L’8 agosto, Napoli ricorda San Domenico
C’è un luogo, nel cuore profondo di Napoli, dove il silenzio sa di incenso e di sapere, e ogni pietra sembra raccontare una storia.
La Piazza con la sua meravigliosa Basilica di San Domenico rappresenta per la nostra città il cuore pulsante della nostra storia , Essa non è una piazza qualsiasi. Non è solo pietra: è l’anima misteriosa della nostra città.
Una incredibile porta tra il visibile e l’invisibile.
Tra il presente rumoroso e un passato che ancora respira.
È il luogo dove il pensiero si è fatto preghiera, e la preghiera si è fatta cultura. E i frati domenicani, con le loro vite tanto diverse ma ugualmente luminose, sono ancora oggi le voci che sussurrano a Napoli di non smettere mai di cercare, di amare, di credere.
Appena ci metti piede, senti che qualcosa cambia: l’aria diventa più densa, come se custodisse segreti mai del tutto svelati. Al centro si alza la guglia di San Domenico , uno dei monumenti barocchi più simbolici della città, che fu progettata da Cosimo Fanzago , uno dei più grandi architetti e scultori del Barocco napoletano.
I lavori iniziarono nel 1656 ma vennero completati negli anni successivi da altri architetti, tra cui Francesco Antonio Picchiatti e Domenico Antonio Vaccaro, che ne curarono anche alcuni degli elementi decorativi.
L’obelisco riccamente decorato in stile barocco con statue, bassorilievi e volute, sembra voler toccare il cielo per raggiungere direttamente con la propria estremità proprio San Domenico di Guzman, il fondatore dell’Ordine dei Domenicani, al quale, in un tempo dove la malattie,le carestie ed i terremoti erano interpretati anche come eventi spirituali, la città decise di affidarsi per chiedere protezione.
La guglia fu infatti eretta come ex voto — cioè in segno di ringraziamento — per la fine della terribile peste del 1656, che aveva devastato Napoli, causando la morte di oltre la metà della popolazione.
La sua statua in marmo la si può infatti osservare sulla cima della guglia che domina la piazza. Le decorazioni intorno a questo prezioso munumento raffigurano scene della vita del santo e simboli religiosi, in un insieme spettacolare di arte, fede e gratitudine.
Oggi, la Guglia di San Domenico è molto più di un monumento: è il simbolo della resilienza di Napoli, della sua devozione profonda e della sua capacità di rialzarsi dalle tragedie, affidandosi alla fede e alla bellezza.
Chi si trova in questa piazza e la guarda solo con gli occhi, non vedrà niente. Ma chi la ascolta col cuore, sentirà che Napoli — quella vera — batte proprio lì. Essa è uno di quei luoghi dove l’arte parla la lingua del cuore, e dove la storia si fa visibile a ogni sguardo.
Tutto intorno, palazzi nobiliari scrutano la piazza con occhi antichi. Le loro facciate parlano di dame e cavalieri, di intrighi di corte e notti silenziose, di carrozze e candele spente troppo presto. Su uno di questi edifici, si racconta, c’è ancora l’eco del misterioso delitto di Maria d’Avalos, consumato tra quelle mura da un amore tragico che ispirò poeti e cantastorie per secoli.
Ma è la Basilica di San Domenico Maggiore che domina la scena. Imponente, silenziosa, carica di storie e presenze. Lì dentro, tra tombe regali, reliquie e affreschi, sembra che il tempo si fermi. Questo luogo è molto di più di una chiesa, molto più di un monumento: qui le pietre raccontano storie con la memoria viva dei suoi frati , dei suoi pensatori e dei suoi predicatori.
Dietro il suo maestoso portale, tra affreschi antichi e luce dorata, vive da secoli una comunità di frati domenicani, uomini che hanno scelto di servire Dio con la mente e con l’anima. È qui che Napoli ha custodito alcuni dei suoi pensatori più audaci, santi e ribelli, mistici e filosofi.
Tra i chiostri del convento e le stanze silenziose della grandiosa biblioteca, si sono infatti formati in questo luogo alcuni dei pensatori più straordinari della storia,come Tommaso d’Aquino, Giordano Bruno e Tommaso Campanella …menti immense che passarono per questo luogo come stelle cadenti: brevi, intense, eterne.
Tutto cominciò da un uomo,nato in Spagna nel 1170. San Domenico di Guzmán, non era un nobile guerriero né un potente prelato, ma un uomo di fuoco, con il cuore acceso da un sogno: portare la verità di Dio con dolcezza, intelligenza e carità. Fondò un ordine nuovo, fatto di frati predicatori, amanti dello studio e della povertà. Dove c’era ignoranza, voleva mettere conoscenza; dove c’era errore, voleva portare amore. E anche se egli non arrivò mai a Napoli di persona, la sua fiamma vi giunse presto, e vi prese dimora per sempre. Nel 1231 i suoi figli spirituali fondarono il convento accanto alla basilica che da lui prende il nome. E lì, nella Napoli vivace e contraddittoria,i frati domenicani dell’Ordine dei Predicatori camminando in punta di piedi tra il cielo e la terra, portarono le luce della parola in mezzo al popolo diventando luce nel buio, voce nella confusione, mente nel cuore della città.
San Domenico non è quindi come tutti possono pensare, solo il fondatore di un ordine: è un modo di vivere, è lo sguardo di chi ama la verità ma non dimentica mai la misericordia.
Nel cuore di Napoli, San Domenico vive ancora. Nei libri, nelle pietre, nelle voci dei frati, nella fede del popolo e nella memoria viva dei suoi frati, dei suoi pensatori e dei suoi predicatori.
Ma tra tutti i tesori della Basilica, uno rimane ancora oggi nascosto agli occhi di molti: la biblioteca del monastero. Un luogo quasi sacro, dove il silenzio ha il peso della sapienza. Scaffali altissimi, legni antichi, manoscritti vergati a mano da frati che credevano che ogni parola fosse una scintilla divina. Qui, nei secoli, si sono raccolti testi di filosofia, scienza, teologia, astronomia… una biblioteca che non era solo deposito di libri, ma culla del pensiero, laboratorio dello spirito, ponte tra cielo e terra.
Attraverso la lettura di questi antichi libri si sono formate alcune delle più grandi menti della nostra storia.
Nel XIII secolo, tra le mura del convento, e di questa biblioteca San Tommaso d’Aquino camminava lentamente nel chiostro, tenendo in mano una piccola Bibbia. Il suo sguardo era assorto, ma quando parlava, la sua voce diventava chiara e ferma, come se Dio stesso gli suggerisse le parole. Nella biblioteca del convento, tra codici miniati e scritture antiche, Tommaso cercava verità che potessero unire fede e ragione. Lì, sotto le volte silenziose, scrisse parte della sua Summa, facendo di quel luogo uno dei cuori pulsanti del pensiero occidentale.
Secoli dopo, altri due frati domenicani vi passarono, con spiriti ribelli e menti affamate di infinito: Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Bruno, inquieto e visionario, sfidava i dogmi, parlava di mondi infiniti e libertà del pensiero; Campanella, ardente e profetico, sognava una città ideale governata dalla giustizia e dalla sapienza. Anche loro vissero tra quei libri, tra quelle stanze dove la conoscenza era sacra quanto la preghiera.
E poi venne Padre Rocco, frate del popolo. Non scriveva trattati, ma con la sua parola accendeva i cuori. Scendeva per le strade, tra i mercati e le botteghe, e parlava a chi nessuno ascoltava. Era il volto della misericordia: chi lo incontrava sentiva che Dio non era lontano, ma proprio lì, accanto, nei gesti semplici della bontà.
La Basilica di San Domenico Maggiore come vedete non è solo pietra: è anima della città. È il luogo dove il pensiero si è fatto preghiera, e la preghiera si è fatta cultura. E i frati domenicani, con le loro vite tanto diverse ma ugualmente luminose, sono ancora oggi le voci che sussurrano a Napoli di non smettere mai di cercare, di amare, di credere.
Piazza San Domenico rappresenta ancora oggi il crocevia della Napoli popolare e colta: qui un tempo passavano i filosofi e i frati, i venditori di fichi e gli studenti, le nobildonne in silenzio e i predicatori infuocati. Qui ancora oggi, tra un tavolino di caffè e un monumento storpiato da orrendi graffiti, si respira quella magia strana, quel misto di sacro e profano che è l’anima stessa di Napoli.
Di giorno è viva, piena di luce, risate, passi.
Di notte… diventa un luogo sospeso. Le ombre si allungano, i lampioni sembrano sussurrare. E qualcuno giura che, in certe sere d’estate, si possano ancora sentire i passi lenti di un frate, o il bisbiglio di chi cerca risposte tra le pietre come lo spettro della bella D’Avalos, nella ricorrenza del brutale assassinio, che pare vaghi sporca di sangue, inquieta tra l’obelisco della piazza ed il portale d’ingresso del palazzo in cerca dell’amato Fabrizio e del figlio ucciso senza colpa.
In questa esoterica Piazza, ogni anno nel giorno del suo assassinio risuona forte il grido agghiacciante della povera donna e tutti nel quartiere non mancano di farsi il segno della croce.
In questo luogo misterioso, ogni notte, prima della mezzanotte, qualcuno giura di sentire in prossimità della sua abitazione , i rumori dei passi di una sinistra figura somigliante al Principe Sansevero a cui fa seguito l’eco dello scalpitio dei cavalli della sua carrozza.
Suggestione ? Immaginazione ?
E se invece fosse realmente ancora il Principe in carne e ossa ?
Magari chissà , in tanti decenni di studio incessante il Principe di San Severo forse ha davvero scoperto l’elisir di lunga vita ……..
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