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Se vi recate nel Museo di zoologia, a Via Mezzocannone, troverete esposta in bella mostra lo scheletro di un elefante indiano che giunse nelle nostra città il 1 novembre del 1742, per trovar dimora nel maestoso parco, della meravigliosa nuova reggia reale borbonica che dolcemente degradava verso il mare.
La bellissima struttura era stata concepita nel 1738, da re Carlo di Borbone e la sua consorte Maria Amalia di Sassonia, come residenza estiva della famiglia reale borbonica e della sua corte .
Il re dando inizio alla costruzione della bella villa reale, da un lato accontentò la moglie che aveva espresso la volontà di costruire qui una casa di campagna,e dall’altro colse l’occasione di seguire da vicino gli scavi archeologici ercolanesi, molto promettenti all’indomani della scoperta della Villa dei Papiri. Egli in maniera lungimirante aveva infatti aveva ben capito fin dalla visita alla villa del principe d’Elboeuf che tutti i ritrovamenti archeologici della zona , passati sotto la sua proprietà e protezione avrebbero solo portato ricchezza e lustro al suo regno.
Il re Carlo volle infatti successivamente creare in quel luogo anche il Museo Ercolanese, per concentrare i reperti che venivano fuori dagli scavi.
Il paesaggio che si poteva ammiare dalla nuova reggia era straordinario, il panorama spaziava su tutto il Golfo di Napoli con vista su Capri, Ischia e Procida, una rigogliosa selva degradava verso il mare, l’aria era salubre e le campagne molto fertili.
Una vera meraviglie era sopratutto il maestoso parco, dolcemente degradante verso il mare, suddiviso in due parti : il bosco superiore che portava verso il Vesuvio ed era originariamente dedicato alla caccia ed il bosco inferiore di tipo ornamentale dal quale si poteva accedere verso il mare.
La parte inferiore di dimensione più ridotte, era caratterizzato da lunghi e ampi viali, contornati di giardini all’inglese che facevano da sfondo a belle opere d’arte come la bella “fontana delle Sirene” , una statua di scavo che raffigura la “Vittoria”, il “Chiosco” di re Carlo, la fontana dei Cigni e la statua di “Flora”, Esso non era altro che parte dell’ antico e preesistente bosco del marchese di Mascambruno , ricco di numerosi lecci ed in pendio verso il litorale marino del Granatello ( dove venne realizzata la costruzione del Bagno della Regina al Granatello ).
Al centro del parco si trovava come adesso una peschiera grande , un piccolo laghetto ( per la pesca dei fanciulli reali ) , una peschiera piccola dove venne creato un giardinetto all’ inglese ,ed un lungo canale rettilineo un tempo colmo di acqua di mare e ricco di pesci , destinato al divertimento della corte e dei reali infanti .
La parte superiore recintato da cancelli e popolato di selvaggina venne invece dedicato dal sovrano alla caccia; esso fu ampliato per una notevole estensione dando luogo ad un incredibile bellissimo bosco di circa 36 ettari che si estende fino alle falde del Vesuvio ,ricco di lecci , quercie , faggi, e pini silvestri. Esso era talmente grande che nel suo interno vi fu anche allestito uno zoo con specie di animali esotici che il sovrano Ferdinando IV volle far giungere dall’estero, Esso veniva denominato ‘ serragli delle selve ‘ ed era incredibilmente ricco di animali rari ed esotici che per lunghi anni del Regno era una delle maggiori attrazioni del Parco .
Erano presenti in questo luogo due grandi leoni ( maschio e femmina ) dell’Africa, una coppia di pantere ,quattro antilopi ,molti canguri Struzzi africani, aironi, una leonessa di Persia ( dono del re Ottone di Grecia ), un istrice ,ed infine quel grande elefante indiano di cui vi abbiami inizialmente scritto , che secondo molti venne donato al re Carlo dal sultano turco ottomano Mahmud.
CURIOSITA ‘: Secondo alcuni autori il mastodontico elefante venne addirittura comprato da re Carlo, attraverso l’intermediazione del conte Finocchietti, ambasciatore del regno di Napoli in Turchia, che chiese al l Primo Ministro turco Conte Salas di scovare qualche rarità da portare a Napoli per adornare la nuova Reggia Porticese; egli nonostante fosse stato ammonito dall’ambasciatore dell’elevato costo del pachiderma, non badò a spese e pago il grosso animale un prezzo fantasmagorico.
N.B. Ecco quanto scriveva l’ambasciatore al conte :«… tali animali, scriveva, mangiano per quanto mi è stato assicurato un zecchino di robba al giorno ognuno; in più c’è il costo del viaggio, e la spesa delli uomini che li condurranno; non vorrei che la spesa paressi troppo gravosa…”.
Ma quando l’elefante arrivò, nel 1742, Carlo e la sua corte , rimasero estasiati dalla imponenza dell’elefante. Il re e la regina erano molto compiaciuti di avere questo strano ( per l’epoca ) ed atipico animale ed orgogliosi lo fecero più volte condurre al loro cospetto .
I reali orgogliosi lo facevano spesso esporre al popolo e consapevoli di essere gli unici ad averlo ordinarono al pittore Giuseppe Bonito l’esecuzione di un dipinto dove fosse ritratto l’elefante che Carlo invio’ poi il quadro in Spagna a suo padre Filippo V. ( oggi si trova nel Palazzo reale di Caserta.).
L’elefante venne esposto nelle parate e fu portato anche sulla scena del teatro San Carlo nell’opera del Metastasio Alessandro nelle Indie; potete immaginare lo stupore del popolo napoletano.
L’elefante finì per essere introdotto anche nel presepe reale dove sostitui’ un dromedario e la nuova scena presepiale si può’ ancora oggi ammirare nel presepe presente al Museo di Capodimonte dove il piccolo elefante viene considerato un pezzo unico nel suo genere per rarità ed eleganza .
Alla cura del pachiderma Carlo assegnò un caporale dell’esercito borbonico, un certo Pietro Sandomenico che ogni tanto lo portava a passeggio tra le vie della città’ dandosi grande importanza . Egli con il passare del tempo divenne oggetto di invidia da parte dei suoi commilitoni perché, oltre a ricevere il suo stipendio ordinario, veniva compensato con generosi sottomano, mazzette, dispensate dalle migliaia di napoletani che volevano far aprire la stalla per ammirare l’elefante. E quindi si era arricchito .
ll prezioso elefante , curato e cocccolota dal caporale , visse nel parco reale di Portici , fino al luglio del 1756, quando forse per la scorretta alimentazione (probabilmente nessuno sapeva bene cosa fargli mangiare), morì prematuramente.
Dopo la sua morte il soldato dovette tornare ai pesanti incarichi ordinari dei soldati, e fini l’epoca della vita comoda. Ecco perché, dopo la morte prematura, nacque il detto popolare (citato anche da Benedetto Croce); “Capora’, è muorto l’alifante! (“Caporale, è morto l’elefante!”),
L’elefante alla sua morte fu imbalsamato e mandato alla Reale Università’ degli Studi dove ancora oggi è’ visibile al Museo di zoologia, ma senza la pelle e le zanne che furono da sconosciuti ladri trafugate.
CURIOSITA’: Se i Borbone ci hanno lasciato lo scheletro di un elefante, i Savoia ci hanno invece lasciato una testa intera di elefante imbalsamata alla Biblioteca Nazionale, che oggi è conservata nel fondo Aosta., una meravigliosa attrazione documentale ancora oggi ( nonostante il gran numero di tiktoker che narrano di Napoli ) ancora sconosciuto alla maggior parte dei napoletani . Esso lo si deve alla grande esplratrice Elena d’Orleans, duchessa d’Aosta nonchè sposa di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta.
Una increbile donna animata da passione e curiosita che viaggiando in tutto il mondo raccolse molto materiali fotografici e libri straordinari. Nel 1947 donò tutto alla Biblioteca Nazionale.
Oltre a tantissimi libri, e circa diecimila foto straordinarie, reperti provenienti dall’Africa che sono interessantissimi: animali imbalsamati, idoli delle tribù africane, asce pugnali e lance di guerrieri africani, artigianato indigeno. E infine una grande testa d’elefante imbalsamata.



















