L’anno è il 1799, il  mese era quello di gennaio e l’eco della Rivoluzione Francese era giunta fin qui, portando con sé ideali nuovi… e le baionette dell’esercito di Championnet.

II potere borbonico vacillava , i nobili fuggivano e re Ferdinando, dopo aver emanato un appello al popolo affinché si armasse e si opponesse ai nemici del Re, della Patria e della Religione, decise insieme alla corte ed ai nuovi amici inglesi  Hamilton, Nelson e Acton,di scappare da Napoli per rifugiarsi a Palermo  portando con se tutto il danaro dei banchi pubblici, mobili e casse di capolavori d’arte.

La popolazione della capitale  amareggiata da quanto accaduto in totale subbuglio non sapeva cosa fare. Per tre giorni consecutivi il popolo e particolarmente i  ‘lazzari’ si affollarono a rumoreggiare sotto la reggia invocando  il re a non abbandonare il Regno dicendosi pronti a sacrificare la propria vita per difenderlo.

Ossavano le ore ed il  popolo accalcatasi intorno al palazzo reale, contiuava a supplicare  il sovrano affinché non abbandonasse la città, dicendosi pronta a difenderlo e Ferdinando di fronte alla prova di affetto del suo popolo cominciò a tentennare ma l’inflessibile Maria Carolina lo spinse alla partenza.

Accadde così che nella  notte dal 21 al 22 dicembre, passando per un sotterraneo, s’imbarcarono sulla “Vanguardia”, la nave ammiraglia del Nelson, e caricato su alcune navi inglesi le opere più pregevoli delle gallerie e dei musei, i gioielli della corona e il denaro dei banchi per un valore di oltre settantadue milioni, i sovrani partirono ( o meglio fuggirono 9 alla volta di Palermo.

La mattina seguente, sparsasi la notizia dell’imbarco dei Sovrani e l’avvicinarsi delle truppe francesi alle porte di Napoli,avvenne  spontanea la mobilitazione del popolo napoletano.

La citttà era indifesa ed il popolo in quel momento capì realmente che a difendere la città erano rimasti solo loro.

I lazzari seguendo il proclama  del re erano comunque pronti ad  una tenace resistenza ai francesi combattendo strada per strada e casa per casa in maniera eroica.

Migliaia di uomini di ceto medio ma sopratutto il popolo ed in particolar modo i Lazzari erano quelli più decisi a combattere per salvare la loro città dall’occupazione francese.

 

 

 

 

 

 

 

Ai lazzari si unirono quindi  i cavatori di tufo della Sanità, i conciapelli dei vicoli delle Concerie, gli scaricanti del Porto, gli ortolani e i fruttaioli del Mercato, i marinai e i pescatori di Santa Lucia, il più borbonico dei quartieri cittadini.

In quella giornata del 15 la folla in tumulto  trasformò  la città in un fiume in piena che nessuno poteva più fermare. Risuonava ovunque il  terribile antico grido del “serra serra” per chiamare a raccolta ed alle armi tutti quelli che avevano  a cuore la difesa di Napoli contro il nemico alle porte. Senza strateghi, armati all’inizio delle sole mani o al più delle rudimentali “peroccole” (sorta di mazza nodosa con la cima a forma di pera), che roteate con perizia sono un’arma micidiale, che ferisce ed uccide, i lazzari, al grido di “viva San Gennaro” e ” viva ‘o Rre nuosto”, incominciarono a percorrere le strade della capitale alla caccia dei giacobini, colpevoli per loro non solo di tradire il re, ma di svendere Napoli al nemico straniero.

Questa folla di eroici napoletani , pur senza la guida di veri capi militari, occupò presto tutti i punti strategici di Napoli.  S’impadronò così delle porte e delle fortificazioni, inalberando il vessillo reale a castel Nuovo, castel Sant’Elmo, forte del Carmine e castel dell’Ovo.

Poi disarmò i 12.000 uomini della milizia civica, rifornendosi quindi di fucili, munizioni e perfino di cannoni. Infine diede l’assalto alle carceri, liberando 6.000 prigionieri, in gran parte ladri. Nella logica dei lazzari quest’ultimi meritano la libertà perché avevano  rubato ai borghesi, che loro tutti ideravano constraditori, prima verso il re ed ora verso la città.

Nei giorni seguenti viene presidiata l’altura di Capodichino e la zona di Poggioreale, ingressi obbligati, fin dai tempi antichi, per un esercito che voglia invadere Napoli.

Il 20 gennaio fu la vigilia di quelle tre storiche giornate, in cui la stragrande maggioranza del popolo napoletano, e per esso i lazzari  in prima linea, rivendicarono , per propria scelta, con un grosso tributo di sangue e un eroismo che meritava miglior sorte, il diritto alla dignità di essere nazione e di scegliersi liberamente i propri ordinamenti politici.

La diana di guerra suonò alle prime luci dell’alba del 21 gennaio 1799. quando l’esercito francese del generale Championnet con  le sue truppe di  francesi , vestiti bene, con i tamburi, le bandiere e l’idea di una Repubblica da imporre a forza. entrò in città . Ma non sapevano  che qui, prima della politica, viene l’anima. E i lazzari gliela mostrano subito, senza paura.

Erano uomini del popolo, scalzi, armati di coltelli, bastoni e un orgoglio feroce. Non avevano scuole militari né divise, ma combattevano con la forza del cuore e l’amore viscerale per la loro Napoli. In quelle tre giornate di fuoco, i vicoli si fecero trincee, le piazze campi di battaglia.

Contro un esercito moderno e addestrato, i lazzari risposero con audacia e rabbia, pronti a morire pur di non consegnare la loro città allo straniero. Gridavano “Viva ’o Rre!” e si lanciavano all’assalto con il coraggio disperato di chi difende casa propria.

Non avevano cannoni, né piani di guerra ,ma nei loro occhi era presente una fiamma che nessun esercito sa spegnere. Come armi avevano  coltelli da cucina, bastoni, e qualche vecchio archibugio. Ma soprattutto, avevano coraggio. E  Napoli nel petto.

Per tre giorni la città si trasformò in un inferno. I vicoli divennero trappole, i tetti sentinelle. I lazzari uscivano ad ondate, urlando, attaccando, morendo. Ma ogni caduto ne richiamava altri dieci. Si combattè ovunque: a Forcella, a Santa Lucia, nei Quartieri. Si combatteva per Napoli, ma anche per l’onore, per la rabbia, per non piegarsi.

A Porta Capuana, la resistenza fu feroce. Le barricate erano fatte di corpi. I colpi partivano dalle finestre, dai tetti, dalle botteghe. I francesi avanzavano, ma ogni metro costava sangue. Il generale Monnier fu colpito e cadde in piazza. Le case bruciavano. I francesi davano fuoco agli edifici pur di eliminare i tiratori lazzari.  Ma il popolo non arretava .

Il 22 gennaio, i combattimenti ripresero più furiosi.  francesi si impadronirono di Castel Sant’Elmo , traditi dai giacobini travestiti da patrioti. Ora i cannoni tuonavano sulla città,  non per difenderla, ma per colpirla alle spalle.

Eppure i lazzari non cedettero. Barricati nei rioni, nelle piazze,  combatterono casa per casa.
Un ufficiale francese, che chiese la resa, fu fatto a pezzi.Con il fuoco da Sant’Elmo e l’assalto su più fronti, Championnet scatenò l’inferno. Ma i lazzari, seppur sfiniti da tre giorni di lotta, non piegarono il capo. Le strade divennero torrenti di sangue. I vicoli, tane di leoni.

Solo quando i cannoni di Castel Nuovo, espugnato, iniziarono a bombardare il Carmine, fu chiaro che era la fine.

Fu una resistenza eroica quanto tragica. Napoli alla fine cadde.Troppa la potenza francese, troppo il fuoco, troppo il sangue,  ma l’anima ribelle dei lazzari non fu mai conquistata. In quelle giornate, il popolo scrisse una pagina incandescente della sua storia: una storia di sangue, sudore e infinito amore per la libertà.

E quando anche l’ultimo di loro cadde, Napoli tacque. Ma quel silenzio non era resa. Era memoria, Era Onore!

Quella resistenza, quella rabbia, quella follia d’amore – quella resta. Non è mai morta. Vive ancora nei vicoli, tra le mura muria enei racconti tramandati sottovoce della nostra città

Napoli cadde ed il prezzo fu terribile. Ottomila, forse diecimila lazzari morirono.
I corpi insepolti giacevano tra le macerie, tra i fumi, tra le urla delle madri. Le case annerite, i palazzi distrutti, la città in ginocchio.

I vicoli ancora parlano, se ascolti… sotto le pietre, nei muri scrostati, nelle ombre delle edicole votive, resta ancora presente l’eco dell’urlo dei lazzari

Un urlo che non chiede applausi.
Chiede solo di non essere dimenticato.

Perché in quei tre giorni del ’99, Napoli non fu salvata… ma fu amata fino all’ultimo respiro.

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