Scrisse di lui Salvatore Di Giacomo : “L’attore era veramente grande, la sua figura illuminava tutta la scena ,riempiva tutti i vuoti , raccoglieva tutte le emozioni e gl’interessamenti ; così le volgari stupidaggini della commedia petiniana , il suo difetto d’umanità, scomparivano in un godimento che pervadeva tutto il pubblico e durava ancor fuori del teatro: una felicità che accompagnava fin a casa gli spettatori , e lasciava ancor sorridere , nel sonno , le loro labbra dischiuse”
In queste belle parole è racchiusa tutta la grande bravura di Antonio Petito, una delle più importanti figure del Teatro napoletano che rese celebre in tutto il mondo la maschera di Pulcinella.
N.B. Antonio Petito, per il fatto di essere fin da piccolo , una persona molto vivace era anche chiamato dai suoi familiari.con l’appellativo di Totonno ‘o pazzo .
Autore, attore e capocomico napoletano di fama internazionale, Antonio Petito esordì sulla scena teatrale a soli sette anni , mostrando da subito grandi capacità nel ballo , nella mimica, nel canto, nella musica, nelle parodie e nei giochi di prestigio (era anche un acrobata molto abile). Egli era figlio d’arte , di una nota illustre famiglia di artisti teatranti che in quegli anni in citta si contraddistinguevano da tante altre compagnie popolari per la loro immensa bravura. Basti pensare che oltre ad Antonio Petito , il fratello maggiore Gennaro , era molto stimato dal pubblico per la sua mimica e, l’altro fratello minore Davide era invece molto ammirato e considerato nel mondo teatrale per il suo estro recitativo.
N.B. : I Potito furono sulla scena popolare napoletana a partire dalla seconda metà del Settecento fino alla seconda metà dell’Ottocento.
Antonio Petito nacque a Napoli nel 1822, da Salvatore, noto interprete in città della maschera di Pulcinella e Giuseppina D’Errico , detta ” donna Peppa ” , che gestiva e dirigeva con capacità e tirchieria il famoso teatro Silfide,
Il padre recitava le sue farse “pulcinellesche” al Teatro San Carlino di Napoli, mentre la madre fu una pupara, una guarattellara, ossia gestiva un teatrino dei pupi e, successivamente quando divenne la sposa di Salvatore Petito fu l’impresaria della compagnia della famiglia Petito.
Il padre, Salvatore, era un artista di prim’ordine e uomo di grandi avventure . Sciupafemmine come pochi , fu costretto a scappare da Napoli con il grande amore della sua vita (Maria Giuseppa Errico, anch’essa danzatrice ) a Corfú, per via che i Borbone erano rientrati a Napoli ed invece lui era legato al partito di Murat; nell’isola lontana aveva sposato la Errico; rimpatriato al placarsi della tempesta politica, assieme a sua moglie aveva aperto un piccolo teatro dove si esibiva nel genere comico con Pulcinella, maschera che allora dominava incontrastata lo spettacolo popolare napoletano.
N.B. :. Il Teatro Silfide era anche soprannominato ” il teatro di ” Donna Peppa “, in quanto era stato edificato nel 1838 da Giuseppa Errico, moglie di Salvatore Petito e madre di Gaetano, Davide, Pasquale e Totonno detto,”‘o pazzo”. Il teatro sorgeva nelle prossimità di piazza del Carmine,nell’ androne del palazzo Maisto e là si recitavano per lo più dei drammi mitologici e briganteschi. Giuseppa Errico era la factotum del teatro, fungeva da amministratrice , da attrice e da ballerina ed era benvoluta sia dagli attori, che dal pubblico di quel teatro, che, tra l’altro, era formato da prostitute, pescivendoli,commercianti ed anche guardie di quel presidio.
In quel periodo la maschera di Pulcinella, con la morte dell’attore e poeta Filippo Cammarano, cercava un degno erede , e le performance teatrali di Salvatore Potito ben presto colpirono le attenzioni di Silvio Maria Luzi, considerato allora l’ impresario della maggiore compagnia della città.
Egli intravide in Salvatore il degno erede di Filippo Cammarano e non tardò a scritturarlo sul suo palcoscenico del San Carlino da tutti riconosciuto come il sancta sanctorum del teatro d’Arte partenopeo.
Curiosita’: il Teatro San Carlino , palcoscenico della stirpe dei Potito e luogo di battesimo del ‘ Felice sciosciammocca’ di Scarpetta , aveva la sua sede nell ‘attuale Piazza del Municipio che fino al secolo scorso era chiamato < Largo del Castello > in quanto antistante al Maschio Angioino.
Il largo nel passato ha sempre avuto una vita alquanto animata ; e’ sempre stata zona di venditori ( anche merce rubata) , ambulanti , mercanti , mercato di fiori , uccelli , ma anche meta di furfanti di ogni genere ,e ciarlatani che smerciavano ogni sorta di rimedi o reliquie ambitissime.
Molti comici , in questo luogo ,recitavano sui banconi e il popolo si divertiva (non potendo accedere al teatro di corte nell’interno del castello ) poiche’ potevano assistere a commedianti che pur recitando nelle mura per il re , non disdegnavano talvolta di prodursi sui palchi improvvisati nella piazza . Tutto questo fino a quando Michele Tomeo ( un impresario del tempo ) non penso’ di affittare uno scantinato e ne fece un piccolo teatro che veniva chiamato ” o fuosso ” e poi ‘ la cantina ‘.
Di fronte 40 anni dopo, un tal Brancaccio costrui’ un baraccone ad uso teatro che fu denominato San Carlino in contrappunto ironico al Teatro San Carlo della corte regale.
Qui in una baracca , ha quindi inizio nel 1740 la vicenda del San Carlino , il teatro comico per definizione nella Napoli del 700/800.
Il baraccone funziono’ insieme alla ‘ Cantina ‘ fino al 1759 allorche’ fu demolito nel 1884 per la sistemazione della Piazza ; i suoi cimeli sono fortunatamente custoditi nella sezione teatrale del Museo di San Martino , con il modello al vero della scena.
Tomeo , figlio di Michele , chiese allora il permesso a re Ferdinando IV di costruire un teatro nuovo usufruendo delle cantine e di altro bassi contigui . Ebbe il permesso nel 1770 e da questo momento inizia la vera vita del San Carlino che divenne la reggia della piu’ famosa maschera del mondo < PULCINELLA> . Ne era allora interprete sublime Vincenzo Cammarano , soprannominato Giancola , che godeva del favore di sua maesta’ Ferdinando IV , ma il piu’ grande interprete di Pulcinella di tutti i tempi come vedremo fu Antonio Petito , morto in scena nel 1876.
Purtroppo il 6 maggio 1884 nel quadro del risanamento , il San Carlino fu abbattuto e scomparve cosi’ quello che era stato per piu’ di un secolo il tempio della risata ed un palcoscenico che aveva nutrito generazioni di attori.
Ritornando a Don Salvatore , egli non venne meno alle sue aspettative e nello svolgere la sua missione divenne un gran Pulcinella, amato da tutto il pubblico del San Carlino, che per il suo carattere ed il suo garbo, lo soprannominò “Il Pulcinella delle dame”.
Egli ,aveva trascorsi di ballerino al Teatro San Carlo, ed in breve tempo mostrò sul palco tutta la sua bravura divenendo in città un artista molto noto e da molti apprezzato . Da tutti riconosciuto come un grande artista del palcoscenico ,divenne per tutti in città l’erede naturale in teatro della maschera di Pulcinella, dopo la morte dell’attore e poeta Filippo Cammarano , e per alcuni veniva addirittuta considerato il maggior interprete in assoluto della maschera di Pulcinella di tutti i tempi .
Da allora , quando esordì nel 1823 come Pulcinella al Teatro San Carlino , Salvatore continuò a recitare con successo fino al 1852 , quando le forze gli vennero a mancare e decise di ritirarsi passando le consegne a suo figlio.
Per trenta lunghi anni egli fu colui che con imapreggiabile successo fu l’indiscusso protagonista del palcoscenico del San Carlino e smise di calcare la scena con successo , solo quando la forza e l’età lo costrinsero per forza di cose passare la mano.
In verità fu lo stesso impresario del San Carlino, Silvio Maria Luzi , resosi conto che il momento era arrivato, a chiamare Salvatore Petito e a suggerìrgli di farsi affiancare dal figlio Antonio,che allora recitavacon vari ruoli a piazza del Carmine, nei drammoni lagrime e sangue messi in scena al teatro Silfide da Donna Peppa”e dalle altre compagnie girovaghe di Napoli per accattivarsi il pubblico piú plebeo.
Salvatore si convinse ad abdicare perché aveva, purtroppo, capito che era arrivato il momento di affidare ad altri quella maschera che per lui stava diventando troppo pesante.
Poteva un padre per giunta davvero arrivato al momento del riposo, rifiutare l’eredità al suo stesso figlio?
Qual cosa migliore era quella di passare la mano a favore del figlio.
Detto fatto. Il 12 aprile del 1852 si diede la commedia “Mi si è spento il lume” ed al levare del sipario, don Salvatore in versi dialettili si rivolse agli spettatori che lo avevano amato per decenni e presentò suo figlio Antonio al pubblico che assediava il San Carlino, pronunciando dei versi, scritti per lui da Giacomo Marulli.
” cari miei, sono vecchio e stanco; concedetemi il meritato riposo e accogliete con indulgenza il nuovo Pulcinella di questa compagnia, mio figlio Antonio. Poi s’avvicinò con una mano decisa il figliolo, che stava con lui in scena, gli diede maschera e coppolone e “Pe’ cient’anne!” lo benedisse.
Il pubblico partecipò a lungo con applausi e lagrime e baci e grida. Mai scena d’abdicazione reale fu, a nostro vedere, piú memorabile.
L’applauso del pubblico fu lungo e fragorosissimo , ci furono lacrime , baci e grida.Mai scena d’abdicazione reale fu, a nostro vedere, piú memorabile, ed altrettanto lo fu il debutto di Totonno, che ottenne consensi, al di là del previsto.
La maschera passò quindi da padre in figlio ed addirittura come vedremo … in mani migliori ! Da quel momento , quando Antonio Potito ricevette l’investitura del camice bianco, dallo stesso padre, sul palcoscenico del San Carlino, davanti alla platea degli spettatori egli fino all’ultimo giorno della sua esistenza, sarà per il pubblico e per la stampa per sempre nella storia ,“Il Re dei Pulcinella” ed “Il Re del San Carlino”.
CURIOSITA’: Salvatore Petito quando abbandonò la maschera e, innamorato come era del teatro e della commedia , rimase ancora qualche anno sul palcoscenico del San Carlino, interpretando piccole parti di carattere comicissimo (vecchi cafoni e giureconsulti sordi, che ancora adesso vivono nelle farse di tradizione meridionale). Rimasto vedovo condusse all’altare un’altra sua generosa amante pescata da dentro un teatro e il suo spirito gagliardo ma immalinconito volò in cielo da un minuscolo appartamento che era l’anno 1869.
Antonio Petito nell’indossare la maschera,di Pulcinella infatti non sostituì semplicemente suo padre al San Carlino: egli diede una vita ad un nuovo Pulcinella modificandone non tanto gli aspetti, le movenze, l’abbigliamento, ma il linguaggio e i contenuti della maschera , recando a quest’ultima maggiore spessore psicologico. Nelle sue commedie Pulcinella finiva infatti spesso col trattare temi sociali di grande attualità che cercavano di portare all’attenzione e alla riflessione del pubblico molte realtà partenopee di metà ottocento .
La considerazione di una realtà sociale che andava mutando in seguito allo sviluppo industriale incalzante , e le mutate situazioni economiche e culturali, che questa comportava, portò con il tempo Antonio ad essere obbligato a migliorare la lingua del suo personaggio .La sua maschera di Pulcinella , finì con il tempo a non si esprimersi più in un vernacolo arcaico, ingarbugliato, rurale e ricco di errori, ma con l’affermazione della borghesia, Pulcinella , finì per esprimersi anche nella nuova lingua borghese, allacciandosi persino alla cultura francese del vaudevilles e della pochades. Lentamente l’attore finì per mutare anche l’atteggiamento caratteriale di Pulcinella; essa non era più una maschera pigra, buffona e sciocca quale essa era stata in epoche passate, ma una maschera attiva, dinamica e molto furba, con evidenti tratti sentimentali e malinconici. Non più un villano ingenuo , sciocco ed ignorante , ma un servo acuto e astuto , talvolta addirittura saggio e totalmente urbanizzato alla nuova società in cui viveva romanticamente infelice.
Antonio Petito fu insomma colui che rivoluzionò la maschera di Pulcinella avvicinandola di più a quel mondo borghese che aveva trasformato la società . Il suo pubblico , con un Pulcinella trasformato divenne più vasto e si allargò facendosi apprezzare, anche alle classi più agiate e non solo al popolino . Le sue commedie trattavano spesso di argomenti a sfondo sociale di grande attualità, che oltre a divenire un simbolo delle aspirazioni popolari divennero lentamamente anche un modo di insegnare al proletariato ad avere un nuovo rispetto per se stesso ed una serena coscienza dei propri doveri.
Insomma, Antonio Petito alla fine riscosse ancora più fama successo di suo padre , calcando lo stesso identico palcoscenico e la stessa maschera . Il suo carisma e la sua genialità lo misero , nello stesso palcoscenico in cui fu incoronato, su di un piedistallo dal quale nessuno mai più riuscì a detronizzarlo ed a sostituirlo degnamente. Il suo strapotere artistico fu enorme e portò alla massima gloria il San Carlino proprio in un periodo in cui in tutta Italia il teatro d’Arte soffriva .
Egli ebbe grande fama in tutta Italia dove era considerato il re dei Pulcinella. Veniva considerato ovunque un figura leggendaria anzi potremmo dire che Pulcinella era ed èancora oggi sinonimo di Petito.
Pensate solo che il re Vittorio Emanuele II in visita a Napoli, volle vedere quasi solo lui.
Oltre ad essere ricordato come il più grande interprete di Pulcinella egli fu comunque anche un prolifico commediografo, ma poichè era semi-analfabeta, egli dopo aver ideato la trama di una commedia poi si rivolgeva agli illustri letterati del tempo per effettuare la stesura dell’opera. Nonostante egli quindi avesse delle profonde lacune culturali , fu il primo vero attore comico che intuì quanto fosse necessario il copione scritto da recitare e possiamo certamente considerarlo antesiniano di una nuova forma di teatro che vide in epoca successiva grande protagonista il suo allievo prediletto Eduardo Scarpetta con la figura di Felice Sciosciamocca . Egli segnò il passaggio dal teatro delle maschere al teatro del carattere.
Antonio Petito fu infatti famoso anche per interpretazioni senza maschera, col nome di Pascarello, impegnato in esperimenti di riscrittura da Molière e da Goldoni che (non ce ne stupiamo) lasciavano di stucco anche gli stessi altri attori della compagnia. Scarpetta addirittura lo preferiva cosí, a volto nudo, ed è lecito supporre che il famoso Felice Sciosciammocca , nato da una rielaborazione proprio di Petito ,non fu altro che l’emulazione della neoterica drammaturgia d’attore di Pascarello.
D’altronde Totonno aveva iniziato la sua carriera artistica interpretando le parti di cattivo, e lo faceva talmente bene che una sera al teatro di “Donna Peppa” uno spettatore, indispettito per il tradimento di Jago (interpretato da Antonio Petito) , in un impeto di rabbia, lanciò una scarpa al Petito, con una violenza tale da procurargli una grossa ferita. Alla madre, che voleva far arrestare l’esagitato, Petito disse queste parole :
<< Pecchè ‘o faje arrestà ? In fondo m’ha fatto ‘o cchi` bello cumplimento ca me puteva fa ! >>
Ma Antonio Petito nella sua vita privata era un uomo buono burlone a cui piaceva molto fare scherzi, anche se possedeva un carattere un pò particolare tipico di quelli dotati di un estro così trascinante,
Come il grande Molière, anche lui lasciò la vita terrena mentre recitava . Ebbe infatti un malore in scena sullo stesso palco dove il padre lo aveva incoronato , , la sera del 24 marzo del 1876 , abbandonò al suo destino la maschera di Pulcinella.
Quella sera , il grande Petito , il più grande interprete della maschera di Pulcinella era intento a recitare nella ” Dama Bianca ” del grande Marulli, quando un vile infarto cardiaco attacco , lo fulminò dietro le quinte. Fu allora adagiato su di un materasso e portato sul palcoscenico dove esalò il suo ultimo respiro, sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l’ultimo ed il più fragoroso degli applausi. Con la sua morte finì l’ultimo ed il più grande dei Pulcinella.
Con la sua morte finiva anche una gloriosa generazione di Pulcinella che mai più vide attori degni di vestire quel bianco camice, anche se non si possono trascurare le ottime interpretazioni di Giuseppe De Martino e Salvatore De Muto che, pur dando ottimi saggi di recitazione, non seppero ridare alla maschera napoletano quel lustro e quella fama che gli aveva dato Antonio Petito.
Egli a distanza di molti anni resta ancora il più celebre ed uno dei più apprezzati Pulcinella della storia ancora tanto da essere conosciuto come “Il Re dei Pulcinella”.
Colui che forse potremmo idealmente identificare come il suo vero nipote scenico è solo il grande Eduardo De Filippo, figlio di Eduardo Scarpetta il quale come vi abbiamo detto era a sua volta il principale allievo di Antonio Petito . Il grandissimo attore e commediografo Edoardo Scarpetta sostitui’ però come sappiamo alla maschera di pulcinella il suo inimitabile ‘ Felice sciosciammocca ‘ , una macchietta di grande successo .
Un grande Pulcinella manca quindi oramai da tempo …..
Ma io sono sicuro che un grande Pulcinella esiste ancora nella nostra città e si mimetizza tra la gente per mettere in opera i suoi piani … egli aspetta solo la sua grande occasione per portare alla luce il suo talento .
Chi di voi sarà il prossimo grande Pulcinella ?
A voi la maschera …
Prima di concludere il nostro articolo mi sembra doveroso spendere seppur poche parole sul grande Filippo Cammarano . Egli nato a Palermo nel 1764 era anche lui figlio d’arte Suo padre era infatti Giancola Cammarano un noto attore del teatro napoletano che interpretò il ruolo di Pulcinella per più di trent’anni al Teatro San Carlino .
Filippo , apprese l’arte del teatro nella compagnia paterna per poi svolgere secondariamente , una feconda carriera di artista, prima al teatro Fenice e in seguito al San Carlino, riprendendo sopratutto il ruolo di suo padre nella figura di Pulcinella. nel quale si distinse per la sua interpretazione molto popolare che piacque sia ai napoletani che alla corte dei Borboni, Nel corso della sua carriera diede comunque luogo ad una enorme produzione di lavori, che si dividevano fra fra teatro, poesia e riduzioni letterarie, nel quale cercò con forza e caparbia di distaccarsi da quel panorama del teatro dialettale in vigore all’epoca nella Napoli dell’ottocento .
Napoli di inizio Ottocento era infatti popolato da piccole compagnie che recitavano essenzialmente commedie dall’umorismo grottesco e facile caratterizzato sopratutto da sceneggiate atte a colpire il pubblico con un facile sentimentalismo.
La maschera di Pulcinella , nata da scrittori dialettali e diffusa da una letteratura vernacola conobbe nel 500 una crescente fama sopratutto nella fascia più popolare della città . A portarle in auge , nelle strade, nei vicoli , nelle fodace e nelle piazze, fu sopratutto il comico napoletani Silvio Fiorillo , che secondo alcuni fu addirittura il vero e prorio inventore della famosa maschera . Il Pulcinella da lui rappresentato era un uomo grande e grosso con un naso enorme , una maschera nera e due baffi puntuti , vestito con un camice bianco stretto e rigonfio alla cintola che sovrastavano dei larghi pantaloni bianchi che gli facevano rughe copiose sulle scarpe . nella mano destra era solito portare un berretto che si assotigliava e si biborca in punta . Egli si mostrava come un servo sciocco e timido sposato con tale “Zeza ” che egli spesso tradisce per bazzicare con una certa Rosetta , serva del dottor veneziano Pantaleone , ma anche con Pasquella ed infine con la tutto pepe piccola serva Colombina che si mostra spesso manesca , sfrontata e bugiarda .Nonostante la sua ignoranza , con il suo carattere sfrontato , sempre pronto all’inganno e all’ironia , il Pulcinelle cinquecentesco legata all’attore Silvio Fiorillo , era uno sciupafemmine ed incallito traditore che spesso lo si vedeva nelle commedie fuggire e darsela a gambe dalla moglie Zeza che furibonda con la scopa in mano , lo insegue .
La figura di questo Pulcinella era quella di uno scaltro perdigiorno ,burlone e furbo , capace di sorridere sempre anche se non possedeva nulla , ma sempre pronto a continui tradimenti con belle servetta a scapito alla infelice moglie Zeza che sopportavo tutto con filosofia .
Sempre a corto di quattrini , da coniuge pentito , lo si vedeva anche tener bottone e aiutare la stessa moglie Zeza a cercare di ” sistemare ” la figlia Tolla con un certo don Nicola , uno studente di provincia che come tanti altri affollavano in quel periodo Napoli per approfondire i loro studi presso l’università cittadina ,
N.B. Gli studenti di provincia ,considerati a quell’epoca i maggiori impenitenti insidiatori dell’onor delle case , erano soprannominati ” abatelli “o pacchesecche .
Fipippo Cammarano , nella sua versione di Pulcinella cercò di prendere le distanze da questo tipo di spettacolo teatrale mirando a risollevare il livello delle rappresentazioni. Lo fece introducendo una più complessa psicologia dei personaggi e variando il genere delle rappresentazioni. Oltre ad adattare infatti alle dinamiche e ai personaggi napoletani alcune opere di Goldoni, introdusse nei suoi lavori originali intrecci tratti dalle Mille ed una notte o anche ad episodi della cronaca contemporanea, come il Brigantaggio . Egli ebbe il merito di trasformare la maschera di Pulcinella in un simbolo sociale ,capace di parteggiare per i poveri contro le vessazioni dei ricchi e addirittura capace sul palcoscenico di prendersi gioco dei potenti senza alcuna conseguenza . Dopo essersi sposato con Rosalia Vitellaro con la quale ebbe, si ritirò dalle scene nel 1832 , , ricco di una pensione di 30 ducati concessagli dal re Ferdinando II di Borbone.
Egli fu infatti beniamino di Re Ferdinando che Cammarano non esitò a denominare “Re nasone”, i suoi rapporti con la corte erano simili a quello dei giullari delle corti medievali.