La piccola isola di Procida , all’ ingresso del golfo di Napoli e’ costituito da un altopiano che scende a strapiombo sul mare .
Il perimetro costiero e’ punteggiato di sentieri che conducono a spiaggette e insenature mentre le passeggiate verso l’ interno offrono bei paesaggi e ampi panorami .

Passeggiando per questa meravigliosa isola , dopo  solo aver mosso i primi passi nel porto , superato il primo momento di  assoluta meraviglia,  non dovrete far altro che inoltrarvi  immediatamente nelle e tante stradine che si inerpicano verso l’interno e sfociano nei punti panoramici. Un dedalo di vicoletti che conquistano con la loro anima popolare, tra panni stesi e lo splendore dell’architettura tipica procidana, dove le case dipinte con colori tenui sono caratterizzate da un ampio arco esterno e dalla scala scoperta a becco d’oca. Queste costruzioni sono rimaste pressoché invariate nel corso del tempo, e oggi fanno parte di uno dei panorami più famosi del mondo.

Il biglietto da visita dell’isola è sicuramente rappresentato da Marina Grande.  Essa è il cuore pulsante, dove stazionano i mezzi di trasporto principali, ma anche dove si trovano gran parte dei ristoranti e dei negozi. Il centro turistico per eccellenza, è  Via Roma  dove sono situati diverse botteghe di artigianato tipico, e gli edifici religiosi più visitati: come la per esempio la chiesa della Pietà , la quale contiene un crocifisso risalente al 1845 ed un particolare campanile in stile Barocco.

La strada principale e’ invece costeggiata da caratteristici palazzi nobiliari impreziositi da  singolari strutture architettoniche, come i cosiddetti Vefi, balconi di origine araba ricoperti da archi. Tra i suoi monumenti , il piu’ amato e’ la chiesa abbaziale di San Michele , che ospita all’ interno un prezioso dipinto di Luca Giordano .

CURIOSITA’:  la parola Vefio in dialetto procidano indica “il muretto di terrazzi e loggiati” dal quale ci si sporge.

Il borgo marinaro più antico di Procida è invece la vaiopinta  Marina della Corricella caratterizzato  dalle sue classiche casette color pastello

Tra le antiche case multicolori dei pescatori di marina di Corricella , una delle insenature piu’ suggestive di Procida , tra i vivaci colori delle sue case si puo’ mangiare e ascoltare contemporaneamente il mormorio della risacca del mare in un’atmosfera suggestiva e al contempo assai vivace .
L’ isola , di origine vulcanica , che insieme a Vivara e Ischia forma il gruppo delle Flegree, possiede da sempre un fascino particolare : il silenzio dei suoi vicoli , i colori vivaci degli antichi edifici , i quartieri affacciati a grappolo sulle marine , accompagnano l’eventuali passeggiate all’ insegna della tranquillita’ .
L’isola si estende per una superficie di circa 4 chilometri quadrati di forma irregolare .
A Nord si trova il monte San Michele su cui e’ arroccato il villaggio medievale di Terra Mutata. A Est e a Ovest vi sono le rade di Sancio Cattolico dove e’ situato il porto e l’insenatura di Corricella con un villaggio variopinto di pescatori .
Terra Murata è il primitivo nucleo abitativo di Procida, l’antica Terra Casata così chiamata per la presenza di numerose case addossate le une alle altre, con una brevissima distanza tra loro per impedire il passaggio dei pirati barbareschi

Si tratta di un borgo medievale sorretto dalle mura (da qui il nome), costruito per assicurarsi la difesa dagli attacchi via mare.  In esso un tempo si entrava attraverso la Porta di Mezzomo che si apriva al mattina e si chiudeva la sera per una questione di sicurezza.

Camminando per le strade di Terra Murata vi imbatterete in tante ramificazioni di stradine che attrarranno la vostra curiosità, e continuando a salire raggiungerete l’Abbazia di San Michele Arcangelo, il santo patrono e protettore dell’isola, ed il Palazzo D’Avalos, un ex carcere dall’importanza storica.

Nel ‘600 Procida divenne feudo della famiglia D’Avalos ( governatori dell’isola fino al 700 ) ; questi ristrutturarono il borgo che rinforzarono con possenti mura come deterrente per i pirati che giungevano dal mare , e costruirono quello che da sempre e’ stato l’edificio dominante della Terra Murata , ‘il Palazzo d’Avalos ‘, dimora gentilizia della nobile famiglia .
Il palazzo rinascimentale realizzato diede via al complesso sistema dei Casali nati attorno alla fortezza (Casale Vascello, Marina Grande, la Corricella).
Nella ristrutturazione dei D’Avalos venne costruita la via del Castello che portava al palazzo e la piazza circostante la struttura. In tale circostanza il cardinale D’Avalos spiano’ tutto il terreno circostante per la costruzione della via .
Il terreno agricolo della Spianata cosi’ chiamato ancora oggi , e’ un luogo così chiamato perché era appunto la zona ‘spianata’ dal cardinale D’Avalos per la costruzione di via del Castello.
Nella tenuta di 20mila metri quadrati si allevavano animali e si coltivava la terra, vendendo i prodotti una volta a settimana in una sorta di mercato che si teneva nel carcere.
Del palazzo , oggi resta il cortile con il pozzo e la facciata rinascimentale che ricorda molto i palazzi dell’Italia centrale, con un rivestimento in piperno.
Nel 1830 l’edificio fu trasformato in carcere , e tale e’ rimasto per circa 150 anni ( prima con i Borbone e poi con lo Stato italiano ) e fu chiuso definitivamente solo nel 1988.
Appare comunque ingiusto che il complesso di Terra Murata con una storia cosi’ lunga venga ancora oggi ricordato come tale solo per il breve periodo in cui e’ divenuto carcere .
Ad ogni modo poiche’ e’ oggi possibile visitare l’ex carcere appare interessante notare che i Borbone già’ avessero in quell’epoca adottato un sistema di recupero dei detenuti mostrando idee riformistiche certamente non faceva parte della nuova Italia dei Savoia all’epoca ( vedi strage di Fenestrelle ) .
C’era infatti un settore dedicato alle lavorazioni, tra cui le telerie, la falegnameria, la legatoria , istituite intorno agli anni 1830-40 dai gesuiti affinché il detenuto fosse impegnato in attività lavorative per redimersi
Il complesso Monumentale è costituito dal Palazzo D’avalos, il cortile, la Caserma delle guardie, l’Edificio delle Celle singole, Edificio dei veterani, la Medicheria, la Casa del Direttore, e il tenimento agricolo Spianata.

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Breve storia dell’isola

Sono davvero tante le leggende legate alla storia di Procida, in primis quelle connesse al suo nome. Infatti, si dice che il nome derivi dalla parola greca ‘prochetai’ (giace), il collegamento è legato alla forma dell’isola. Che se guardata attentamente sembra essere addormentata nel mare.

Mentre un’altra leggenda narra che quest’isola ha preso il nome da una nutrice di Enea. Quest’ultima, sepolta proprio a Procida dallo stesso Enea, una volta sbarcato sull’isola.

Non manca nemmeno la versione più surreale, secondo cui il suo nome derivi dalla parola prochyo. Che in latino è traducibile come profundo, indicando quindi che l’isola sia stata profusa dal mare verso la superficie.

La meno fantasiosa è quella che lega il nome Procida alla parola latina praecidaneus (vendemmiale). Questo perché a differenza delle altre isole limitrofe caratterizzate ancora oggi sorgenti termali, veniva frequentata solamente in occasione della vendemmia. Infatti questa terra è molto generosa, offre delle uve dal sapore incredibile.

Purtroppo con esattezza nessuno sa quale sia la ‘leggenda’ più reale, ma quello che è certo riguardo alla sua nascita è legato all’eruzione di ben quattro vulcani. Attualmente spenti e anche sommersi. Infatti l’isola fa parte geologicamente della zona dei Campi Flegrei.
A testimonianza di ciò, i resti come il tufo giallo/grigio e i basalti.

Appartiene a Procida l’isolotto di Vivara, a cui è unita da un ponte. Probabilmente su questa piccola isola tra il XVI – XV secolo a.C le tracce della prima popolazione: i coloni Micenei. Vivara venne scelta dai Micenei come luogo in cui fabbricare i metalli.

Ma le popolazioni che hanno abitato qui sono davvero tante, infatti senza alcun dubbio anche i coloni Calcidesi (che provenivano dall’isola di Eubea) e i Greci di Cuma sono ‘passati’ per Procida. Di quest’ultimi è possibile ancora ammirare il patrimonio culturale ed artistico come le case color pastello e i borghi di Callia e Corricella.

Non sono mancati, ovviamente, gli insediamenti da parte dei patrizi romani, veri e propri amanti del Golfo di Napoli. A testimonianza di ciò la presenza di numerose ville ancora presenti e gli apprezzamenti del poeta Giovanile. Il quale la decantò come un posto perfetto per soggiornare in tutta tranquillità.

Come la maggior parte delle isole del golfo partenopeo anche Procida ha subito nel corso degli anni numerosi attacchi barbarici. Senza dubbio, uno dei più catastrofici è stato quello da parte del pirata Barbarossa e la sua flotta.

Una forte connessione della storia di Procida la troviamo con la città di Napoli e le sue dinastie: Normanni, Svevi Aragonesi, Spagnoli, Habsburger austriaci e Borbone.

Ma solamente dopo l’Unità d’Italia è divenuta il gioiello del Mediterraneo che le ha permesso di essere nominata anche ‘Capitale italiana della Cultura 2022’. Un traguardo importante, frutto delle ricchezze di questa terra e degli investimenti fatti per salvaguardarla.

Procida però non è solamente una meta estiva rinomata per il sole e per il mare, ma anche un palcoscenico di grandi eventi culturali. Tra i più famosi il ‘premio letterario Elsa Morante’ che si tiene nel mese di settembre di ogni anno. Uno dei più blasonati di tutto il nostro Paese.

 

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LA PASQUA A PROCIDA

La Pasqua a Procida è un evento ricco di tradizioni popolari che richiama migliaia di persone tra turisti e fedeli che assume notevole valenza di emozioni, spiritualità e folklore. Si tratta di una tradizione secolare a cui partecipano tutti gli abitanti dell’isola .
I procidani vivono questa festa con grande partecipazione, entrando nel clima pasquale molte settimane prima, con la preparazione dei “misteri”, carri allegorici realizzati faticosamente attraverso lunghi mesi e nottate di lavoro .
I carri realizzati rappresentano immagini della vita di Gesù .
A partire dalla domenica delle Palme, i fedeli si recano in chiesa in processione portando un rametto di ulivo o di palma, che viene benedetto durante la messa, con valore propiziatorio, tornati a casa il pranzo sarà rigorosamente umile, per rispettare una lettura del passo del Vangelo, dove si descrive la Passione di Cristo.
Un detto procidano cita: “Domenica delle palme, messa lunga e tavola corta”.

La sera del Giovedì Santo, viene svolta la suggestiva processione degli Apostoli Incappucciati dove dodici confratelli della Congrega dei Bianchi impersonano i dodici Apostoli ai quali si aggiungono il Priore, i cerimonieri, il centurione.
Con il capo coperto si incamminano per le strade dell’isola rappresentando in alcune chiese il rito della lavanda dei piedi.
La processione viene organizzata ogni anno dalla più antica confraternita dell’isola, quella dei Bianchi o del SS. Sacramento, fondata nel 1583 dal cardinale Innico D’Avalos d’Aragona.
La prima parte del rituale della processione, si svolge nell’Abbazia di San Michele Arcangelo . Dodici confratelli dei Bianchi, indossando il loro abito di confraternita, durante la solenne messa, celebrano il rituale della Lavanda dei Piedi.
Al termine della messa, gli apostoli s’incappucciano e con una croce sulla spalla, una corona di spine sul capo procedono in processione scortati dalla figura del “centurione”, dai cerimonieri, dai restanti partecipanti della confratenita e da altri uomini appartenenti ad altre confraternite che sfilano con in mano dei grossi ceri.
Le soste della processione vengono effettuate presso le chiese che s’incontrano lungo il percorso.
Al termine della processione, gli apostoli sostano in una chiesa prestabilita per il rituale dell’Ultima Cena.
Gli apostoli, disposti lungo un grosso tavolo, consumano un frugace pasto a base di legumi, pesce arrostito, agnello, pane azimo e vino.

Il Venerdì Santo, viene svolta la grande processione dei Misteri.
I “misteri” sono carri con scenografie che rappresentano scene del Vecchio Testamento e del Vangelo realizzate con vari materiali : cartapesta, legno, plastica, polistirolo e altri materiali poveri.
Le pesantissime tavole sono realizzate ex-novo ogni anno, nel numero di 40 – 60, e percorrono, sorrette a braccio dai confratelli , il centro storico dell’isola, generalmente da Terra Murata a Marina Grande.
La partecipazione alla processione è molto sentita e coinvolge l’intera comunità isolana.
La processione viene organizzata dalla confraternita dei Turchini o dell’Immacolata Concezione, fondata nel 1629 dai padri Gesuiti .
Nella piazzetta antistante l’Abbazia di San Michele Arcangelo, il confratello dei Turchini più anziano procede alla cosiddetta “chiamata”, o raduno, di tutti i partecipanti secondo un ordine ben stabilito.
La processione si apre con il suono di una tromba seguito da 3 colpi di tamburo che chiama a raccolta la popolazione .
Da Terra Murata, l’antica fortezza a 90 metri sul livello del mare, sopraggiunge il corteo della Congrega dell’Immacolata Concezione. I confratelli, con le loro mantelline azzurre e turchesi (da cui l’altro nome di Congrega dei Turchini), si prendono il centro della scena.
Il clima è surreale e Incute timore, come se l’atmosfera fosse ancora quella dei primi del ‘600 quando – si racconta – non mancavano scene cruente di autoflagellazione. Per fortuna, l’arrivo dei bambini stempera immediatamente l’elettricità nell’aria. L’ambiente diventa festoso. Cominciano a sfilare i Misteri.
I primi carri sono quelli dei bambini. Seguono gli altri carri allegorici con rappresentazioni del Vecchio Testamento e del Vangelo .
Ai “Misteri” seguono le “statue” che sono portate a spalla da due o quattro giovani ; le statue della Madonna dell’Addolorata e del Cristo Morto. Dietro quest’ultima, il corteo dei fedeli .
Ai lati del corteo sfilano due ali di confratelli, ciascuno avente in braccio un “angioletto a lutto” per la circostanza, bambini piccolissimi – uno, due anni – vestiti con abitini neri bordati d’oro.
I padri con la divisa bianca e azzurra della Congrega portano in processione i figli più piccoli, ancora più piccoli di quelli che hanno aperto la sfilata dei carri.
Un vero e proprio “rito di iniziazione” dove tutto si tiene: sacro e profano; tradizione e innovazione; passato, presente e futuro; padri e figli.
Il percorso è tutto in salita. Si procede lentamente. Si respira un’atmosfera di fede e profonda devozione. Il “Cristo” sale alla “Terra”, accompagnato dal salmodiare, in latino, di sacerdoti e fedeli.
La processione dei misteri ha termine in Piazza Marina Grande, mentre le statue del Cristo e dell’Addolorata vengono ricondotte nell’Abbazia di San Michele Arcangelo ove, nel primo pomeriggio, viene celebrata la famosa funzione religiosa de l’ Agonia.

La Domenica di Pasqua, la tradizionale messa con i riti della liturgia cattolica, chiude la settimana Santa e ad ogni fedele, resterà quel carico di spiritualità che lo sosterrà nell’anno a venire.

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