settecentesche opera del Bottigliero  che raffigurano Cristo e la Samaritana  a grandezza naturale (un richiamo al passo evangelico).

Si tratta di un vero capolavoro eseguito da Matteo Bottigliero  composto da strane maschere che spruzzano acqua , quattro cavalli alati e delfini con le code intrecciate sulla sommità.

 

 

 

Sulla destra si aprono degli accessi agli ex parlatori del monastero, tra cui quello dell’amministrazione, caratterizzato da un tondo sulla porta entro cui è il busto di san Gregorio Armeno scolpito da Matteo Bottiglieri.

 

Sul lato occidentale si affacciano la farmacia e il nuovo refettorio  ricco di magnifici affreschi alle pareti eseguiti da Dionisio Lazzari e Francesco Solimena . Troviamo inoltre due cappelle contigue e collegate tra di loro che rappresentano  l’unica testimonianza superstite della presenza al centro del complesso monastico prima del 1572 dell’antica chiesa di San Gregorio  : la cappella della Madonna dell’Idra con la sua pavimentazione in mattonelle a mosaico bianche e nere ( databili tra il I secolo a.C. e il I d.C ) abbellita da una volta e da tele dipinte da Paolo De Matteis e  da un altare marmoreo di Pietro Ghetti e la vicina  cappella  con lo stesso magnifico pavimento  oggi purtroppo spoglia e caratterizzata da nicchie vuote dove molto probabilmente un tempo vi erano collocate delle statue.

Dal chiostro si può anche  accedere al coro dell’abside della chiesa  al quale segue un corridoio (corridoio delle Monache) che  giunge  prima ad un vestibolo, dove è presente  una tavola del 400 che raffigura la  Madonna della Libera che si trovava  nell’antica chiesa, e poi  alla cappella del Presepe, chiamata in questo modo per  la bella scena dell’Adorazione dei pastori raffigurata nella pala d’altare ,dipinta  nel 600 da Ippolito Borghese.

Nella cappella si trova  una settecentesca scultura in legno intagliato dell’Immacolata di Pietro Pantaleo  e alle pareti varie decorazioni ad affresco di Belisario Corenzio  .

Un ‘altra importante cappella è quella delle reliquie dove sono conservate dentro una mobilia del 700 numerose reliquie di santi cui i monastero si è arricchito nel corso dei secoli .

Altro ambiente interessante è quello del salotto della badessa che conserva mobili ed arredi originali con decorazioni ed affreschi di gusto rococò.

Il salotto della badessa

Nell’angolo angolo sud-orientale si apre l’ingresso al coro grande sopra l’atrio della chiesa, sopra il  quale fu costruito in seguito  un altro  coro (chiamato “d’inverno”) più comodo per  le suore benedettine in quanto permetteva di raggiungere il coro  dai corridoi interni al monastero, senza dover passare  per il chiostro esterno.

Questo secondo coro fu costruito al di sopra del soffitto ligneo decorato, in corrispondenza dell’atrio di ingresso alla chiesa, sopra il coro pensile, o “coro principale.

Le monache decisero di costruirlo  ed utilizzarlo  per la preghiera notturna, evitando così  di dover attraversare tutto il monastero per recarsi in chiesa in piena notte, al buio e d’inverno con il freddo. Questo secondo coro fu  ricavato eliminando una parte del tetto e perforando alcuni vani inservibili della soffitta della chiesa e  fu denominato “coro d’inverno” . Ad esso  vi si accedeva direttamente dalle celle del secondo piano.

Questo secondo coro permetteva  alle monache anche la possibilità di avere una visuale verso l’altare maggiore della chiesa, concessa grazie ad un’apertura intorno all’ovale che incornicia la tela di San Benedetto tra i santi Mauro e Placido del soffitto della navata. 

 

Il monastero nel suo interno custodisce  un ricco archivio composto da manoscritti relativi alla vita del complesso religioso ed una importante  antica raccolta  musicale che comprende preziosi canti religiosi e vecchie composizioni di importanti musicisti dell’epoca ( Handel, Haydn, Paisiello, , Pergolesi ,Barbatiello e tanti altri ).

Entrare nel convento di San Gregorio Armeno è un’esperienza mistica. Attraversare il cancello un po’ nascosto del convento, salendo pian piano i gradoni d’accesso, è un po’ come passare un confine , oltre il quale non c’è più il caotico rumore del vicino vicolo di San Gregorio Armeno. Improvvisamente è come se entrassimo  in un altro mondo , fatto di silenzio, e spiritualità.  Sullo scalone si viene accolti da sfarzosi affreschi  a metà tra religione e mitologia mentre in corrispondenza della porta  la nostra attenzione viene subito catturata dal laborioso marchingegno  dalla ruota degli esposti,  attraverso il quale i bambini meno fortunati erano affidati alle monache e alla speranza di un destino migliore.

Ma rappresentavano anche l’unico mezzo con cui le monache di clausura comunicavano con l’esterno: le ruote, infatti venivano utilizzate anche per  il passaggio di cibo, lettere, vestiti, ecc.

 

 

affresco all’ingresso

 

Se il monastero era comunque riuscito a sopravvivere in qualche modo alle modifiche imposte dal concilio di Trento , il colpo definitivo gli fu dato da un altro decreto che avvenne nel  1742  ad opera  dell’arcivescovo Spinelli. Egli emanò  un editto diretto a tutti i monasteri e conservatori della capitale e della diocesi.  In questo  ribadiva il divieto assoluto di sostenere spese di qualsiasi genere e in qualsiasi circostanza, vigeva l’obbligo di annotare gli introiti e le uscite nei registri monastici in modo da garantire un maggior controllo sui movimenti di denaro.
Il cardinale Spinelli in particolare puntava il dito su una delle conseguenze più vistose provocata dalle continue elargizioni a favore dei monasteri: le doti, i vitalizi, le corresponsioni annue determinavano una circolazione di denaro che dava adito ad una mondanità in «perpetua gara di vanissime spese».

La conseguenza fu che ad inizio Novecento il monastero rischiò di essere scorporato, anche per la progressiva perdita di denaro: così l’ultima badessa, Giulia Caravita dei principi di Sirignano, acconsentì all’ingresso nel monastero di una nuova congregazione, quella delle Suore crocifisse adoratrici dell’Eucaristia che prese quindi possesso dell’edificio il 4 dicembre 1922.

Tra le cose curiose di questo monastero vi è  una targa che ricorda a tutte le suore il fatto che solo la madre badessa dalla seconda settimana di dicembre poteva  utilizzare i due forni (quello grande e quello piccolo) e quindi non rispettare il digiuno, a differenza delle altre suore.  Con il Concilio di Trento vennero istituite anche delle penitenze obbligatorie e i monasteri dell’epoca si adeguarono di conseguenza. Nel monastero di San Gregorio Armeno, ad esempio, nel 1692 vennero introdotte le “Scale Sante”, una scalinata costruita in un ambiente situato nella parte sinistra dell’altare maggiore, accessibile tramite il presbiterio. La particolarità sta nel fatto che le suore dovevano salire, in ginocchio, la scalinata ogni venerdì di marzo. Questa pratica è rimasta fino ai primi anni dell’Ottocento. Oggi la scala è ancora visibile e riflette la grandezza del barocco napoletano. Nella parte inferiore della scalinata, infatti, troviamo un dipinto che rappresenta degli angeli e dei simboli della passione.

Altra curiosità di questo monastero è la sua sopravvivenza alle soppressioni napoleoniche . Fu infatti uno dei pochi monasteri benedettini a rimanere superstite durante il periodo francese ( forse perchè uno dei più ricchi )

 

Il cinquecentesco campanile della chiesa, scandito in tre ordini con finestre aperte su entrambi i lati , sovrasta il vicolo di San Gregorio come un ponte collegando i due lati del complesso monastero .

 

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