Con lo  scoppiare della Rivoluzione francese nel 1789 e  la morte per ghigliottina dei reali di Francia avvenuta qualche anno dopo  (1793) , la politica del Re di Napoli e Sicilia  Ferdinando I e della sua consorte Naria Carolina d’Asburgo – Lorena ( l’altro sorella di  Naria Antonietta  e figlia dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa) comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino.

La rivoluzione francese e la decapitazione dei due sovrani, Luigi XVI e Maria Antonietta,  destò stupore e gettò nel panico tutte le monarchie europee .

 

 

 

 

 

 

 

 

Il periodo certamente non era dei migliori neanche alla corte napoletana dove un pò dappertutto si respirava aria di repubblica.ed anche la corte Napoletana, che reagì  infittendo i controlli di polizia e perseguitando pesantemente l’opposizione interna.

Il Regno di Napoli  per reazione aderì quindi alla  prima coalizione antifrancese e cominciò nel mentre le prime, seppur blande, repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di “simpatie” giacobine. che portarorn a degli arresti e a delle prime condanne a morte di esponenti di varie società segreta rivoluzionaria, ma sopratutto di quella famosa  Società Patriottica Napoletana che fu fondata a Napoli dal farmacista  Carlo Lauberg nel  1793,

N.B. La prima coalizione antifrancese fu un’alleanza costituitasi nel 1792 e  poi continuata fino al 1797 tra la maggior parte delle Monarchie europee dell’Ancien Régime contro la Francia rivoluzionaria.

La regina Maria Carolina che inizialmente aveva addirittura appoggiato la Massoneria di quei  tempi, era non solo molto amareggiata per la morte della sorella morta gigliottinata dai moti rivoluzionari del 1793, ma fortemente impaurita di perdere anche lei la testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Carica di odio nei confronti dei rivoluzionari liberali francesi  la regina a quel punto  era oramai convinta che il regno fosse  pieno di giacobini pronti alla rivolta . Organizzò quindi subito una fitta rete di spionaggio che operava nei luoghi pubblici e nell’intimità delle case le cui spie erano sacerdoti , magistratie d alcuni nobili ( fra cui primeggiò Fabrizio Ruffo  principe di Castelcicala). Essi conferivano  di notte con la regina ed il re nella reggia nella sala chiamata “sala oscura”.

N.B. Un ruolo primario in questa circostanza lo ebbe il clero che oramai libero dalle restrizioni anticlericali del Tanucci era divenuto grosso amico della casa reale.
Nelle chiese e nei confessionali fu messa quindi in atto una vera campagna anti-giacobina rivolta ai fedeli nell’intento di aizzare il popolo contro i francesi.

La regina, carica di odio e fortemente rancorosa nei confronti dei francesi e dei repubblicani   mise in atto in tutto il regno una vera e propria campagna di odio nei confronti dei giacobini e delle loro idee liberali ed a farne le spese furono inizialmente sopratutto molti intellettuali dell’epoca come i Pagano, Cirillo, ed il Conforti che furono spiati e malvisti ( i libri del Filangieri furono addirittura banditi dal Regno).

CURIOSITA’: Per comprendere il suo odio nei confronti di tutto cio’ che era francese e repubblicano basti pensare che tra i quadri del suo palazzo di corte a Napoli vi era una rappresentazione della morte di Luigi XVI e di sua moglie con in basso aggiunta una scritta per mano della stessa regina che diceva :  Giuro di perseguire la mia vendetta fino alla tomba.

CURIOSITA’:  Eppure la stessa regina fino a poco tempo prima, era quella che maggiormente appoggiava e proteggeva nel regno gli spiriti “illuminati” del tempo . Far parte della massoneria  all’epoca significava infatti in quei tempi, anche essere membro del top dell’elite culturale) e in citta’ a quei tempi nacquero molte  dottrine illuministiche. Con la sua  politica, la regina ,  promosse numerose riforme che favorivano i movimenti massonici di quei tempi ( tutti i più grandi studiosi dell’epoca ne erano membri .La  Corte borbonica aveva infatti fino ad allora offerto  ospitalità a molti diversi  intellettuali e Napoli era seconda solo a Parigi per il fiorire degli studi filosofici, giuridici e scientifici (Della Porta, Giannone, Vico, Genovesi, Filangieri),  La stessa regina creò l’unica Loggia Massonica femminile al mondo mai esistita, e la creò a Napoli, ricevendone immense lodi dalla Francia.

N,B. Ciò è una delle prove che dimostra la sua volontà di riforme per la parità uomo-donna.
Ricordiamo che aprì anche collegi femminili, cosa unica al tempo e sopratutto per suo volere nello statuto della nuova nascente colonia di San Leucio venne  stabilità per legge la parita uomo-donna ed il diritto delle donne.

All’arrivo di  Napoleone in Italia che fu visto dalla corte borbonica come il diavolo, la regina, di carattere duro e insensibile, molto simile a quello della mamma Imperatrice,  era quindi pronta a scontrarsi con Napoleone.

La corte reale borbonica  provvide  quindi immediatamente a potenziare l’esercito e fortificare il  territorio con forte  aggravio per l’Erario. Furono arruolati per l’occasione tutti gli uomini atti alle armi garantendo a chiunque si arruolasse una decennio di franchigia fiscale e assicurata un’immunità da eventuali condanne in atto.

Nel frattempo nel  1796 le truppe francesi, guidate dal generale  Napoleone Bonaparte  cominciano a riportare significativi successi  nella parte settentronale della penisola italiana e le stesse truppe armate napoletane pur forti di circa 30.000 uomini, il 5 giugno furono  costrette all’Armistizio di Brescia e a lasciare ai soli austriaci l’onere della resistenza ai francesi.

N.B. Nell’armistizio di Brescia  si decise il ritorno della città di Bresca all’Austria , la neutralità del sovrano borbonico verso i francesi e  la chiusura dei porti alle navi coalizzate.

Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l’una dopo l’altra vengono proclamate delle repubbliche “sorelle”, filofrancesi e giacobine (la  Repubblica Ligure, la Repubblica Cisalpina che si estese principalmente nelle odierne regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e, marginalmente, in Veneto e in Toscana ed infine anche la Repubblica Romana dove una volta giunto

N.B. Napoleone giunto a Roma il 15 febbraio 1798 , dopo aver conquistato la città , Cinque giorni dopo, dichiarò decaduto il potere temporale di papa Pio VI , che catturato venne poi espatriato in Toscana ( mori dopo sei mesi chiuso in un oscuro deposito ).

Subito dopo proclamata la repubblica, a Roma, Napoleone attraverso  il suo generale Balait mandò al re FERDINANDO  per chiedergli che pagasse alla Repubblica Romana, erede della Santa Sede, il tributo dovutole come riconoscimento dell’alta sovranità, che restituisse i principati di Benevento e Pontecorvo e infine  licenziasse il ministro ACTON, nemico dichiarato della Francia.

La regina CAROLINA, nelle cui mani erano le redini dello Stato, respinse sdegnosamente le richieste del Berthier e tra le due parti si sarebbe venuti ad una guerra se il Direttorio francese, cui non sembrava opportuno creare in quel momento una rottura, non avesse creduto di intraprendere trattative per un accordo.

Questo accordo, fu poco dopo fatto: Ferdinando promise di tenere un contegno amichevole verso la Francia, fece finta, di rimuovere l’Acton sostituendogli il marchese del GALLO,  ottenne Benevento e Pontecorvo rinunziando ai beni farnesani di Roma e accettò l’obbligo al pagamento di venti milioni di franchi.

L’accordo concluso non fece però dissipare le reciproche diffidenze e i malumori.

Questi, anzi aumentarono quando la regina Carolina vide giungere a Napoli quale rappresentante della Francia quel cittadino GARAT che aveva letto al cognato Luigi XVI la sentenza di morte alla ghigliottina.

Il  Ferdinando , non fidandosi di Napoleone e  temendo da un momento un  presumibile un assalto dei Francesi, oer non  esser colto alla sprovvista, il re di Napoli, iniziò da una parte con l’Austria trattative per una lega difensiva e dall’ altra parte allestì  invece un esercito di 40.000 soldati, che affidò al generale Mack ( chiamato dall’austria su consiglio della Regina).

Subito dopo  convocò un consiglio per decidere se muovere guerra o meno all’esercito napoleonico stazionato a Roma.
Prevalse ovviamente l’idea dalla Regina e di Acton  che erano in favore della guerra. Essi riuscirono  a convincere Ferdinando del fatto che presto l’Austria avrebbe mandato le sue truppe in aiuto e che il generale Austriaco Barone Carl von Mack da loro ingaggiato era un grande  condottiero ed il migliore nel suo campo.

Ulteriore punto a favore nel marciare su Roma era il fatto che  Napoleone  era momentaneamente bloccato in Egitto.

La scintilla scattò quando l’ammiraglio Nelson distrusse la flotta francese ad Abukir.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Accadde infatti che il  l° agosto l’ammiraglio inglese NELSON attaccò la flotta francese ancorata nella rada di Abukir e, dopo una terribile battaglia, durata trentasei ore circa, nella quale cadde l’ammiraglio Brueys, la distrusse tutta, eccetto due vascelli e due fregate. 
Quando la notizia arrivò alla corte di Napoli la notizia della sconfitta francese , la gioia fu immensa L’episodio fu accolto a Napoli  con grande euforia come se la vittoria fosse stata napoletana e non inglese.

La regina Carolina chiamò il Nelson “liberatore” e quando, il 22 settembre, l’ammiraglio  vincitore comparve nelle acque napoletane fu accolto con grandi onoranze.

ll re e la regina accompagnati dall’ambasciatore Hamilton e dalla sua bellissima consorte  (Emma Lyon) andarono incontro all’ammiraglio tributandogli grandi elogi mentre  in città furono organizzate grandi feste.

Ferdinando IV gli andò incontro festante e lo accompagnò fino dentro alla capitale che gli tributò entusiastiche accoglienze.

Presi da rinnovato entusiasmo l’esercito napoletano agendo su più fronti partì quindi alla riconquista di Roma.
Il fronte più agguerrito era quello centrale comandato dal generale Mack con al seguito il re e la regina (che sopra una quadriga con abito di amazzone incitava le file dei soldati) e la bella Lady Hamilton che sfoggiava il suo dominio su Nelson.

 

 

 

 

 

 

 

L’atmosfera che si era creata , era qulella da sempre desiderata dalla regina e quindi nonostante l’armistizio di Brescia (poi ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i francesi a Roma, il Regno di Napoli entrò nuovamente in guerra con i francesi, con l’appoggio della flotta inglese comandata dall’ammiraglio Horatio Nelson.

L’esercito napoletano, forte di 12000 uomini reclutati in poche settimane e comandato dal generale austriaco Karl von Mack , dopo soli sei girni di viaggio, fa ingresso in Roma con l’intenzione dichiarata di ristabilire l’autorità papale.

FERDINANDO IV,accolto dalle acclamazioni del popolo, in quella circostanza  diede sfogo alla sua ira contro i Francesi abbattendo stemmi, insultando i patrioti e gli ebrei e demolendo il monumento marmoreo che era stato eretto poche settimane prima in memoria del generale Duphot.

Egli si atteggiò con il popolo romano a conquistatore e liberatore della città dal giogo francese, ma questo non fece altro  che esprorlo poi a  forti critiche e ironie , visto che una  successiva immediata e risoluta controffensiva francese costrinse  i napoletani ad una ritirata che ben presto si trasforma in disfatta totale .

L’armata del generale Championnet rapidamente giunta a Roma , sebbene in evidente inferiorità numerica ,sbaragliò rapidamente l’Esercito napoletano ed i borbonici furono costretti alla ritirata.

N.B. Dopo la rapida ritirata dei borbonici si diffuse a Roma  la battuta riferita a ReFerdinado IV di Borbone : “in pochi dì, venne, vide e fuggì”.

Il re borbonico, che certamente non brillava di coraggio, alla lettera a lui giunta dal  quartier generale dove Mack  gli consigliava di mettersi in salvo non essendovi più speranza di fermare il nemico, pensò bene di fuggire verso Caserta, travestendosi nella fuga con i vestiti del suo cortigiano e scudiero il duca d’Ascoli.
Una volta scambiati gli abiti egli si sedette a sinistra nella carrozza, ordinò al duca di dargli del tu, e lo servì lungo tutta la strada come se lui fosse stato il duca d’Ascoli, e questi fosse stato re Ferdinando.

Il Re tornò a Napoli,ed i Francesi, usciti da Castel Sant’Angelo, rioccuparono di nuovo la città.

Così terminava l’ impresa romana: l’esercito napoletano non aveva avuto che un migliaio di morti ed altrettanti feriti; ma aveva lasciato in mano ai francesi diecimila prigionieri, trenta cannoni e numerosissime salmerie, aveva perso la riputazione di cui fino allora aveva goduto e quel che era peggio si tirava dietro, nella ritirata, le truppe Francesi che, incalzandolo, si preparavano ad invadere il Regno di Napoli e ad abbattervi il regime monarchico.

Le truppe francesi a quel punto  infatti minacciavano di marciare su Napoli e Ferdinando a questo punto, terrorizzato  dopo aver emanato un appello al popolo affinché si armasse e si opponesse ai nemici del Re, della Patria e della Religione decise insieme alla corte ed ai nuovi amici inglesi  Hamilton, Nelson e Acton di scappare da Napoli per rifugiarsi a Palermo  portando con se tutto il danaro dei banchi pubblici, mobili e casse di capolavori d’arte.

CURIOSITA’: Temendo il peggio, l’anno precedente il Re Ferdinando  aveva già trasferito a  Palermo  14 capolavori e male non fece visto che i francesi nella loro conquista napoletana imposero al  patrimonio artistico napoletano  un durissimo colpo. La  breve istituzione della Repubblica Napoletana si cocluse infatti con danno fu enorme per le nostre opere d’arte. I soldati francesi depredarono, infatti, numerose opere:  1.783 dipinti che facevano parte della Collezione borbonica di cui 329 della Collezione Farnese  e il restante composto da acquisizioni borboniche, 30 furono destinati alla Repubblica Napoletana, mentre altri 300 vennero venduti, in particolar modo a Roma. Diverse opere d’arte presero la via della Francia   a causa per essere esoste al “Musee Napoleon “, ovvero l’attuale “Museo del Louvre “, e poi in altri Musei francesi.

La popolazione della capitale intanto, amareggiata da quanto accaduto in totale subbuglio non sapeva cosa fare  cosa fare. Per tre giorni consecutivi il popolo e particolarmente i  ‘lazzari’ si affollarono a rumoreggiare sotto la reggia invocando  il re a non abbandonare il Regno dicendosi pronti a sacrificare la propria vita per difenderlo.

Il parossismo del popolo giunse a tal grado che un corriere di gabinetto, certo ANTONIO FERRERI, scambiato per una spia francese, fu catturato, linciato, trucidato e trascinato sotto le finestre della Reggia dalla plebe furente che si calmò solo quando Ferdinando e Maria Carolina promisero di rimanere in mezzo ai loro fedeli sudditi.

Il popolo accalcatasi intorno al palazzo reale, contuava a supplicare  il sovrano affinché non abbandonasse la città, dicendosi pronta a difenderlo e Ferdinando di fronte alla prova di affetto del suo popolo cominciò a tentennare ma l’inflessibile Maria Carolina lo spinse alla partenza.

I sovrani non avevano infatti inproprio nessuna intenzione di restare a Napoli. Infatti, nel frattempo, avevano posto in salvo su alcune navi le opere più pregevoli delle gallerie e dei musei, i gioielli della corona e il denaro dei banchi per un valore di oltre settantadue milioni.

 

 

 

 

 

 

Accadde così che nella  notte dal 21 al 22 dicembre, passando per un sotterraneo, s’imbarcarono sulla “Vanguard”, la nave ammiraglia del Nelson. Caricarono il tutto  sulle navi inglesi che li scortavano guidate dall’ammiraglio Nelson sempre accompagnati da lady Hamilton  (di cui oramai Nelson era profondamente e perdutamente innamorato) .

La mattina seguente, sparsasi la notizia dell’imbarco dei Sovrani, tutti i corpi civici mandarono sulla nave deputati a pregare il re che ritornasse in città; ma Ferdinando non si piegò e, affidata l’autorità di vicario generale al principe FRANCESCO PIGNATELLI di Strongoli e impartiti gli ultimi ordini per la difesa al Mack chiamato apposta dal quartier generale, il giorno 23, accompagnato dagli ambasciatori austriaco e inglese e da un largo seguito, fece vela per Palermo, nel cui porto giunse la sera del 25 dicembre dopo una traversata faticosa, durante la quale perdette l’infante Don Alberto, suo terzogenito.

Le navi vennero infatti colte da una tempesta di proporzioni eccezionali che rese la traversata difficilissima. Da questa brutta situazione che si venne a creare le navi ne vennero fuori solo grazie alla bravura dell’ammiraglio Francesco Caracciolo che desto ‘l’ammirazione del re che ne vantò le lodi.
Questo episodio scatenò una terribile gelosia in Nelson a tal punto che una volta giunto in Sicilia egli insieme al ministro Acton costrinsero Caracciolo a disarmare la sua nave.
Incollerito e deluso a questo punto l’abile uomo di mare chiese ed ottenne di tornare a Napoli per curare il propri interessi (con grande gioia di Nelson).

Francesco Caracciolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CURIOSITA’: Questo episodio condizionò enormemente il napoletano nel prendere la decisione di assumere successivamente il comando della flotta repubblicana e le sue simpatie per gli ideali giacobini. Quando infatti Caracciolo tornò a Napoli fu accolto con grande onore ed ebbe subito  la proposta di aderire alla repubblica per  comandare i resti della flotta. Dopo qualche esitazione, convintosi che si trattava dell’occasione giusta per riscattare il regno dalla pessima e cieca amministrazione borbonica, pensò bene di accettare la  proposta.
Successivamente dimostrò quindi le sue qualità nella difesa dalla flotta inglese che minacciava Napoli dalle isole di Ischia e Procida al punto da combattere contro la stessa flotta reale di ritorno a Napoli.
Dopo la fine della repubblica, si nascose nei suoi feudi a Calvizzano, ma fu tradito da un servo e consegnato a Nelson, che ne impose l’impiccagione ad un albero della nave. Il corpo, gettato in mare, fu raccolto dai marinai e sepolto nella chiesa della Madonna della Catena a Santa Lucia.

I Siciliani si mostrarono comunque non  ben disposti verso il loro sovrano,  quando egli sbarco in Sicilia visto che proprio nel corso dell’anno aveva tentato di violare l’antica costituzione dell’ isola imponendo un donativo straordinario di duecentocinquantamila lire al mese per tutta la durata della guerra; tuttavia, quando videro sbarcare il loro re, affranto dal dolore, e udirono la regina che con voce di pianto diceva: “Ci volete fra voi, figli miei?” dimenticarono i torti ricevuti e offrirono il loro sangue e le loro sostanze per difendere il trono.

Mentre comunque Ferdinando riceveva generose accoglienze in Sicilia, il Principe Pignatelli si preparava intanto  a costituire in città una milizia urbana atta a  prendere  quei provvedimenti che gli sembravano utili a mantener l’ordine in una città minacciata dal nemico, abbandonata dal sovrano e agitata da contrarie passioni; ma fin dai primi giorni fu costretto a lottare contro gli “Eletti”, rappresentanti della nobiltà e del popolo, che, invitati a collaborare con lui, volevano prima unirsi nel governo ma poi finirono con lo schierarsi contro, appoggiando (opportunisticamente) chi stava per vincere

N.B.: Questo  possiamo definirlo un secondo errore dell’intera storia. QuestI Francesi sarebbero stati ridotti a mal partitostutti rimanevano uniti.  Invece non si seppe trarre profitto dalla rivolta e gli eletti mostrarono tutta  la propria inettitudine chiedendo a più riprese la tregua e non mantenendo i dovuti contatti con il principe Pignatelli. Il quale, continuamente osteggiato dagli Eletti e privo del favore popolare, alla fine pur di uscire dalla difficile situazione in cui si trovava, era disposto a venire a patti con il nemico.

Il generale  Championnet  intanto nella sua discesa verso Napoli mentre era a Venafro ricevette la visita del principe di Migliano e del  duca di Gesso che si presentarono a lui  inviati dal Vicario generale,

Iniziate subito le trattative, queste condussero alla TREGUA di SPARANISE, firmata il 12 gennaio del 1799, con la quale la guerra fu sospesa per due mesi, Capua, Acerra e Benevento furono cedute ai Francesi con il territorio che andava fino ad una linea le cui estremità erano segnate dalla foce dei Regi Lagni e quella dell’Ofanto e del Lombardo, si dichiaravano neutrali i porti del Regno e il governo regio, si s’impegnava di pagare alla Francia dieci milioni di lire tornesi, metà al 15 e metà al 25 gennaio.

Alla notizia dell’accordo il popolo di Napoli e di parte delle province insorge violentemente in funzione antifrancese: è la rivolta dei cosiddetti “lazzari” che oppone una fortissima ed eroica resistenza all’avanzata francese. Il Vicario abbandonò la città, ormai in preda all’anarchia il 17 gennaio. Nel frattempo nella città scesero  però in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunge alla guerra civile: il 20 gennaio i filofrancesi riuscirono con uno stratagemma ad entrare nella fortezza di Castel Sant’Elmo da cui aprirono il fuoco sui Lazzari che ancora contendevano l’ingresso della città ai francesi. Cannoneggiati alle spalle  i lazzari furono costretti a disperdersi.

La lotta che seguì fu epica specie a Porta Capuana dove gli invasori francesi presto cominciano ad assaporare la collera dei popoli meridionali e a rendersi conto che entrare in Napoli non era  poi una passeggiata.

Ai lazzari si unirono  i cavatori di tufo della Sanità, i conciapelli dei vicoli delle Concerie, gli scaricanti del Porto, gli ortolani e i fruttaioli del Mercato, i marinai e i pescatori di Santa Lucia, il più borbonico dei quartieri cittadini.

La folla in tumulto si  trasformò in un fiume in piena che nessuno poteva più fermare. Risuonava ovunque il  terribile l’antico grido del “serra serra” per chiamare a raccolta ed alle armi tutti quelli che avevano  a cuore la difesa di Napoli contro il nemico alle porte. Senza strateghi, armati all’inizio delle sole mani o al più delle rudimentali “peroccole” (sorta di mazza nodosa con la cima a forma di pera), che roteate con perizia sono un’arma micidiale, che ferisce ed uccide, i lazzari, al grido di “viva San Gennaro” e ” viva ‘o Rre nuosto”, incominciarono a percorrere le strade della capitale alla caccia dei giacobini sotto il cecchinaggio dei fautori del partito giacobino, che dai palazzi sparavano alle spalle dei difensori. Gli agguati fecero  incrudelire i lazzari, che si vendicano incendiando le case dei simpatizzanti giacobini e massacrando sul posto i sospettati.

Fu l’inizio di una guerra civile ancor più rabbiosa di quella contro i francesi.

Tutto questo a dimostrazione che il vero  fallimento della rivoluzione napoletana fu il semplice fatto che la sua matrice non nasceva dal popolo ma solo da un gruppo di  intellettuali patrioti che non aveva coinvolto il popolo  che infatti rimase fedele al re al punto da difendere con le armi il suo regno contro quelli che venivano dichiarati nemici francesi e non amici.

Non essendo  un’espressione del popolo,  i giacobini vennero considerati dalla maggior parte del popolo traditori in quanto si erano ribellati al re e alle autorità costituite e solo da pochi considerati patrioti. Essi erano per la maggior parte giovani aristocratici colti portatori di idee e di ideali lontane dall’esigenza dell’uomo di strada e la loro colpa fu quella di non arrivare a spiegare e a far capire al popolo i vantaggi delle loro nuove idee.
Il popolo ignorante insomma non capì mai chi erano e cosa volevano questi giacobini creando in tal modo una vera e propria frattura di classe.
Essi secondo la maggior parte di loro  instaurarono una repubblica rivoluzionaria fondata sulle armi di un invasore  straniero contro la volontà della popolazione del Regno fermamente fedele invece al re.

Questa folla di eroici napoletani , pur senza la guida di veri capi militari, occupa presto tutti i punti strategici di Napoli.  S’impadronisce così delle porte e delle fortificazioni, inalberando il vessillo reale a castel Nuovo, castel Sant’Elmo, forte del Carmine e castel dell’Ovo. Poi disarma i 12.000 uomini della milizia civica, rifornendosi quindi di fucili, munizioni e perfino di cannoni. Infine dà l’assalto alle carceri, liberando 6.000 prigionieri, in gran parte ladri. Nella logica dei lazzari quest’ultimi meritano la libertà perché hanno rubato ai borghesi, che sono tutti traditori, prima verso il re ed ora verso la città.

La battaglia in ogni  dove i fu terribile e i Francesi che non facavano prigionieri (un gruppo di quaranta lazzari venne , seduta stante, fucilato sul posto ) furono costretti a conquistare a palmo a palmo il terreno, conteso dai lazzari con valore straordinario .

In questi luoghi dalle case e dietro le barricate, con sprezzo della vita, bersagliavano incessantemente il nemico, poi in certe azioni scacciati dalle loro postazioni, tornavano furiosamente all’assalto; sebbene spossati da circa tre giorni di accanito combattimento e fulminati dalle artiglierie e minacciati dagli incendi provocati dalle torce incendiarie dei Francesi, si ostinavano a resistere e mostravano un’audacia e un tale eroismo da meravigliare lo steso Championnet,

Furono comunque alla fine  i cannoni di Sant’Elmo, all’alba di quel livido 23 gennaio 1799, a dare il segnale d’inizio per la spallata conclusiva dei repubblicani. Da Castel dell’Elmo dove lo sventolio del tricolore francese gela il cuore degli insorti , incominciarono  infatti a venir giù  cannonate sui punti della città, dove era  più forte la resistenza.

Alla fine di tre giorni di grande eroismo  sacrificio da parte del popolo napoletono i francesi di Championnet erano  ormai i padroni di Napoli.

Ma il prezzo pagato  fu altissimo: duemila di loro non festeggiarono  la vittoria; i loro corpi giacevano  ancora insepolti per le strade. I lazzari superstiti, vinti, ma non domi, si eclissarono  con le armi nell’intricato dedalo di vicoli. Saranno presenti, di lì a pochi mesi, all’appello di Ruffo per la liberazione della città. In questo stesso giorno si compie lo scempio di Palazzo Reale, allorchè il capo-lazzaro Paggio abbandona con i suoi il palazzo, la plebaglia lo invade saccheggiandolo.

Dovunque, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze, nei vecchi palazzi anneriti dagli incendi, dovunque si inciampava nei corpi dei lazzari caduti. Alcuni luoghi, dove il combattimento è stato più aspro, si trovano  dei veri e propri carnai. Diecimila di loro, secondo altri studiosi ottomila (ma non si conoscerà mai l’esatto numero), sono morti, armi in mani, per testimoniare ai posteri che la Nazione Napoletana non è un’invenzione.

Come vi abbiamo già accennato l’audacia e l ‘eroismo mostrato dai lazzari durante questi tre giorni non mancò di  meravigliare lo steso Championnet, il quale, nella sua relazione, da leale soldato, non mancò di riconoscere e lodare il valore dei suoi avversari:

” I Lazzaroni – egli infatti, scrisse – questi uomini meravigliosi (etonnants), i reggimenti stranieri e napoletani, rimasugli dell’esercito fuggito dinnanzi noi, sono degli eroi chiusi dentro Napoli. Si battono in tutte le vie, il terreno viene disputato a palmo a palmo; i lazzari  sono comandati da capi intrepidi.  Il forte S. Elmo li fulmina; la terribile baionetta li squarcia; essi ripiegano in ordine, poi ritornano alla carica, avanzano con audacia e spesso guadagnano terreno”.

La resistenza dei Lazzaroni sarebbe stata  comunque più lunga se MICHELE il PAZZO, che si batteva come un leone a Porta Susciella, non fosse stato fatto prigioniero.

Condotto davanti allo Championnet fu da questo lodato per il suo valore e colmato di promesse. Sapendolo capopopolo, il generale Championnet cercò di ingraziarselo, dicendogli che i Francesi rispettavano la religione ed avevano in gran venerazione S. Gennaro,

Addirittura subito accettò Il suo consiglio di mandare una guardia d’onore alle reliquie del Santo Patrono .

Il generale seppe così bene convincerlo delle buone intenzioni dell’esercito repubblicano che il popolano, convinto o plagiato, gridò “Viva la Repubblica!” e si offrì di pacificare i ribelli della sua città.

A quel punto egli stesso lo accompagnò scortato da una squadra di granatieri libero in città:  Michele a quel punto  si mise a percorrere le vie della città gridando “Viva i Francesi ! Rispetto a S. Gennaro !” ed esortando i lazzari a deporre le armi.

Questi, stanchi dalla lotta, abbandonati dagli elementi peggiori della plebe che non trovò di meglio che darsi al saccheggio del Palazzo Reale e di altri edifici, viste le bandiere francesi sulle fortezze ed esortati dalle parole del loro capo, misero fine alla resistenza e così i Francesi furono i padroni di Napoli.

Oltre che coraggioso Championnet era un uomo  di grande onestà ed entrò subito nelle grazie e nelle simpatie del popolo napoletano, del quale riescì ad interpretare gli umori ed i sentimenti. Il generale francese, infatti, in una conversazione col viceammiraglio Tréville non esitò a chiarire che “non avrebbe mai potuto impadronirsi di Napoli se, arrivato qui, non avesse avuto il soccorso dei diecimila patrioti che lo aiutarono a domare i lazzaroni, che i monarchici pagavano per sostenere il partito della chiesa e del re…”.

CURIOSITA’: Lo Championnet era un prode soldato, ma era anche dotato di un fine intuito e furbizia politica: sapendo quanto il popolo napoletano fosse religioso, scrisse al Cardinale arcivescovo di fare aprire tutte le chiese, di fare esporre il Santissimo e di far predicare la pace, la tranquillità e il buon ordine; poi al popolo indirizzò un manifesto in cui fra l’altro era detto: ” .. Cittadini, …. rientrate nell’ordine, deponete le armi nel Castel Nuovo, e la religione, le proprietà, le persone saranno conservate.  Da quella casa da dove partirà un solo colpo di fucile sarà bruciata e gli abitanti fucilati. Ma se la calma sarà ristabilita, io dimenticherò il passato e la felicità ritornerà su queste ridenti contrade”.

In verità, dopo le fasi drammatiche della battaglia che avevano caratterizzato l’ingresso in Napoli dell’esercito francese, si stabilisce una immediata intesa tra il generale di Valenza ed il popolo napoletano.

Quando, infatti, Michele ‘o pazzo, nella piazza in cui Championnet chiede ai napoletani di collaborare, gli dice: “Un’altra domanda generale, e saremo amici. Come tratterete la nostra religione e san Gennaro? La nostra santa fede e il nostro protettore saranno rispettati?”, egli prontamente risponde: “Sì lo saranno. La vostra religione è puranco la nostra”. E, poi, rivolto al Marino: “Michele, la repubblica francese onora i prodi d’ogni paese. Voi siete da oggi cittadino della repubblica,colonnello dei suoi eserciti e mio aiutante”.
Il muro della diffidenza è abbattuto; il generale è riuscito, in pochissimo tempo, a far dimenticare il sangue versato e l’avversione mostrata nei confronti dei Francesi sino ad un momento prima.

Anzi, addirittura i napoletani immaginano che il generale possa essere un loro concittadino. Avviene quando il prete della parrocchia di Sant’Anna dice di aver trovato sui registri di nascita il nome di un Giovanni Cahampionné.

E’ la consacrazione!

Un tripudio che preoccupa non poco i veri rivoluzionari. Championnet, infatti, alla ricerca del consenso a tutti i costi, dispensa sorrisi e denari a tutti quanti lo applaudono. Coi lazzari, suoi acerrimi rivali sino a qualche giorno prima,c’è uno scambio continuo di doni e premi.Un loro capo, Luigi Avella, detto Pagliuchella, è addirittura nominato,benché illetterato, giudice di pace.

ll giorno stesso della presa di Napoli i patrioti repubblicani napoletani, presentarono allo Championnet – un promemoria in cui, rievocata l’opera nefanda del passato governo e ricordato quanto essi avevano fatto per acquistare la libertà, rinnovavano il giuramento, fatto in San l’ Elmo “…odio eterno ed implacabile al regio potere ed a qualunque arbitraria autorità..”.

Lo Championnet rispose con un bando (23 gennaio), in cui, dopo di avere assicurato il rispetto del culto e dei beni, lodata la costanza dei patrioti, stigmatizzata l’aggressione del Re e poi promesso alla libertà napoletana l’aiuto dell’ “Esercito Francese”, che da quel giorno assumeva il nome significativo di “Armata di Napoli”, ammoniva:

“Le autorità repubblicane che saranno create, ristabiliscano l’ordine e la tranquillità sulle basi di un’amministrazione paterna, dissipino gli spaventi dell’ignoranza e colmino il furore del fanatismo con uno zelo uguale a quello che è stato impiegato dalla perfidia per inasprirli ed irritarli, e la disciplina che si ristabilisce con tanta facilità nelle truppe di un popolo libero, non tarderà di mettere un termine ai disordini provocati dall’odio, e che il diritto di rappresaglia ha appena permesso di reprimere”. 

Il 24 gennaio il generale promulgava, in nome della Francia, una legge con la quale, in attesa che venisse organizzato un governo costituzionale completo, veniva creato un governo  provvisorio di venticinque cittadini, i quali, riuniti insieme costituivano l’assemblea legislativa, divisi in sei comitati (centrale, dell’interno, militare, di finanza, di polizia e giustizia, di legislazione) esercitavano il potere esecutivo.

Sempre il  23 gennaio, con l’approvazione e l’appoggio del comandante dell’esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana. Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque, la cui presidenza venne affidata a Carlo Lauberg , matematico e filosofo, cui fu dato per segretario il francese IULLIEN che ebbe poi come suo successore  Ignazio Ciaia  (suo successore dalla fine di febbraio), mentre il terzo presidente fu poi Ercole D’Agnese,

Gli  altri  cittadini della rappresentanza nazionale furono l’Abamonti, d’Albanese, il Baffi, il Bassal, il Bisceglie, il Bruno, il . Cestari, il Ciaja, il De Gennaro, il De Filippis, il De Rensis, il Doria, il Falcigui, il Delfico, il Fasulo, il Forges, il Logoteta, il Manthoné, Mario Pagano, il Paribelli, il principe di Moliterno, il Vaglio, il Riari e il Rotondo.

N.B. L’illustre medico e patriota DOMENICO CIRILLO, nominato, Non volle accettare l’ufficio. 
Il giorno 25 gennaio fu istituita la municipalità della quale lo Championnet chiamò a far parte venti dei più ardenti repubblicani, a cui per acquistarsi il favore della plebe aggiunse un popolano analfabeta, certo ANTONIO AJELLO detto PAGLIUCHELLA.

Per lo stesso motivo nominò suo segretario MICHELE il PAZZO sebbene questi non sapesse né leggere né scrivere.

Il governo si articolava in sei Comitati (Centrale, Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione Interna), che poi formavano l’Assemblea Legislativa ed esercitano il potere esecutivo in attesa dell’organizzazione definitiva del governo.

Nei giorni successivi, tra gli altri provvedimenti, viene ordinato che tutti i tribunali, gli organi civili, amministrativi e militari sino ad allora regi si dichiarino repubblicani

.Il 2 febbraio si pubblica il primo numero del Monitore napoletano , il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Ekeonora Pimental Fonseca che come tutti sapete era una letterata in passato vicina all’ambiente di corte. Vedono la luce molti altri fogli, ma la loro fortuna sarà limitata anche a causa del diffuso analfabetismo.

Il giorno 25, dello stesso mese, il generale francese, nella Casa del Comune, consegnò le redini del governo ai rappresentanti nazionali e ai membri della municipalità radunati e per l’occasione pronunciò un discorso. 
Gli risposero, a nome del governo provvisorio, il presidente LAUBERT e MARIO PAGANO e, finita la cerimonia dell’insediamento, lo Championnet invitò al Palazzo Reale i principali ufficiali e magistrati per un grande pranzo conviviale.

Fuori dal palazzo reale i il popolo, cambiato d’umore, si dava alla pazza gioia, piantava gli alberi della libertà e intrecciava danze fra applausi e canti.

Quel giorno, “quarto delle repubblica napoletana”, si chiuse con una cerimonia, religiosa svoltasi in Duomo.

Qui -con il solito opportunismo- si recò lo Championnet per venerare le reliquie ed invocare il favore di S. Gennaro, al quale offrì una mitria d’oro tempestata di gemme.

Il Cardinale arcivescovo lo ricevette con onori reali e cantò il Te Deum, quindi ebbe luogo il miracolo del Santo Patrono – la liquefazione del sangue di San Gennaro- che, compiutosi in breve tempo, parve ai fedeli un segno tangibile della volontà del Santo e di Dio.

Lo stesso Dio e lo stesso Santo che più tardi infondeva la volontà in quello stesso giorno a FERDINANDO IV che firmava il decreto con il quale dava l’ordine al Cardinale FABRIZIO RUFFO di armarsi (con le “armate della fede”, i cosiddetti “Sanfedisti” al grido di “Viva Maria”) e di andare a difendere le province del regno non ancora invase dai Francesi e di liberare dall’anarchia e restituire alla legittima corona le altre dov’era stato istituito il regime repubblicano.

 

Ma questo eroico amico dell’Italia non vien meno al vezzo francese di razziare beni in terra straniera. Il 7 ventoso dell’anno VII (il 25 febbraio 1799), Championnet scrive al Direttorio: “Vi annuncio con piacere, che abbiamo trovato ricchezze che credevamo perdute.

Oltre ai Gessi di Ercolano che sono a Portici, vi sono due statue equestri di Nonius, padre e figlio, in marmo; la Venere Callipigia non andrà sola a Parigi: abbiamo trovato alla Manifattura di porcellane, la superba Agrippina che attende la morte; le statue in marmo a grandezza naturale di Caligola e Marco Aurelio, un bel Mercurio in bronzo e busti antichi del marmo del più gran pregio…Il convoglio partirà fra pochi giorni”.

Inoltre non va mai dimenticato che Championnet, entrando con l’armata vittoriosa in Napoli, impose una contribuzione di due milioni  e mezzo di ducati da pagarsi tra due mesi. Una  imposizione economica che allora era assolutamente esorbitante per una sola città già desolata dalle immense depredazioni che il passato governo vi aveva fatte.

Championnet avrebbe potuto esigere il doppio a poco a poco, in più lungo spazio di tempo. Ma egli presto  si pentì o si mostrò pentirsi di questa tassa , ma non lo ritrattò; anzi stabilì quindici milioni per le province”.
Contemporaneamente all’avvio organizzativo della Repubblica napoletana, il generale nativo di Valenza si preoccupa di allestire due divisioni, da inviare in Puglia e Calabria, per fronteggiare i ribelli delle province e le truppe della santa Fede del cardinale Ruffo.

Eppure Championnet si è più volte opposto, in nome dell’autonomia della Repubblica napoletana, alla rimozione o al sequestro dei beni culturali!

Come quando dal Direttorio inviò a Napoli il commissario Faypoult,  per imporre le condizioni francesi di un decreto che sosteneva come  tutti i beni della corona di Napoli, i boschi, i palazzi e le regge, i monasteri, i feudi allodiali, i banchi, i musei e la fabbrica di porcellana erano di proprietà francese.

Alle proteste dei napoletani si associa subito Championnet, che pubblica un editto col quale annulla il decreto del Direttorio; quindi, fatto arrestare,  il Faypoult lo rimanda in patria, facendolo scortare sino ai confini della Repubblica romana.

Sul Monitore francese di metà marzo 1799 si legge: “Visto che il generale Championnet ha impiegato l’autorità e la forza per impedire l’azione del potere da noi confidato al commissario civile Faypoult, e che perciò si è messo in aperta ribellione contro il governo; il cittadino Championnet generale di divisione, già comandante dell’esercito di Napoli, sarà messo in arresto e tradotto innanzi un consiglio di guerra per essere giudicato del suo delitto”.

A  sostituirlo fu il suo  collega Mc Donald.

Sul Monitore francese di metà marzo 1799 si legge: “Visto che il generale Championnet ha impiegato l’autorità e la forza per impedire l’azione del potere da noi confidato al commissario civile Faypoult, e che perciò si è messo in aperta ribellione contro il governo; il cittadino Championnet generale di divisione, già comandante dell’esercito di Napoli, sarà messo in arresto e tradotto innanzi un consiglio di guerra per essere giudicato del suo delitto”.

Un personaggio che alla fine possiamo considerare un grande vincitore ma anche un uomo che  alla fine ammirò l’audacia, il valore e l’eroismo di un popolo  in difesa della Napoletanità. Scrive il generale Championnet nella sua relazione per Parigi: “…si combatte in ogni strada; il terreno è disputato palmo a palmo; i lazzari sono guidati da capi intrepidi. I lazzari, questi uomini meravigliosi (ètonnants) sono degli eroi…”. Il capo di stato maggiore, il generale Bonnamy, scriverà poi, al termine del suo rapporto, queste lapidarie parole “…l’azione del lazzari farà epoca nella Storia!”.

Soltanto il malcostume autolesionista di certa storiografia, che ha sempre allignato dalle nostre parti, ha avuto l’improntitudine di stracciare questa  pagina di Storia nostra.

La vita della neonata Repubblica  fu comunque  difficile fin dagli inizi: mancava infatti l’adesione popolare  e quella delle province non occupate dall’esercito francese e sebbene i repubblicani che gestivano il la città erano  spesso personalità di grande rilievo e cultura, apparivano talvolta  anche eccessivamente dottrinari e lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo napoletano.

Inoltre la Repubblica aveva un’autonomia estremamente limitata, sottoposta di fatto alla dittatura  di Championnet e alle difficoltà finanziarie causate principalmente dalle richieste dell’esercito francese costantemente in armi sul suo territorio. Non si riuscirà mai quindi a costituire un vero e proprio esercito ottenendo solo limitati successi nella democratizzazione delle province.

A questo si aggiunge una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che certo non aiuta a conquistare le simpatie popolari; difatti durante i pochi mesi della repubblica moltissime persone vengono condannate a morte e fucilate dopo sommari processi politici.

Il primo governo provvisorio emana una sola legge importante, di cui fu promotore uno dei componenti dell’esecutivo, Giuseppe Leonardo Albanese, ed è quella per l’abolizione dei  federcommessi e le primigeniture , mentre Mario Pagano presenta, sul modello della cosituzione francese una  bozza di Costituzione, che alla fine realizzata  non troverà applicazione a causa della breve vita della Repubblica.

N.B. Il fedecommesso o sostituzione fedecommissaria è una disposizione testamentaria attraverso la quale il testatore istituisce erede o legatario un soggetto determinato con l’obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno automaticamente a un soggetto diverso indicato dal testatore stesso.

La primogenitura è invece la condizione, legale o consuetudinaria, per cui il figlio legittimo più anziano di una coppia eredita l’intera proprietà della famiglia.

Una nuove legge sulla eversione delle feudalità ( abolire  la feudalità ) anch’essa non potrà avere un principio di attuazione in conseguenza del repentino crollo della Repubblica.

Ferdinando  che intanto era fuggito a Palermo, preso dalla pura , la prima cosa che fece fu quella di potenziare e rinforzare nel sistema difensivo  l’isola siciliana vista come il loro ultimo ed estremo rifugio: vennero presidiate le coste, armati i porti, restaurate le antiche fortezze e strette alleanza con Austria, Russia ed ovviamente Inghilterra.
Entrò a questo punto in scena il Cardinale Ruffo che seguito i sovrani in Sicilia gli fu da questi,  in una storica riunione, conferito il titolo di Vicario generale del Regno ed affidato il compito, con pieni poteri della riconquista del Regno.

Il Cardinale Ruffo contava, armato del solo crocifisso e della sua mente di sollevare il popolo contro gli stessi rivoluzionari, contando sopratutto sulla Calabria, terra di molti suoi feudi.
Partì da Palermo con un gruppo di uomini con scarse provvigioni e pochi denari e una volta giunto nella terra natale, emanò un proclama ai bravi e coraggiosi calabresi perchè vendicassero le offese fatte alla religione, al re e alla Patria invitandoli a unirsi sotto il vessillo della Santa Croce, per scacciare i francesi  dal regno di Napoli e ristabilire la monarchia.
Radunò i volontari, sopratutto contadini a Pizzo Calabro e incominciò una lunga marcia verso Napoli, alla raccolta di soldati volontari.
Ben presto cominciò a formarsi un piccolo esercito che raccoglieva uomini di tutti i ceti sociali e finanche carcerati e briganti. Non aveva importanza chi fossero: nobili e plebei, villici e cittadini, briganti e galantuomini, sbandati, malfattori, disertori, reclusi, evasi e frati sfratati, erano tutti bene accetti per formare l’esercito della Santa Fede.
Il Cardinale infatti emise un editto che garantiva il perdono a tutti i galeotti o banditi che si fossero pentiti e uniti al suo esercito e fu instaurata a tal proposito una grazia sovrana che condonava colpe  e delitti che riguardava sopratutto i capimassa.

N.B. Nell’esercito di Ruffo militarono anche diversi briganti come Panedigrano, , Sciarpa, Gaetano Mammone e Michele Pezza detto “fra diavolo” ( che si diceva mangiasse in teschi umani) e, Essi si distinsero con metodi feroci e sanguinari, tant’è che lo stesso Ruffo ne rimane amareggiato perchè non riuscìa placare del tutto la loro efferatezza

fra diavolo Michele Pezza
brigante mammone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suo piccolo esercito presto si ingigantì  fino a contare 25.000 uomini divenendo, sotto le bandiere borbonica e della Chiesa, l’Esercito della Santa Fede.

CURIOSITA’ : Il Cardinale Ruffo che conquistò tutte le città e i villaggi che attaccò emise  un  editto con il quale garantiva il perdono a tutti i rivoluzionari che si fossero pentiti, che gli consentì di avanzare rapidamente e di giungere presto alle porte di Resina e di occupare il palazzo reale di Portici.

Intanto i francesi battuti nell’Alto Adige erano costretti ad indietreggiare dal territorio Italiano. Per rinforzare il loro esercito decimato e stanco richiamarono uomini dai presidi dislocati nelle varie regioni d’Italia, compreso quello dalla Repubblica Partenopea.
Lasciarono quindi solo 900 uomini a Napoli  nel Castel sant’Elmo affidando la sorte della Repubblica in città alle poche forze liberali.
Russi e Turchi, alleati di Ferdinando erano già sbarcati a Brindisi mentre la flotta Spagnola comandata da Nelson giungeva via mare.
Nei pressi del ponte della Maddalena i giacobini opposero resistenza asserragliati nel forte di Vigliena. La difesa fu vana e i rivoluzionari si fecero saltare in aria insieme al forte in un suicidio collettivo.
L’ultimo presidio della repubblica a quel punto fu Castel Sant’Elmo, ma ben presto capitolò anche questo e i rivoluzionari accettarono la resa a cui fu promessa salva la vita dallo stesso Cardinale Ruffo.Con la promessa di essere poi condotti in Francia, i repubblicani si arresero e vennero arrestati; i capitolati tra cui Eleonora Pimentel Fonseca, furono portati sulle navi inglesi, pronte a partire per la Francia.

Il 7 maggio i francesi sono costretti a ritirarsi da Napoli, con il ritorno dei Borbone.

Ottenuta la resa dei repubblicani, al suo rientro a Napoli Ferdinando IV per prima cosa  fece disperdere i resti di Masaniello  che era sepolto nella Basilica del Carmine  poichè questo  era stato adottato come simbolo dai repubblicani.

Restava a questo punto da decidere come trattare le centinaia di persone che avevano partecipato al governo di Napoli durante l’occupazione francese.

Erano infatte state diverse centinaia le persone che avevano prestato servizio alla Repubblica napoletana. Dal punto di vista giuridico la loro posizione era molto difficile. Siccome la Repubblica napoletana non era stata riconosciuta ufficialmente (lo stesso governo francese aveva rimandato indietro, senza riceverla, una delegazione inviata allo scopo di ottenerne il riconoscimento), essi non erano considerati prigionieri di guerra (con tutte le garanzie connesse). Rischiavano pertanto di essere giudicati da un tribunale penale come traditori e il  reato di tradimento era punito con la condanna a morte.

Ferdinando  non tornò subito a Napoli poichè visti gli avvenimenti che si svolgevano in Europa riteneva ancora  Palermo una città più sicura, Inviò pertanto a Napoli il principe Francesco e che ritornò a Napoli il 31 gennaio 1801, accolti da festeggiamenti, archi, carri allegorici e luminarie.

A Napoli  re  Ferdinando ,ritornò solo dopo due anni ma ai napoletani pero’ si lascio’ intendere che il re rimaneva lontano perché ancora sdegnato contro la città che si era data ai francesi.

Egli giunse a Napoli il 10 luglio e si trattene fino ai primi di agosto, ma non entrò in città, rimase a bordo della nave che lo aveva trasportato da Palermo. Egli si limitò ad osservare gli eventi, diede alcune disposizioni e senza mai essere sceso a terra si fece poi riportare in Sicilia.

Il trono era di nuovo suo ed era egli ora che di nuovo comandava e tra le sue prime direttivedichiarò subito decaduta l’onorevole capitolazione offerta da Ruffo agli ultimi repubblicani (peraltro non accettata neppure da Nelson) e nominò una giunta per dare inizio ai processi.

A prendere in mano la situazione fu a questo punto il generale Nelson che sbarcato a Napoli con la sua flotta il  24 giugno, giunse la flotta di Nelson, su disposizione di re Ferdinando, ma sopratutto della regina  non rispettò le onorevoli condizioni della resa garantite da Ruffo, cioè ” salva la vita a tutti “.
Egli  non rispettando  i termini dell’accordo e, facendosi mano armata di Ferdinando IV, ordinò di fermare la partenza delle navi dando disposizione di riportare a terra tutti quelli che dovevano essere giudicati.
Migliaia di cittadini vennero  arrestati e molte centinaia giustiziati.

Nei mesi seguenti, su circa ottomila prigionieri, centoventiquattro furono mandati a morte  sei furono graziati, duecentoventidue vennero condannati all’ergastolo, trecentoventidue a pene minori, duecentottantotto alla deportazione e sessantasette all’esilio, mentre tutti gli altri furono liberati.

Caddero in quel tempo  i nomi più illustri della cultura e del patriottismo napoletano.
Non venendo  rispettate le condizioni della resa che garantiva salva la vita a tutti e venendo meno all’accordo si  commise  un vero e proprio massacro.


Furono condannati a morte tutti i giacobini e tra questi personaggi illustri come l’ammiraglio Caracciolo, il conte Rufo Ettore Carafa, il principe Colonna, il duca di Cassano, Mario e Ferdinando Pignatelli, Domenico Cirillo,IgnazioCiaia, .Nicola Palomba ,Eleonora Pimentel Fonseca, i vescovi Natale e Serrao, Gennaro Serra di Cassano, Luigia Sanfelice, il giurista Francesco Conforti, il colonnello Gabriele Manthoné, gli scrittori Vincenzo Russo e Mario Pagano, Ignazio Ciaia, Giuseppe Logoteta.

La restaurazione borbonica, insomma, in brevissimo tempo falciò quello che Benedetto Croce definirà “il fiore dell’intelligenza meridionale”.
Il primo fu Caracciolo che pagò anche per l’odio che Nelson nutriva nei suoi confronti. Fu impiccato ad un pennone della sua nave ed il suo corpo fu gettato in mare.
Sui motivi che indussero Orazio Nelson ad operare in modo così poco onorevole, influì certamente la sua passione per lady Hamilton, la moglie dell’ambasciatore inglese e amica intima, MOLTO INTIMA  di Maria Carolina, la quale si servì appunto della sua amica per far pressione sull’ambasciatore e soddisfare tutto l’odio che nutriva per i repubblicani.
Nelson era pazzamente invaghito della bella Emma Lyon ( avventuriera di gran classe che era riuscita ad irretire fino a farsi sposare, Sir William Hamilton ) che per espresso desiderio di Maria Carolina era a bordo dell’ammiraglia.
Indignato e sinceramente addolorato, il cardinale  tentò in tutti i modi di evitare la feroce carneficina e resosi conto che Nelson li avrebbe massacrati tutti, offrì ai prigionieri  la possibilità della fuga via terra; ma questi purtroppo non si fidarono di lui e si consegnarono all’ammiraglio inglese, il quale con con l’approvazione di Maria Carolina più che di Ferdinando fece impiccare ben 99 di loro.
Il cardinale minacciato addirittura di arresto, assistette impotente agli orrori della repressione e molto amareggiato decise di ritirarsi prima a Roma e più tardi  a Parigi ( al seguito di  papa Pio VII in prigionia ). Solo dopo quindici anni tornerà a Napoli trascorrendo  gli ultimi anni della  sua vita nella sontuosa dimora di famiglia, Palazzo Bagnara, nell’attuale Piazza Dante, numero 89. Alla sua morte fu sepolto nella sontuosa Cappella di famiglia, nella chiesa di San Domenico.
Il  tradimento compiuto da Ferdinando e dai suoi alleati dei patti sottoscritti, lo macchierà da questo momento in poi  per sempre quale individuo vile ed inaffidabile creando di fatto una frattura tra la monarchia e i ceti  colti che non si ricucirà mai più.

Giustino Fortunato ricorda così i giustiziati della Repubblica napoletana:

«Parlo di quella vera ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e dolente tutta Italia: l’ecatombe de’ giustiziati nella sola città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800 per decreto della Giunta Militare e della Giunta di Stato. Il mondo, e l’Italia specialmente, sa i nomi e l’eroismo di gran parte di quegli uomini, sente ancor oggi tutto l’orrore di quelle stragi, conosce di quanto e di quale sangue s’imbevve allora quella  Piazza del Mercato  in cui al giovane Corradino   fu mozzo il capo il 29 ottobre del 1268, e il povero  Masaniello tradito e crivellato di palle il 16 luglio del 1647 ; ma pur troppo, ignora ancora tutti i nomi di quei primi martiri della libertà napoletana!»

La feroce repressione della Repubblica napoletana e lo sterminio dei patrioti che in essa avevano svolto funzioni di governo, partecipato alla attività legislativa educativa ed economica e prestato la loro opera per difenderla furono una delle maggiori tragedie della storia italiana, talvolta dimenticata.

Il primo studioso italiano a dare di essa un inappellabile giudizio storico e morale fu lo storico e filosofo Benedetto Croce  , secondo il quale la perfidia dei sovrani e di Nelson destarono una forte impressione non solo in Italia e in Francia, ma anche in Inghilterra, dove Charles Fox pronunciò un acceso discorso alla Camera contro il comportamento dell’ammiraglio.

«La condanna della reazione borbonica del Novantanove è una delle più fiere condanne morali che abbia pronunciato la storia.  Sì, certo, le nostre simpatie personali sono per quei vinti contro quei vincitori: sono pei precursori dell’Italia nuova contro i conservatori dell’antica: sono pel fiore dell’intelligenza meridionale contro l’espressione massima dell’oscurantismo internazionale. Ma per quei vinti e contro quei vincitori, ci è di più la ribellione del nostro sentimento etico.»

Così scriveva Benedetto Croce , che continuava identificando i responsabili della sanguinosa repressione:

«Lasciamo da parte i consiglieri per cortigianeria o per esaltazione e il canagliume ch’è sempre pronto e disposto a tutto. Ma i grandi responsabili restano tre: re Ferdinando, Carolina d’Austria e il Nelson.»

 

Il giudizio sui primi due è senza appello:

«A re Ferdinando si è fatto forse troppo onore chiamandolo un tiranno. Egli pensava alla caccia, alle femmine e alla buona tavola; e purché gli lasciassero fare le dette cose, era pronto a intimare la guerra, a fuggire, a promettere, a spergiurare, a perdonare e ad uccidere, spesso ridendo allo spettacolo bizzarro.»

 

La regina Maria Carolina è invece così giudicata:

«…una donna che, oltre le scorrettezze e turpitudini della vita privata, è stata colta in una serie di menzogne flagranti e di violazioni di impegni solenni presi sull’onore e sulla fede. […] Spirito torbido, non ebbe né elevatezza mentale, né accorgimenti e prudenza; fece di continuo il danno suo e di tutti.»

 

Per l’ammiraglio inglese c’è l’attenuante (se tale si può considerare) che

«…l’odio dell’inglese, contro i francesi e i loro partigiani, lo accecasse e lo spingesse ad atti selvaggi e sleali […] e anche l’ipotesi che egli ubbidisse ad ordini segreti del governo inglese, che volevano perpetuare nell’Italia meridionale l’antitesi e la discordia tra sovrani e sudditi, in modo che l’Inghilterra avesse sempre un piede in queste regioni, e potesse valersi delle due Sicilie pei suoi scopi militari e commerciali.»

Terminata la costruzione del palazzo dei Ministeri di Stato, ai lati del portone principale furono apposte due lapidi a celebrazione dell’intervento edilizio che aveva trasformato un disordinato spazio urbano in “un unico isolato di fabbrica, cioè l’Isola di San Giacomo”.

la lapide marmorea che si trova a destra del portone di palazzo San Giacomo

 

 

 

 

 

 

 

 

Le due taghe sopra presenti sono quelle poste oggi sulla facciata di entrata di Palazzo San Giacomo  sede del  Municipio della nostra città.

Esse ricordano i 116 patriti giustiziati per ave dato luogo ad episodi di insorgenza contro la monarchia borbonica, Le iscrizioni sono incorniciate da un insieme simbolico che allude, con i fasci littorii posti ai lati e le catene con anello spezzato sistemate in basso, alla conquista dell’unità e della libertà nazionale italiana; lo stemma civico, inalto,è sovrapposto a rami di quercia e di alloro,piante che emblematicamente ricordano l’eroismo e ne celebrano la gloria.

Curiosità : Non  tutti sanno che queste due lapidi sostituiscono  la presenza di due precedenti targhe alle quali,caduto il Regno delle Due Sicilie,  fu riservato lo stesso destino toccato ad altri elementi decorativi che ricordavano la dinastia borbonica : esse furono rimosse nel 1865 e al loro posto, vennero sistemate le lastre marmoree che ancora oggi affiancano l’entrata del palazzo.

Le due predenti targhe furono apposte ai lati del portone, quando venne terminata la costruzione del palazzo dei Ministeri di Stato per celebrazione quell’intervento edilizio che aveva trasformato un disordinato spazio urbano in “un unico isolato di fabbrica, cioè l’Isola di San Giacomo”.

Dopo aver completato la riconquista del regno, Ferdinando si preoccupò di ricollocare sul trono papale il deposto pontefice. Organizzata una forte spedizione militare, entrò nei territori vaticani. Il 27 settembre 1799 l’esercito napoletano riconquistò  Roma che era già stata abbandonata dai francesi il 19 settembre, mettendo fine  all’esperienza rivoluzionarinello stato Pontificio.

In Francia intanto, pervenuti le notizie dei rovesci subìti dalle armate francesi, Napoleone pensò bene di lasciare il comando dell’esercito in Egitto al suo generale e fare ritorno in patria. Giunto a Parigi, destituì con un colpo di stato il Direttorio e si fece nominare primo Console. Decise quindi di marciare verso l’Italia e valicare  le Alpi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ritorno vittorioso di Napoleone con la battaglia di Marengo e la successiva sconfitta subita a Siena dal contingente napoletano spaventarono molto Ferdinando.
La conseguenza fu un trattato di armistizio con Napoleone e l’accettazione di  tutte le condizioni  francesi dettate con il trattato di pace di Firenze del 28 marzo del 1801.


Ferdinando perdeva così a favore della Francia tutti i presidi della Toscana ed il controllo dei porti pugliesi presidiati dai francesi nonchè una forte somma di denaro da sborsare come indennità di guerra.
Il trattato di pace prevedeva tra l’altro la chiusura dei porti del Regno agli inglesi e ai turchi e la cessazione della persecuzione dei patrioti con l’amnistia di quanti erano ancora in attesa di giudizio.
Inoltre impose ed ottenne l’allontanamento da Napoli del ministro Acton, considerato il principale fautore della politica inglese alla corte borbonica.
Soltanto a queste condizioni  Napoleone acconsentì a non invadere il regno di  Napoli  e a ritirare i presidi francesi e solo allora Ferdinando si decise di far ritorno nella capitale.
Ferdinando costretto a liberare i patrioti decise allora con un editto di far liberare anche i fedeli Lazzari rinchiusi per comuni reati che ovviamente fu ben accetto dal popolo che non mancò al suo ritorno di tributargli  calorose e commoventi manifestazioni  di affetto.
Dopo due mesi, proveniente da Vienna giunse anche la Regina ed a festeggiare il suo arrivo furono solo i Lazzari in quanto gli altri ceti sociali erano oramai divisi dalla monarchia borbonica dopo che molti giovani nobili erano rimasti vittima dei moti rivoluzionari in cui la regina si era resa certamente protagonista.
La regina non ne fu rammaricata anzi era soddisfatta di aver potuto sfogare tutto il suo odio nei confronti dei francesi e dei repubblicani  e di aver potuto in parte vendicare la sorella Maria Antonietta, regina di Francia ghigliottinata dai rivoluzionari nel 1793.
Cosi’ mentre il re accettava le condizioni dettate da Napoleone, la regina trattava segretamente con la Russia e l’Inghilterra e in tutta Europa si tramava per  un’altra guerra nei confronti della Francia.
Il precedente trattato di pace prevedeva il ritiro da Malta dell’Inghilterra la quale cosciente dell’importanza strategica dell’isola nel Mediterraneo, rifiutò di lasciarla.
Napoleone allora si rivolse a Ferdinando affinchè obbligasse con la forza gli inglesi ad andarsene( in quanto egli aveva la sovranità di Malta ) e una volta resosi conto che tutto questo non avveniva, cominciò ad ammassare truppe e navi nel porto dello stretto di Calais con l’evidente disegno di invadere le coste inglesi.
L’Inghilterra, la Russia e la Turchia non volevano assolutamente riconoscere Napoleone come Imperatore dei francesi e crearono una coalizione insieme ad  Austria e Svezia,  che dichiarò ben presto  guerra alla Francia.
Maria Carolina approfittò subito  di questa nuova situazione e si allea con la Russia e ovviamente con l’Inghilterra senza informare l’ambasciatore napoletano a Parigi.
Subito dopo Ferdinando provvede a sottoscrivere un trattato di neutralità con la Francia, ma pochi giorni dopo compie, sempre influenzato dalla regina, un altro voltafaccia e firma un trattato di alleanza con l’Austria e la Russia nel quale con una dichiarazione scritta affermava di non avere nessuna intenzione di rispettare i patti firmati con la Francia in quanto questi erano stati imposti con minacce.
Maria Carolina animata sempre dal desiderio di  vendetta per  tutte le umiliazioni subite sollecitò l’invio di truppe anglo-russe per poter difendere il Regno dall’inevitabile oramai attacco francese.
Sbarcarono così a Napoli quasi 20 mila uomini tra russi ed inglesi ai quali si aggiunsero i 40 mila napoletani per marciare poi contro l’esercito francese in Italia.
Ma tutti questi uomini non ebbero neanche il tempo di mettersi in marcia che Napoleone sbaragliando ad Austerlitz l’esercito dei coalizzatori in una epica battaglia,  impose ad essi le condizioni per la pace.
Durante le trattative Napoleone non volle neppure sentire parlare dei Borbone e preannunciò le sue intenzioni annunciando: “La dinastia di Napoli ha cessato di esistere“.
Il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte , si mise allora  in marcia con un potente esercito per occupare il Regno di Napoli.


Il 23 gennaio del 1806 Ferdinando scappa per la seconda volta a Palermo, e  per la  fretta e per la paura stavolta abbandona anche la famiglia.
Questa volta l’esilio volontario siciliano durerà circa dieci anni che Ferdinando spende tra le sue vecchie passioni: la caccia e la pesca ma anche con la chiacchierata favorita Lucia Migliaccio Principessa di Partanna.
La regina Maria Carolina rimase a Napoli, sperando nell’esercito e nei Lazzari ma la borghesia e la nobiltà oramai contrari ai Borbone impedirono l’armamento della plebe.
Quando la regina vide che anche le bande organizzate degli ex- capi Sanfedisti, unitisi all’esercito ritennero impossibile la difesa della capitale (  si ritirarono in Calabria dove meglio potevano fronteggiare i francesi ) anche lei a quel punto s’imbarco  per raggiungere  il re a Palermo.
Il 15 febbraio Giuseppe Bonaparte fece il suo ingresso solenne a Napoli e successivamente con un decreto datato 30 marzo 1806 Napoleone nomino’ Giuseppe Bonaparte nuovo re del Regno di Napoli.
Questi resto’ solo due anni e mezzo sul trono per poi passare su quello di Spagna.
Il successore fu Gioacchino Murat , cognato dell’Imperatore .

Ferdinando intanto in  Sicilia su suggerimento dell’ambasciatore inglese Bentinck  decise  per fronteggiare i sempre più numerosi liberali, di emanare il rilascio di una costituzione,  e  l’allontanamento della moglie Maria Carolina che recatasi in viaggio a Vienna  fu poi colpita da una grave malattia che la portò alla morte il 9 settembre del 1814.
Cinquanta giorni dopo sposa morganaticamente la Principessa di Partanna ( vedova del
Principe di Partanna ) insignita del titolo di Duchessa di Floridia.

A Lipsia nel 1813 si andava intanto compiendo il destino di Napoleone che una volta sconfitto fu poi deposto e arrestato. La conseguenza fu la reinstallazione delle vecchie casate monarchiche in tutta Europa.
Il congresso di Vienna  riportano il fratello di Luigi XVI  sul trono di Francia con il nome di Luigi XVIII, il trono di Spagna ai suoi legittimi sovrani e il Regno delle due Sicilie  a Ferdinando.
Il 9 giugno del 1815,

Ferdinando torna quindi finalmente e nuovamente a Napoli  ed in conseguenza di un atto decretato l’anno prima che unificava i due regni del mezzogiorno egli dal titolo di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia , prese il  titolo di Ferdinando I, Re del Regno delle due Sicilie; un contingente austriaco gli  garantiva l’assolutismo regio, voluto dalla Santa Alleanza, e l’annullamento della Costituzione siciliana.

Il suo primo problema era quello di restituire agli ordini religiosi i beni confiscati e venduti per ricucire i rapporti con la Santa Fede.
Nel  1818 firmo’ quindi  un concordato con la Chiesa che ripristinava quasi tutti i privilegi del clero e riconosceva  la religione cattolica come il solo culto consentito.
Il secondo problema fu invece rappresentato dalle sette carbonare che radunava nel suo interno tutti gli scontenti e cosa ancora piu’ grave numerosi componenti dell’esercito borbonico.

Nel 1820 a seguito di una rivolta militare guidata dal Generale Guglielmo Pepe che capeggiava 7000  riuniti dinanzi al Palazzo Reale, egli decise di conecedere finalmemte  la Costituzione,  giurando solennemente l’osservanza della stessa sul Vangelo.
Gli austriaci manifestarono tutta la loro indignazione ai fatti accaduti ed insieme alle  altre forze europee ( Prussia e Russia) decise di inviare truppe militari per ripristinare tutto alla normalità.
Ferdinando fu chiamato a Lubiana per essere richiamato ai suoi doveri nei confronti della Santa Alleanza ( un’allenza fra quasi tutti  gli stati europei contro i movimenti liberal-nazionali che con un patto impegnava i sovrani cristiani in una mutua collaborazione per il benessere e la felicita’ dei popoli e per il mantenimento della pace ).
A Lubiana Ferdinando richiede agli alleati di intervenire con le armi per ristabilire il potere assoluto.
I carbonari capeggiati da Gugliemo Pepe decisero a quel punto  di muovere guerra alla Santa Alleanza e decisero di presidiare con truppe il Garigliano e di inviarne altre in Abruzzo.
Alla fine vennero alle armi e incominciò  una battaglia che finì con la sconfitta di Pepe a Rieti e l’entrata degli austriaci in Napoli.
La costituzione fu abolita e i carbonari fuggirono.
Ferdinando dopo una prima epurazione concesse un’amnistia e da quel momento regnò finalmente sereno dedicandosi sempre più alla sua famiglia e sopratutto ai suoi nipoti.
Ferdinando, che il popolo chiamava a affettuosamente ‘ re nasone ‘ per la eccessiva prominenza del suo naso, morì il 4 gennaio del 1825 all’età di 74 anni di cui 65 di regno.

 

 

ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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