L’antico Palazzo che si trova nell’antico largo della Conservatoria de’Grani, ora intitolata al sommo poeta Dante Alighieri, per la sua architettura è annoverato tra i più importanti del Seicento napoletano.
La sua costruzione ebbe inizio nel XVII secolo per volere del nobile Giovan Battista de Angelis. Successivamente, dopo essere stato gravemente danneggiato dai rivoltosi di Masaniello nel 1647, venne poi acquistato nel 1660 per 22.000 ducati , dal principe Fabrizio Ruffo, duca di Bagnara, capitano generale dell’armata navale di Malta. che incaricò l’architetto Carlo Fontana allievo del Bernini e fratello di Domenico Fontana, di ristrutturarlo.
L’edificio di forma rettangolare con muri perimetrali in tufo, è contraddistinto da una volte a botte nell’androne, dalla presenza di un cortile interno e dalla presenza della cappella di famiglia, la cui entrata è visibile sulla sinistra della facciata.
Il piano terra dell’edificio ricco di cornici a bugnato appare sormontato da un piano nobile caratterizzato da un robusto cornicione che forse concludeva il fabbricato originario del de Angelis.
Su questo cornicione originario l’architetto Fontana nel rifacimento dell’edificio , pensò bene di aggiungere altri due piani nel primo dei quali vengono inseriti due balconi alle estremità e per il resto finestre mentre il secondo portava finestre quadre e un tetto a spiovente.
La scala aperta sul fondale del cortile è a tre luci corrispondenti a quelle del porticato e alloggia delle statue di gusto neoclassico nonché una cupola sul passaggio centrale.
N.B. Questi ultimi elementi sono probabilmente frutto delle modifiche apportate nel 1842 da parte dell’architetto Vincenzo Salomone , incaricato dal principe di Sant’Antimo, che dotò anche di balconi tutte le aperture e in quelli preesistenti sostituì le balaustre con ringhiere in ferro, e adottò infine come finitura superficiale l’attuale intonaco in colore rosso pompeiano, adornando la terrazza con statue dei carraresi Carlo Finelli e Pietro Tenerani.
Il palazzo conservava un numero considerevole di quadri, dovuti alla mano di pittori del calibro di Van Dick, Poussin, Andrea Sacchi, il Guercino, Rembrandt, Stanzione, Ribera, Mattia Preti e Francesco Solimena.
N.B. Questa collezione di dipinti, dovuta per buona parte al gusto del cardinale Tommaso Ruffo fu donata allo stato italiano da Fabrizio , figlio di don Vincenzo, insieme a mobili e gioielli ( oggi si trovano nel Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma).
Sul finire dell’Ottocento il palazzo fu venduto a Giuseppe Gironda principe di Canneto’, deputato al parlamento e proprietario di una villa che si trovava dov’è ora la piazza Canneto.
CURIOSITA’ : Il palazzo fu sede nell’Ottocento di una scuola fondata dal marchese Basilio Puoti che vi insegnava la purezza della lingua italiana: fra gli allievi De Sanctis, Settembrini e Poerio. Poi nell’ottobre del 1943 fu sede delle riunioni del Comitato Napoletano di Liberazione Nazionale. Quest’ultima abolita nel 1814, fu di nuovo istituita nel 1819 col nome di Scuola degli Ingegneri di Ponti e Strade, e trasferita prima nel Palazzo di San Giacomo e poi nel 1859 nel Palazzo Orsini di Gravina a Monteoliveto.
N.B. Ricordo evidente della grandezza dei Ruffo di Calabria è il monumentale stemma di marmo che si trova sul portale che dà sul vico San Domenico Soriano. Per la sua monumentalità è senz’altro il gemello di quello che si trovava sul portale verso la piazza e di cui non rimane che il gancio di sostegno e la ghiera legata al marmo.
Il Palazzo Ruffo al Mercatello, come era chiamato il largo fuori Port’ Alba nell’Ottocento, ha purtroppo dovuto subire nel corsi del tempo tempo vari interventi di restauro che hanno sopratutto mutato la fisionomia della facciata principale .
Il portale oggi presente realizzato da Francesco Antonio Picchiatti venne poi
poi modificato da Giovanni del Gaizo che fece realizzare anche le due manierate scale nell’atrio, progettate insieme a Corinto Ghetti .
Questo palazzo è uno di quelli che maggiormente è stato protagonista di molte vicende legate alla storia di Napoli. Per più di due secoli, oltre i Ruffo duchi di Bagnara, principi di Motta e principi di Sant’ Antimo, vi abitarono infatti personaggi illustri. come Nicola Ruffo principe di Sant’ Antimo che sposò sua nipote Ippolita Maria Ruffo, la quale quando rimase vedova si unì in seconde nozze al famoso medico e anatomista Domenico Cotugno dimorando in questo palazzo.
Nello stesso vi abitò Eleonora de Fonseca Pimentel, l’accesa giornalista giacobina che fu vittima della reazione borbonica che la volle decapitata nella piazza del Mercato il 20 agosto 1799.
Come vi accennavo questo palazzo nel suo aspetto, oggi per certi versi decadente sopratutto perchè incastrato tra negozi che ne sottovaluano l’importanza , è ricco di avvenimenti storici. Egli come vi abbiamo detto, venne fatto costruire da Giovan Battista de Angelis tra il 1629 e il 1631. , il quale si era arrichito come mastro d’atti del Tribunale della Vicaria facendosi strada in maniera ambigua fornendo consigli su come aggirare gli ostacoli della giustizia, aiutato anche dall’amicizia con il reggente del Consiglio collaterale.
Nei racconti a noi pervenuti viene descritto come un uomo basso e pesante oltre il quintale che proprio per il suo enorme peso preferiva nei suoi spostamenti usare cavalli e carrozze. Cosa che comunque gli fu fatale, perché mentre percorreva la Strada di Chiaia con la sua carrozza, i cavalli imbizzarriti corsero all’impazzata e lui sobbalzando cadde sul selciato battendo la testa e morendo sul colpo’.
Il suo palazzo a quel punto dopo la sua morte venne ereditato dal figlio Antonio, che tanto brigò finché entrò nelle grazie del viceré don Manuel de Zúñiga y Fonseca conte di Monterey.
NB : In realtà fu al servizio del viceré come ruffiano, assecondando tutti i piaceri del governatore; era al suo fianco nelle giostre, nei tornei, a teatro e durante le battute di caccia. Si conquistò il soprannome di Tonno d’Agnolo, adescando per il viceré giovanette che venivano portate nei bordelli.
Questa sua condotta gli procurò la nomina a “eletto del popolo”, divenendo qualche tempo dopo consigliere regio. Queste discutibili credenziali lo aiutarono a ottenere i favori anche dai successivi viceré. Riuscì a farsi delegare dal viceré Juan Alonso Enríquez duca di Medina de Rioseco per le riscossioni della gabella sulla casa, tributo che lui stesso aveva promosso.
Ora certamente capite che in conseguenza di questi suoi consigli che egli dava ai vari vicerè , Antonio de Angelis , non era ben visto dal popolo che lo apostrofavacome
«consigliere del mal consiglio», e le cose si misero male per lui quando il successivo e nuovo viceré, don Rodrigo Ponce de León duca d’Arcos, fidandosi anch’egli di De Angelis, decise di aggiungere e istituire nuove gabelle a quelle già esistenti ( il de Angelis dalla riscossione di questa nuova gabella insieme ad alcuni appaltatori e subappaltatori si ripromettevano ingenti guadagni ) .
Queste furono causa di quella violenta insurrezione popolare capeggiata da Masaniello, avvenuta in città il 26 dicembre del 1646, Inizialmente ad essere perso d’assalto nella zona fu il palazzo nel largo della Conservatoria de’ Grani, che diventò l’oggetto della ferocia popolare.
Ad esso seguì immediatamente dopo il palazzo De Angelis, il cui proprietario era considerato dagli insorti come uno dei principali responsabili delle loro miserie, dovute alle tante imposte da pagare.
Un primo tentativo di assalto al palazzo fallì grazie alla prontezza dei servitori, che chiusero il portone sprangando i battenti. Ma il giorno dopo gli insorti in massa, fecero irruzione asportando oggetti e suppellettili che furono portati in strada. In ultimo appiccarono il fuoco a ciò che restava. Il ricco mobilio riverso nella strada formava «cinque cataste di straordinaria altezza»
Rinforzarono le schiere dei popolani i «villani di Giugliano, Marano, Melito, Mugnano e Fratta persone più feroci di loro», che incendiarono l’edificio delle fosse del grano e si ritirarono nel «prossimo palazzo del cattivo Consigliere del vicerè, con rimanervi diciotto dei loro uccisi tdella battaglia contro le forze militari spagnole .
Dopo questi avvenimenti il palazzo restò disabitato, anche perché le sue condizioni dovevano essere notevolmente precarie, tanto che il De Angelis chiese invano un risarcimento al viceré per riparare i danni.
All’abbandono dell’edificio seguì nel dicembre del 1647 la morte del De Angelis, che intanto aveva preso asilo con i figli in Castel Nuovo. Così il palazzo divenne terra di nessuno, fino a quando vi si acquartierarono i soldati spagnoli. Infine, i figli del De Angelis, non potendo far fronte alle ingenti spese per la riparazione, lo vendettero per 22.000 ducati a don Fabrizio Ruffo , un nobile aristocratico nato al 1619, che eletto Gran Croce e Priore di Bagnara e doppo Gran Priore di Capua, occupato molte cariche, tra le quali anche quella di Capitano generale delle galere di Malta .
Egli era un uomo molto ricco, e disponendo di grandi capitali, che per la maggior parte provenivano dai ricchi bottini lucrati nelle vittoriose imprese militari come comandante della flotta navale sotto la bandiera di Malta, si dedicò molto agli investimenti mobiliari, commerciando la seta, concedendo mutui a mercanti e agli stessi familiari, titoli di stato con arrendamenti di tabacco, seta, zafferano e acquavite, ma sopratuto gestendo i pagamenti fiscali di numerose università civiche.
Il palazzo di largo mercatello di cui vi scriviamo, fu solo uno dei tanti suoi acquisti di beni immobiliari. Acquistò infatti nel 1690 lo Stato di Maida e numerosi fondi rusticiper 148.000 ducati mentre per ben 50.000 ducati comprò anche le terre di Popone, Arbusto e Sant’Antonio, accumulando un cospicuo patrimonio a ridosso della grave recessione economica di metà Seicento.
Personalità complessa Fabrizio Ruffo, benefattore instancabile nel concedere sussidi e disporre legati. Ordinò per testamento che il lunedì, mercoledì e venerdì si distribuissero dodici ducati al mese ai poveri fuori Palazzo Bagnara a Napoli. Altri duecento ducati li destinò a maritaggi da assegnare a «figliole povere, vergini, orfane della Terra di Fiumara di
Muro e di Maida»