La chiesa di San Domenico Maggiore , assieme al suo adiacente convento , costituisce uno dei più ‘ grandi ed importanti complessi religiosi della citta’.
Voluta da Carlo II d’Angio ‘ ed eretta tra il 1283 ed il 1324 divenne la casa madre dei domenicani nel regno di Napoli e chiesa della nobilta’ aragonese .
Edificata intorno all’antica chiesetta di San Michele Arcangelo a Morfisa ( dal nome di una potente famiglia del luogo ) dei padri benedettini che era composto da un piccolo convento con chiesa annessa e da uno ‘ spedale ‘con un giardino che era destinato all’ accoglienza dei pellegrini .
Quando nel 1231 i domenicani giunsero a Napoli , non disponendo di una sede proprie , si stabilirono nell’antico monastero della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa inizialmente qualità di ospiti .Successivamente i padri benedettini cedettero la proprietà del convento ai frati predicatori Domenicani .
La chiesa fu ampliata dal 1283 per volonta’ del re Carlo II d’Angio’ per un voto fatto alla Maddalena durante il suo periodo di prigionia in mano agli aragonesi ed in tale circostanza l’originaria struttura fu inglobata all’interno dell’attuale braccio destro del transetto della chiesa
La chiesa fu eretta secondo i canoni classici del gotico con tre navate , cappelle laterali ,( 27 ), ampio transetto e abside poligonale e fu realizzata in senso opposto alla chiesa preesistente cioe’ con l’abside rivolto verso la piazza alle cui spalle fu aperto un ingresso secondario.
Nel corso dei secoli importanti personalita’ hanno avuto legami con il complesso : San Tommaso D’Aquino vi insegno’ teologia (la sua cella e’ ancora visibile ) mentre tra gli alunni illustri si ricordano su tutti : Giovanni Pontano , Giordano Bruno e Tommaso Campanella .
Durante i secoli ha subito continui restauri , dei quali il piu’ significativo avvenne in epoca barocca con l’intervento anche di Domenico Vaccaro , modificando notevolmente la preesistenti forma gotiche .
La facciata principale della chiesa e’ sulla piazza San Domenico Maggiore , ma vi e’ un ingresso chiuso ( sotto il balcone del 400 con i stemmi del Carafa) ed un altro di piu’ frequente accesso sulla grande scalinata voluta da Alfonso d’Aragona che portava alla chiesetta di San Michele Arcangelo a Morfisa , con portale gotico -rinascimentale del 400
L’ingresso principale si trova sulla facciata secondaria nel vico San Domenico al n 18 , dove un portone immette nel vasto cortile nel quale a sinistra si prospetta la facciata della chiesa con un grande portale gotico ad arco acuto ed una porta di legno entrambi originali e voluti da Bartolomeo di Capua. Sulla porta, tondo con l’immagine di S. Domenico; nei dodici medaglioni fra gli archi, alcuni santi domenicani su fondo oro. Nella navata centrale il cassettonato della volta a fregi, stucchi e ori fu sostituito all’antico nel rifacimento del priore Tommaso Ruffo nel 1670 per poi essere ridipinto e ridorato in quello del Travaglini (1850). Al centro, lo stemma domenicano; ai quattro angoli, le armi della casa d ’Aragona e della corona di Spagna.
Sul lato destro della facciata si erge il campanile del 700 mentre accanto ad esso troviamo l’accesso al convento .
Il convento si sviluppa su tre piani : al piano terra troviamo il chiostro delle statue e la sala di insegnamento di San Tommaso d’Aquino – al primo piano la biblioteca , il refettorio , la sala del capitolo e quella di San Tommaso – a quelli superiori gli ambienti privati dei frati domenicani .Nella ricchissima biblioteca erano raccolti numerosi libri che dal 500 in poi sarebbero stati considerati proibiti .Libri di filosofia e di storia ma anche di scienza in grado di aprire la mente a chi sapeva guardare oltre il discorso della fede e questo spiegherebbe probabilmente il perchè dei tanti frati eretici domenicani transitati per San Domenico Maggiore. Nel 600 Nei monasteri e nei conventi erano gelosamente custodite le poche biblioteche dove si conservavano preziosi manoscritti greci e latini sopravvissuti ai barbari o appena tradotti dagli arabi ( che a loro volta li avevano ereditati da egiziani e antichi greci ) relativi all’alchimia , alla farmaceutica , alla botanica , alla medicina , alla storia e alla filosofia . La preziosa collezione di libri conservati in questo monastero dovette non poco influenzare alcune grandi menti di allora che portarono a mettere il discussione l’allora vigente dottrina cattolica ed entrare in contrasto con il modo di pensare di quei tempi .
lI convento infatti ospitò ancora sedicenne il giovane Bruno Giordano che vi mise piede nel 1566 e vi restò per circa undici anni formando presso la preziosa biblioteca quelle teorie che lo avrebbero portato sul rogo di Campo de’ Fiori nel 1600.
Tommaso Campanella vi transitò invece nel 1589 pubblicando il suo primo libro che gli procurò un processo all’ interno dello stesso ordine domenicano e il suo conseguente ritorno forzato nella sua Calabria . Dieci anni dopo nel 1602 , a causa dei suoi scritti fu poi addirittura imprigionato e rinchiuso nelle anguste segrete di Castel Sant’Elmo per lunghi quattro anni dove pur vivendo in condizioni miserabili scrisse il suo capolavoro ” La città delle scienze “.
I chiostri del convento , famosi per essere sede di una delle spezierie più famose e ricercate della città erano inizialmente tre ed il complesso era talmente ampio da arrivare fino a via San Sebastiano . Il chiostro piccolo o delle statue e’ quello rimasto a noi mentre quello di San Tommaso e’ divenuto sede di una palestra comunale ed il terzo , quello grande , che un tempo ospitava la sala in cui ha vissuto Bruno Giordano , e’ ora sede del liceo Casanova .
Nel monastero dal 1515 al 1615 , ebbe la sua sede l’universta di Napoli e vi insegno’ anche San Tommaso d’Aquino e fu il fondatore della facolta’ di teologia. Nella una sua oramai famosa cella , ancora oggi presente i troviamo conservata una preziosa tavola del 200 raffigurante un prezioso crocifisso che si dice rivolse la parola a San Tommaso mentre su un piccolo altarino troviamo anche un osso del santo .
Visitare San Domenico e’ importante per le opere d’arte che si possono vedere come quelle di Luca Giordano , Tino da Camaino , Cosimo Fanzago , Giovanni di Nola , Francesco Solimena , Tiziano e Caravaggio .
Ma il vero spettacolo e’ la sagrestia . Alzando gli occhi oltre a vedere nella volta il grande affresco del Solimena , si vede una balconata che corre su tre lati della sala rettangolare . Su questa , si possono osservare in due ordini sovrapposti , 40 casse di diverse dimensioni ed a forma di baule .
Queste casse , ricoperte , un tempo di drappi e velluti oggi scoloriti , lisi ed in parte scomparsi , sono in realta’ dei feretri che contengono i resti dei re , dei principi ed illustri personaggi aragonesi .
Nel 1594 il vicere’ d. Giovanni di Zunica , conte di miranda li fece sistemare nel luogo attuale .
Sulla balconata sovrastante l ‘ ingresso della sagrestia ci sono 8 casse delle quali le 4 superiori , sono i feretri di Alfonso d’Aragona , Ferrante, Ferrantino, e Giovanna d’Aragona.
Solo la cassa di Alfonso d’Aragona e’ vuota perche’ le spoglie furono portate in Spagna nel 1667, nelle restanti vi sono i resti dei defunti citati e su ognuna c’e il rispettivo ritratto .
Nel lato destro della sagrestia , entrando , si vedono 15 casse , una delle quali , quasi al centro della balconata , contiene le spoglie di Francesco di’ Avalos , marchese di Pescara , morto per le ferite riportate nella battaglia di Pavia .
Si vede il ritratto , la spada e un’asta alla quale erano attaccati i brandelli di una bandiera .
Nel lato opposto , cioe’ a sinistra di chi entra nella sala , ci sono altre 16 casse delle quali una piu’ piccola delle altre, contiene cio’ che resta di Antonello Petrucci , il segretario del re Ferrante , decapitato nel 1486 per aver partecipato alla congiura dei baroni .
La facciata della chiesa aveva in origine tre porte, una per ogni navata. Le due laterali furono chiuse nel Cinquecento per far spazio a due cappelle interne: quella, a sinistra, dei Muscettola di Spezzano, e quella, a destra, dei Carafa di Santaseverina. Anticamente, accanto all’odierna cappella dei Muscettola, c’era anche una torre campanaria in piperno, abbattuta nel Seicento e sostituita con l’attuale, a destra dell’ingresso.
La porta lignea e il portale ogivale marmoreo tondo con l’immagine di S. Domenico, inclusi entro un pronao settecentesco, sono gli unici avanzi della facciata primitiva
.Nella chiesa sono presenti numerose importanti cappelle nobiliari dove in splendidi sepolcri , la cui costruzione fu affidata a prestigiosi artisti , trovarono posto le spoglie di molte famiglie nobili appartenenti sopratutto al vicino seggio del Nilo.
Tra le più importanti vanno segnalate quella del Saluzzo ( già Carafa di Santa Severina )e del Muscettola di Spezzano che come già detto portarono all’eliminazione della originaria facciata medievale con la distruzione delle porte di accesso laterali ma tutte meritano un pò di attenzione per la loro bellezza ed importanza artistica.
NELLA NAVATA DESTRA TROVIAMO :
Prima cappella. A destra della porta d’ingresso troviamo la capppella già dei Carafa di Santaseverina, poi dei Saluzzo di Corigliano. Essa è dedicata a S. Martino, raffigurato nella tavola di Andrea Sabatini da Salerno presente sull’altare, insieme con la Vergine, S. Domenico, S. Caterina e personaggi di casa Carafa. Il fregio marmoreo, che dà un senso è invece opera di Romolo Balsimelli da Settignano (1508). Sul pavimento tre lapidi sepolcrali marmoree di Francesco Carafa e di Elisabetta Wanden Einden. In mezzo vi è un tombino con lo stemma dei Carafa.
Seconda cappella. Sull’altare, al centro, troviamo un affresco della Vergine col Bambino, di ignoto napoletano del ’400, ( Agnolo Franco ? ) A destra invece è presente la tomba di Bartolomeo Brancaccio (arcivescovo di Trani ) eseguita da Tino di Camaino . In alto, tela con la Vergine circondata da santi domenicani, di Francesco Solimena . A sinistra, incassate nella parete, altre lapidi tombali dei Brancaccio (Tommaso Brancaccio, e Boffolo Brancaccio. Giovannella di Montesorio e suo figlio Enrico risalenti al ’300 e al primo ’400).
Terza cappella. Sulle pareti vi sono ovunque affreschi Pietro Cavallini (1308/1309) : a destra, episodi della Maddalena, a sinistra, Gesù in croce tra la Vergine, S. Giovanni e santi domenicani, e scene tratte dalla vita di S. Giovanni Evangelista. Sulla parete di fondo: scene tratte dalla vita di Sant’Andrea, e in alto sono dipinti due figure di profeti. Sulla volta stemmi della famiglia Brancaccio.
A sinistra, in basso, troviamo il sepolcro di Anastasia Ilario detta la «santarella di Posillipo». Sul pavimento vi è la lastra tombale di Giovanni Francesco Brancaccio.
Da una pia pratica introdotta in questa cappella dal parroco Alfonso da Maddaloni nel lontano 1618) sarebbe sorta la Novana di Natale diffusa poi in tutto il mondo cattolico. Nel 1737 Carmine Giordano compose per tale funzione la celebre Ninna Nanna eseguita con grande afflusso di pubblico fino al 1966.
Quarta cappella. Sull’altare è presnte un bel Crocifisso su tavola di Giovan Girolami Capece . Sotto la tavola si trova un dipinto raffigurante l’Addolorata di Ignoto napoletano. A destra, la tomba di Bernardo Capece , di Ludovico Righi . A sinistra, il sepolcro di Corrado Capece sempre di Ludovico Righi. La statua è però di Girolamo d’Auria (1615). Sul pavimento lastra tombale di suor Petronilla Vera dell’ordine dei predicatori della penitenza.
Quinta cappella. Sull’altare, Madonna del Rosario e S. Carlo Borromeo nella tela di Pacecco de Rosa . Ai lati dell’altare: a sinistra, la Veronica, opera di Ignoto e a destra, S. Sebastiano sempre opera di Ignoto .
Sulla parete destra, in basso, Battesimo di Gesù, su tavola di Marco Pino da Siena (1520-96); su quella sinistra, Ascensione, di Teodoro Flammingo (1577-1604). Le due grandi tele alle pareti, in alto, sono di Mattia Preti (1613-99): a sinistra, Cena in casa di Simone; a destra, le Nozze di Cana.
Sulla parete frontale di questa cappella si apriva una porta che metteva in comunicazione con uno dei chiostri del convento, ove è ancora visibile il relativo portale in piperno. Accanto alla porta c’era una cappellina dedicata a S. Antonino abate. Di questi è rimasto, in una nicchia, un affresco che fu creduto di Giotto Sul pavimento, lapide sepolcrale di Antonio Capace.
Sesta Cappella. Al centro si trova un quadro del Formisari ; S. Caterina da Siena e il B. Raimondo da Capua, (1859). Ai due lati, B. Colomba da Rieti e B. Francesco de Possadas. A destra, in basso, squisita lastra tombale di Dialta Firrao (m. 1338) su un sarcofago di altra provenienza; in alto a destra vi era collocato il dipinto della Madonna dell’Umiltà, di Roberto di Odorisio (sec. XIV). A sinistra, sepolcro di Feliciana Gallucci (m. 1636), moglie di Carlo Dentice; in alto, dallo stesso lato, tela della Natività, dell’olandese Matteo Stomer . Sul pavimento, a sinistra dell’altare: lastra graffita di Costanza Dentice (m. 1334), proveniente dalla bottega di Tino di Camaino (m. 1337), lapide sepolcrale di Carlo Dentice, lastra tombale di Ranuccio Dentice e di Ludovico Dentice.
Settima Cappella: Cappellone del Crocifisso. VESTIBOLO. A sinistra, piccolo altare dove era collocata una pregevole tavola trecentesca della Vergine, da alcuni attribuita a Simone Martini (m. 1344). L’immagine, nota col titolo di Madonna della Rosa, dalla confraternita del Rosario che qui un tempo si radunava, fu in parte deturpata da successivi restauri. Il S. Domenico a lato risale al ’500. A destra e a sinistra, attaccati alle pareti, due notevoli dipinti di ignoto: il primo rappresenta S. Carlo Borromeo, il secondo S. Benedetto. Sulla parete di fronte, affresco raffigurante il celebre Guido Marramaldo (m. 1391), domenicano di S. Domenico Maggiore, di Antonio Solario detto lo Zingaro (m. 1508 circa). In basso, aggiuntovi nel ’600, il ritratto di Carlo della Gatta (m. 1656), grande benefattore della chiesa e del convento, cui tra l’altro i domenicani debbono il corpo del martire S. Tarcisio (conservato in una cappella della crociera), che il della Gatta ottenne dal papa e donò ai frati. Al di sopra dell’affresco vi è incassata nel muro una lastra di marmo, in cui il papa Gregorio XIII dichiarava privilegiato l’altare del SS. Crocifisso concedendo l’indulgenza alla celebrazione della SS. Messa al suddetto altare.
VOLTA. È anteriore al tempio angioino. Gli affreschi sono di Michele Regolia (1640-91): al centro, la Trinità che incorona la Vergine, negli altri scomparti, santi e sante.
LATO DESTRO. A destra, appena lasciato il vestibolo, su di un altarino, pregevole Resurrezione, del fiammingo Wensel Cobergher di Anversa (1561-1634); nei due medaglioni della tomba di Cristo, raffigurata nel dipinto, i ritratti in chiaroscuro di Paolo IV e del nipote card. Alfonso Carafa, arcivescovo di Napoli.
Addossati alla parete, sono allineati quattro sepolcri. Il primo, con statua semi giacente della scuola di Giovanni Miriliano da Nola, è di Ferdinando Carafa (1593). Segue quello di Mariano d ’Alagno (1477), conte di Bucchianico – fratello della famosa Lucrezia, favorita di Alfonso il Magnanimo – e di sua moglie Caterinella Orsini, armonioso mausoleo che ha per autore Tommaso Malvito (1506). Accanto, sepolcro di Placido di Sangro, di Tommaso Malvito(1480), con aggiunte posteriori (in alto Nicola di Sangro, morto nel 1750). Il quarto sepolcro, con statua giacente, è di Diomede Carafa (1470), primo conte di Maddaloni (m. 1487). Ne è autore Jacopo della Pila. L’opera fu però rimaneggiata da Tommaso Malvito.
ALTARE. In alto, tavola con Gesù in croce tra la Vergine e S. Giovanni, indubbiamente uno dei migliori dipinti del Duecento che rimangono in Napoli. Da questa immagine Cristo avrebbe rivolto a San Tommaso d ’Aquino le famose parole: Bene scripsisti de me, Thoma. Il miracolo, rappresentato nell’altorilievo marmoreo del paliotto dell’altare barocco, avvenne però nella cappella di S. Nicola dell’antica chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa (braccio destro della crociera), da dove il quadro, passò nel 1524 dopo essere stato trasferito nel 1437 nella nuova cappella di S. Nicola. Ai lati, due notevolissime tavole: a destra, Cristo che porta la croce, di Gian Vincenzo Corso (m. 1545), secondo altri dello Pseudo-Bramantino (sec. XVI); a sinistra vi era la Deposizione, attribuita a Colantonio (sec. XV), secondo altri di ignoto napoletano che imita Ruggero van der Weyden (secolo XV).
LATO SINISTRO. In fondo, accanto all’altare, tomba di Francesco Carafa (m. 1470), padre dell’arcivescovo di Napoli cardinale Oliviero, dal Galante attribuita al Miriliano ma più probabilmente di Tommaso Malvito. Le statue originali, che la ornavano, furono asportate dai francesi e sostituite con le attuali, di data posteriore. Segue la cappellina dei Carafa di Ruvo (o di Andria), con belle decorazioni marmoree di scuola lombarda, alla cui esecuzione non è esclusa la collaborazione di Romolo Balsimelli da Settignano. In basso sul pavimento in una cornice di marmo di diversi colori vi è la lapide sepolcrale, nei cui riquadri formanti gli angoli della cornice sono le parole del salmo 27: Credo videre bona Domini in terra viventium.
Il presepe, allestito con pietre portate da Betlemme, è opera di Pietro Belverte da Bergamo (1507), maestro di Giovanni Miriliano da Nola. In origine si componeva di 28 pezzi. Particolarmente degne di nota le statue lignee della Vergine e di S. Giuseppe; il Bambino, già appartenuto a Caterina Benucci (m. 1692), una suora di santa vita sepolta presso uno dei due pilastri situati di fronte all’ingresso del Cappellone, fu trafugato. Nella stessa cappella, tombe di Ettore Carafa (1511), fratello del cardinale Oliviero, e di suo figlio Troilo su queste, Adorazione dei Magi, affresco attribuito a Belisario Corenzio (1558-1643); nella volta, loggiato in prospettiva, del Bramantino (m. 1536 circa).
L’altra cappellina che viene subito dopo è dedicata a S. Rosa da Lima. Sull’altare troneggiava un tempo la bellissima Madonna del Pesce di Raffaello, che fu inviata in Spagna dal viceré duca di Medina (1637-44) e si trova ora al Museo del Prado a Madrid. Alle pareti, tomba di Giovan Battista del Doce, con statua giacente, e altarino con una tavola della Vergine degli angeli, di fattura bizantina.
Sul pavimento della navata centrale del cappellone vi sono le seguenti lapidi sepolcrali: di Raffaello Rocca, di Thomas Mazzaccara e tombino con stemma dei Carafa. Nel mezzo del pavimento, lo stemma domenicano, rappresentato da una cane con la fiaccola in bocca.
Ottava cappella. È tra il Cappellone del Crocifisso e la porta della sagrestia. Sull’altare, la Madonna col Bambino e S. Tommaso d’Aquino, tela di Luca Giordano (1632-1705), è stata trafugata nel 1975. Di fronte a destra, in alto, altro medaglione di Benedetto Minichini (m. 1898); in mezzo, epigrafe con medaglione di bronzo di Tommaso Michele Salzano (m. 1890); in basso lapide di F. Antonino De Luca. Alla parete destra, sepolcro di Giovanna d’Aquino (m. 1345), moglie di Ruggero Sanseverino; da notare, sotto il baldacchino ogivale, l’avanzo d ’affresco trecentesco raffigurante la Vergine col Bambino, la tomba in basso è di Gaspare d ’Aquino (1530).
Sulla parete di fronte, tombe dei due conti di Belcastro, Cristoforo d ’Aquino (m. 1342), in alto, e Tommaso d ’Aquino(m. 1357), in basso, di seguace napoletano di Tino di Camaino.
Sulla porta che conduce alla sagrestia, lapide e quadro del cardinale Guglielmo Sanfelice (m. 1897), Arcivescovo di Napoli.
In mezzo al pavimento è una lapide sepolcrale con scudo in cui è incisa l’arma della Casa d’Aquino.
TRANSETTO E ABSIDE
Braccio destro.
Uscendo dalla sagrestia, a destra, su un altare, S. Girolamo nel deserto, bassorilievo attribuito al Miriliano (m. 1558). Sotto la mensa dell’altare, tombe dei Donnorso.
CAPPELLA DI S. GIACINTO. Sull’altare, la Vergine e S. Giacinto incorniciati da quadretti che ricordano episodi e miracoli del santo polacco, tavola di Silvestro Morvillo (sec. XVI), secondo altri del fiammingo Mytens. Sulla parete, tomba di Nicola di Sangro (m. 1853), disegnata da Francesco Giaur ed eseguita da Salvatore Irdi.
Tra la cappella di S. Giacinto e l’ingresso all’antica chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa, sulla parete, bella tomba in bassorilievo di Galeazzo Pandone, erettagli nel 1514 e attribuita a Girolamo Santacroce (m. 1537). La Vergine che offre un piatto di frutta al Bambino è di Giovanni da Nola (m. 1558). In alto, lapide sepolcrale appartenente al sarcofago del duca di Durazzo Giovanni d ’Angiò (m. 1335), figlio di Carlo II, di Tino di Camaino (m. 1337). Sul sottarco d’ingresso di questa cappella vi è la lapide sepolcrale di fra Aloisio d’Aquino. Sul pavimento lapide sepolcrale della famiglia Gesualdo.
CAPPELLA DI S. DOMENICO. Con il vestibolo che le è davanti e la cappella che segue, corrisponde a quella parte dell’antica chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa che non fu pienamente incorporata nel tempio angioino, chiesa che doveva essere almeno due volte più lunga dell’attuale. Elegante il pavimento settecentesco a mattonelle maiolicate. Sull’altare, un tempo vi erano le tavole di S. Domenico al centro, S. Giacomo Apostolo a sinistra, S. Tommaso d’Aquino a destra. Le due laterali e i quadretti con episodi della vita di S. Domenico sono, secondo alcuni, dei fratelli Pietro e Ippolito del Donzello (sec. XV), secondo altri, di ignoto pittore del ’500, mentre il S. Domenico è del ’200 e sarebbe stato portato a Napoli da Tommaso Agni da Lentini, fondatore del convento, nel 1231, dieci anni dopo la morte del santo. In alto angeli che reggono lo stemma domenicano e la statua in stucco di S. Tommaso d’Aquino.
Ai lati dell’altare due quadretti in legno intagliato, raffiguranti i SS. Vincenzo e Tommaso, che un tempo appartenevano all’antico coro ligneo della chiesa. Davanti all’altare macchina delle quarant’ore, una struttura grandiosa per l’esposizione del SS. Sacramento.
Sulla parete destra, entrando, monumento a Ippolito Maria Beccaria (m. 1600), 51° maestro generale dei domenicani, con ritratto su pietra attribuito a Carlo Sellitto (sec. XVII); a lato, armonioso sepolcro di Tommaso Brancaccio, di Jacopo della Pila (1492); più in là, incassate nel muro, lapidi sepolcrali di Tommaso Caracciolo (m. 1336) e Gorello Caracciolo (m. 1402) e la lapide di Domenico Cennini. Sulla parete sinistra, al centro, su un altare, Madonna degli Abbandonati, di ignoto spagnolo; a lato, monumento sepolcrale di Pietro Brancaccio (t 1338); all’altro lato, due bassorilievi: S. Tommaso d ’Aquino con la testa del Salvatore sul petto (sostituita poi, nell’iconografia più recente, col sole) e S. Nicola che solleva per i capelli il giovane Basilio. Tra i due bassorilievi, lastra tombale di Giovannella (m. 1358), moglie di Pietro Brancaccio. Sul pavimento, lastre tombali di Carluccio e Tommaso Vulcano e al centro tondo con emblema dell’Immacolata e simboli dell’Ordine domenicano.
Sul pilastro che è fra questa cappella e quella che segue, sepolcro del celebre musicista Nicola Zingarelli (1752-1837), maestro del Mercadante e del Bellini.
CAPPELLA S. MARIA DELLE GRAZIE. Fu rinnovata ed abbellita dal famoso segretario di Ferrante, Antonello Petrucci, cui apparteneva. A destra entrando, tomba di Felice de Gennaro (1608); dal lato opposto, tomba del cardinale Girolamo Alessandro Vicentini (m. 1728), nunzio apostolico a Napoli, di Matteo Bottiglieri. Sulle due pareti laterali, sepolcri marmorei di Giovanni Andrea e Giovanni Luca Bonito: di quello di destra è autore, pare, Cosimo Fanzago(1593-1678). Sull’altare, Cristo verso il Calvario, di incerto autore; a sinistra, statua in marmo di S. Bonito, del toscano Giuliano Finelli (m. 1657), che vi lavorò nel 1645. A destra dell’altare affresco della Madonna ed anime purganti. Le due lapidi sepolcrali e il sarcofago incassati nelle pareti, che si vedono a destra nell’uscire dalla cappella, sono rispettivamente di Tommaso Vulcano (m. 1337), Carlo Vulcano (m. 1345) e Giannotto Protogiudice (m. 1385). Sul pavimento lapide sepolcrale con lo stemma della casa Bonito, restaurata dal principe di Casapesenna.
I quattro sepolcri appoggiati al muro prospiciente le due cappelle di S. Domenico e della Madonna delle Grazie appartengono, a cominciare da quello vicino alla porta, a Giovanni Rota (m. 1426), Porzia Capece (m. 1559), moglie del poeta Bernardino Rota, Giovanni Battista Rota (m. 1512) e Giovanni Francesco Rota ( m. 1527). Al monumento di Porzia Capece collaborarono Gian Domenico D’Auria (sec. XVI) e Annibale Caccavello (m. 1570 circa). La lapide sepolcrale che segue ad angolo è di Matteo Capuano. Staccato dal muro, monumento sepolcrale eretto al magistrato Cesare Gallotti (m. 1860) da L. Pasquarelli (1870) a cura della moglie Carolina Pulieri.
CAPPELLA DELL’ANGELO CUSTODE. Sull’altare, scultura lignea di ignoto; ai due lati, bassorilievi marmorei col ritratto di S. Pio V e Benedetto XI, due papi domenicani. Alle pareti laterali, a destra un Angelo addita ad Agar l’acqua d ’un pozzo, a sinistra un Angelo sveglia un frate perche si rechi al coro, due affreschi di Michele Regolia (1640-91) e sotto, lastra tombale di Ignazia Hauer. Elegante il pavimento settecentesco a mattonelle maiolicate. Sotto l’altare si conservano le ossa del martire dell’Eucarestia S. Tarcisio, qui trasferite dal cimitero di S. Callisto (Roma) da Carlo della Gatta, principe di Monasterace, che le aveva ricevute in dono da Innocenzo X in riconoscimento dei suoi servigi e specialmente per la vittoria riportata ad Orbetello nel corso della Guerra dei Trent’Anni (1646). Sul pavimento lastra tombale con l’iscrizione Cedroniorum cineris.
CAPPELLA DI S. DOMENICO IN SORIANO. La tela sull’altare è una buona copia dell’immagine del santo venerato a Soriano in Calabria. La volta è di Francesco Cosenza (sec. XVIII). Le due tele alle pareti, un S. Tommaso d ’Aquino e un S. Vincenzo Ferreri, sono di Luca Giordano (1632-1705). L’artista riprodusse, nel secondo dipinto, la testa di S. Vincenzo che aveva copiato da un ritratto del santo mentre era in Spagna.
Sulla parete sinistra sotto il quadro di S. Vincenzo vi è la lapide con lo stemma dei Carafa e al di sotto della lapide vi è inciso: MCCCCLXX. Sulla parete destra al di sotto del quadro di S. Tommaso in un riquadro chiaroscuro vi è scritto: A. D. MDCCLX, l’anno in cui fu compiuto il secondo restauro della cappella.
Ai lati dell’altare, in alto, due altre pregevoli tele: a destra la Maddalena, a sinistra S. Caterina d’Alessandria. Si tratterebbe di bellissime copie di due quadri donati da Alfonso il Magnanimo. La tradizione vuole che la testa coronata ai piedi di S. Caterina sia il ritratto del re e il volto della santa riproduca le sembianze della sua famosa favorita Lucrezia d’Alagno. Anche qui, bel pavimento a mattonelle maiolicate del ’700.
In mezzo al paliotto dell’altare, in un riquadro circolare, ornato di fogliame vi è scolpito in marmo bianco il busto di S. Domenico. Questo bassorilievo fu realizzato per chiudere il vano dove erano collocate le reliquie di S. Tarcisio.
Sulla mensa dell’altare, il bel ciborio dove sopra sono tre teste di cherubini e sotto sulla portella è raffigurato il cuore fiammeggiante sorretto da putti e cherubini.
Gli affreschi della volta sono di Francesco Cosenza, discepolo di La Mura. Raffigurano al centro S. Domenico seduto sopra le nubi, poi seguono otto riquadri con figure di donne che simboleggiano le virtù. Nel mezzo del pavimento è posta la lapide con lo stemma dei Carafa duchi di Maddaloni, e davanti alla cappella vi è la lapide sepolcrale.
Tra la cappella di S. Domenico e quella dell’Angelo custode, cenotafio del vescovo Richard Luke Concanen.
ALTARE MAGGIORE
La balaustra, le cattedre alla base dei pilastri e l’altare – il tutto a tarsie marmoree – sono di Cosimo Fanzago (1593-1678). La data del rifacimento dell’altare (1652) si può leggere, capovolta, in un rosone del secondo gradino, a destra di chi guarda il tabernacolo. Il gradino superiore fu aggiunto nei restauri eseguiti dopo il terremoto del 1688. I due puttini in marmo, a destra e a sinistra, sono di Lorenzo Vaccaro (m. 1706). Sotto l’altare, in un’urna di bronzo, le ossa del beato Raimondo da Capua, confessore di S. Caterina da Siena e 23° maestro generale dei domenicani, morto a Norimberga in Baviera il 5 ottobre 1399.
Sul pavimento del presbiterio, a destra, lapide tombale di Paolo Butigella (m. 1531), 41° maestro generale dei domenicani; a sinistra, quella di Vincenzo Bandello (m. 1508), 36° maestro generale e zio del noto novelliere Matteo Bandello. Sotto l’altare, ma non visibile perché coperta nel 1850 dal nuovo pavimento marmoreo, tomba di Guido Flamochetti (m. 1451), 28° maestro generale.
A sinistra di chi guarda l’altare, accanto alla balaustra, candelabro pasquale fatto eseguire nel 1585 da Ferdinando di Capua del Balzo, duca di Termoli. In esso furono adoperati elementi scultorei (le Virtù, rappresentate in forma di cariatidi) provenienti dal sarcofago di Filippo d ’Angiò principe di Taranto (m. 1331), di Tino di Camaino (m. 1337). I due leoni a destra e a sinistra della balaustra (accanto ai primi gradini delle scale che conducono al vano sotto il coro) sono di Tino di Camaino. Ai lati dell’altare maggiore, due candelabri collocati su due colonne riadattate nel sec XIX su disegno dell’architetto Travaglini.
ABSIDE
II coro, in radica di noce, è del laico domenicano Giuseppe da Parete (1752). Ancora al suo posto il grande leggio su cui poggiavano i grossi libri corali membranacei trascritti e miniati dagli stessi frati. Se ne conservano alcuni della fine del ’500. Il grande organo addossato alla parete dell’abside risale al 1751. Restaurato dal noto organaro Zeno Fedeli, di Foligno, alla fine del secolo scorso, è stato nuovamente restaurato e potenziato nel 1975. Ha 1640 canne.
Alle pareti, due dipinti di Michele De Napoli (1808-92): a sinistra, S. Domenico che disputa con gli eretici, a destra, S. Tommaso tra i dottori. Due scale laterali portano alla sottostante cripta ottagonale, il cui pavimento si eleva solo di un gradino sul livello della piazza San Domenico Maggiore. Si riteneva che la volta della cripta fosse stata affrescata dal Solimena e poi ricoperta di calce; ma diversi saggi fatti dalla Soprintendenza negli anni scorsi non hanno dato alcun risultato. Sull’altarino, un quadro della Vergine delle Grazie, di incerto autore, è stato trafugato nel 1971.
La scala a sinistra permette l’accesso anche ad una cappella sottostante quella del Rosario, cappella che fu rinnovata nel 1769 da Luigi Vanvitelli (1700-73). Sull’altare, bassorilievo della Vergine, di Giovanni Leonardo Siciliano (prima metà del ’600). Intorno, numerose urne funerarie dei Carafa della Roccella.
Braccio sinistro.
CAPPELLA DEL ROSARIO. È la prima cappella in cui ci si imbatte nel risalire le scale che portano alla cripta sottostante l’altare maggiore. Venne restaurata da Carlo Vanvitelli nel 1788. Il quadro della Vergine, i quadretti che gli fanno corona e gli affreschi a chiaroscuro sotto la cupola sono di Fedele Fischetti (1788). Sulla parete sinistra, Flagellazione di Michelangelo da Caravaggio (1607/1610), attualmente esposta nel Museo di Capodimonte; dirimpetto, pregevole copia della stessa, di Andrea Vaccaro (m. 1670), secondo altri di Battistello Caracciolo (m. 1637). Dinanzi a questa cappella sul pavimento la lapide marmorea dove indica la sepoltura dei fratelli della Compagnia del SS. Rosario. Tra questa cappella e la seguente, alla base del pilastro, tomba di Aldo Blundo (1919-34).
CAPPELLA DELL’IMMACOLATA. È così chiamata dalla tela posta sulla parete di fronte, in alto, che viene attribuita a Pacecco de Rosa (m 1654). La cappella, costruita secondo alcuni da Annibale Caccavello, è però dedicata a S. Stefano,effigiato sull’altare con S. Pietro Martire forse da Giovanni Battista Benaschi (1636-88). Al centro, Madonna che allatta il Bambino, affresco di ignoto trecentista napoletano, secondo altri di Roberto d’Odorisio. In alto, dipinto raffigurante l’Immacolata Concezione, opera di Paolo Finoglia.
A destra, bel cenotafio del cardinale Filippo Spinelli, di Bernardino Moro da Siena (1546). A sinistra, tomba di Carlo Spinelli, marchese di Orsonovo, di Giammarco Vitale (1634). Tra questo monumento e l’entrata della cappella, statua di S. Stefano. Alle spalle del santo, la lapide con iscrizione a caratteri incisi.
CAPPELLA DI S. VINCENZO FERRERI. Sull’altare, tela di S. Vincenzo Ferreri su fondo oro, di ignoto napoletano del ’400 della scuola del Solario. A destra, sepolcro di Francesco Blanch (1610); a sinistra, tomba di Giovanni Tommaso Blanch (m. 1678) e Violante Blanch (m. 1675). Sul paliotto dell’altare al centro, simbolo di S. Vincenzo Ferreri.
Sulla parete, tra questa cappella e la seguente, monumento a Rinaldo del Doce, che fu carissimo ad Alfonso il Magnanimo. In alto, lapide del sarcofago del principe di Taranto Filippo d ’Angiò (m. 1331), di Tino di Camaino (m. 1337).
CAPPELLA DELL’ANNUNCIAZIONE. Per la linea architettonica e i bassorilievi marmorei di cui è adorna, può essere considerata una delle più belle della basilica. Sull’altare, La Annunciazione dell’artista veneziano Tiziano (1490-1576). La tela si fa risalire al 1557 circa. Attualmente è in esposizione nel Museo di Capodimonte. Sull’altare che segue, S. Girolamo, bassorilievo di Tommaso Malvito (secc. XV-XVI).
NELLA NAVATA SINISTRA
Ottava cappella. È la prima dopo la crociera e fa da vestibolo all’uscita sul vico S. Domenico Maggiore, che si può raggiungere scendendo un piccolo tratto di scale. Sull’altare, Madonna della Neve tra il Battista e S. Matteo, splendido gruppo marmoreo di Giovanni Miriliano da Nola , che vi lavorò nel 1536. A destra, cenotafio di Giambattista Marino, il famoso poeta secentista, con busto in bronzo, di Bartolomeo Viscontini . A sinistra, monumento sepolcrale di Bartolomeo e Girolamo Pepi (1580). Sul pavimento a sinistra lapide sepolcrale di fr. Vincenzo Maria Zaretti.
Settima cappella. Sull’altare, Martirio di S. Caterina d ’Alessandria, tavola di Leonardo da Pistoia (1520). A destra, in alto, Visione del Beato Enrico Suso attribuito a Paolo Finoglia (sec. XVII); in basso, tomba di Nicola Tomacelli (m. 1473). A sinistra, tomba di Leonardo Tomacelli (m. 1529).
Al centro della cappella, presso i gradini dell’altare, pietra tombale dei Ruffo. Nel sepolcro sotterraneo, la salma imbalsamata del cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara (m. 1827), il celebre condottiero dell’Esercito della Santa Fede che abbatté la Repubblica Partenopea del 1799.
Addossato al terzo pilastro della navata (a cominciare dall’altar maggiore), il pulpito, costruito nel 1559 e poi più volte ritoccato. Il baldacchino, in legno intarsiato, è del 1771. Sul pavimento lapide con iscrizione in cui Ippolita Ruffo dei Principi di Motta e duchi di Bagnara racchiuse le spoglie mortali degli appartenenti della sua famiglia e fece rifare a sue spese la cappella e l’altare.
Sesta cappella. Sull’altare, Martirio di S. Bartolomeo, tela attribuita a Giuseppe de Ribera detto lo Spagnoletto (1588-1652); ai due lati, scudi e busti di Muzio e Alfonso Carafa.
A destra, addossato alla parete, monumento eretto da Ippolita Carafa nel 1738 al suocero Ettore Carafa, al marito Gherardo e ai suoi tre figli; in alto, tela raffigurante i Domenicani che portano in processione per le vie di Roma l’immagine del Rosario per implorare la vittoria di Lepanto, attribuita a uno dei Bassano; in basso, sarcofago coi resti mortali del domenicano Pio Ciuti ( m. 1953).
A sinistra, in basso, tomba trecentesca di Letizia Caracciolo (m. 1340); in alto, Martirio di S. Lorenzo, pregevole tela di Andrea Sabatini da Salerno (1480-1545), seguace di Raffaello. Sotto, lapide tombale di Gabriella Chatelet. Nel pavimento, dinanzi all’altare lastra tombale con stemma dei Carafa della Spina.
Quinta cappella. Sull’altare, S. Nicola di Bari, pregevole tela di incerto autore. Ai lati dell’altare lapidi di Maria Caterina De Andrea e della famiglia De Andrea. A destra, monumento sepolcrale di Giovanni Francesco De Andrea (m. 1841), ministro delle finanze sotto Ferdinando I di Borbone. A sinistra monumento sepolcrale di Francesco Saverio De Andrea, lastra murale di Maria Eleonora Caracciolo, e lapide di Lucrezia L. Rivera. Sul pavimento lapide con stemma della famiglia De Andrea.
CAPPELLA S. GIOVANNI BATTISTA. Si trova il sepolcro del poeta Bernardino Rota ( opera di Giovan Domenico e Girolamo d’Auria ) retto da due muliebri figure marmoree basse raffiguranti la persinficazione dell’arte e della natura e due superiori distese che invece raffigurano il Tevere e l’Arno .Nella trabeazione, Madonnina col Bambino, della scuola di Tino di Camaino.
Sulla parete sinistra, armonioso sepolcro del poeta Bernardino Rota (1509-75), di Giovanni Domenico d ’Auria (sec. XVI); le due statue laterali raffigurano il Tevere e l’Arno, simboli delle lingue latina ed italiana, in cui il Rota soleva comporre.
Sulla parete destra, sepolcro di Alfonso Rota (m. 1565), fratello del precedente, opera di Giovanni Antonio Tenerello(1569). Sul pavimento, lapidi sepolcrali della famiglia Rota.
CAPPELLA S. GIOVANNI EVANGELISTA. La tela sull’altare raffigura S. Giovanni Evangelista nella caldaia bollente ed ha per autore Scipione Pulzone da Gaeta (1550-88). Il quadro di S. Lucia che le è davanti si deve invece a Nicola Malinconico (t 1721). Di notevole interesse iconografico il S. Tommaso d ’Aquino del paliotto: il santo reca sul petto la testa del Salvatore, e non il sole, come nelle rappresentazioni più recenti. A sinistra, bella tomba di Antonio Carafa (m. 1438), detto Malizia per la sua astuzia nei negoziati politici, opera di Jacopo della Pila, che utilizzò un sarcofago del sec. XIV. A destra, in alto, Vergine col Bambino, tavola di incerto autore datata 1518. Sul pavimento stemma dei Carafa.
Seconda cappella. Dedicato un tempo a S. Margherita, ne divenne titolare la Madonna di Zi’Andrea, così detta dal popolare domenicano Andrea d’Auria di Sanseverino (m. 1672), cui si deve l’acquisto della statua parzialmente lignea del Rosario che troneggia sull’altare, di Pietro Ceraso (seconda metà del’600). La cappella, già sede della Flagellazione del Caravaggio, poi trasferita nella cappella del Rosario, fu portata alla forma attuale alla fine del Seicento. La parete di fondo compreso l’altare è opera di Andrea Malasomma e Costantino Marasi e risale al XVII secolo. Ai lati dell’altare due statue lignee argentate raffiguranti santi domenicani.
Incastrati nelle pareti, due grossi armadi con reliquie varie. La famiglia De Franchis votò la cappella al culto delle reliquie. A fianco, accanto all’entrata della cappella, le tombe di due noti magistrati e giureconsulti napoletani del Cinquecento: a destra, Vincenzo de Franchis a sinistra, Giacomo de Franchis, alla cui famiglia la cappella apparteneva. Sul pavimento della parete destra, lastra tombale suor Maria Rosa Giannini. A sinistra e destra, sono collocate quattro statue lignee argentate, rappresentanti santi domenicani.
Cappella S. Giuseppe. La cappella – a sinistra della porta d’entrata della basilica – appartenne ai Muscettola. Il frontespizio, di buona fattura (1541), fu qui collocato nel restauro del Travaglini (1850).
Sull’altare, S. Giuseppe, tela di Luca Giordano (1632-1705); in alto, l’Eterno Padre, di Belisario Corenzio (1558-1640).
A destra, Vergine e S. Elisabetta col Bambino e S. Giovannino, buona copia d’una tela di Fra Bartolomeo della Porta,secondo altri di Raffaello, asportata durante il Decennio francese (1806-1815). Sopra ritratto di fra Giuseppe Spasiano, dipinto di ignoto napoletano del sec. XVIII. Sotto lapide con iscrizione di Marcello Muscettola.
A sinistra, in alto, busto del Redentore, dipinto della scuola di Leonardo da Vinci, attualmente in deposito; in basso, Adorazione dei Magi, tavola attribuita al fiammingo Luca da Leida (m. 1533), attualmente in esposizione nel Museo di Capodimonte. Sotto lapide con iscrizione di Marcello Muscettola.
Sulla sinistra fonte battesimale, la base su cui poggia il fusto e la vasca è di incerta provenienza e di epoca più antica. Attualmente sulla vasca è appoggiato un tabernacolo ottagonale in legno intagliato e dorato, dipinto in bianco con doratura sugli spigoli. Sul pavimento lastra tombale di Marcello Muscettola.
Un tempo nella chiesa erano presenti tre grandi capolavori artistici oggi presenti in altri luoghi ; il primo è l’Annunciazione di Tiziano del 1577 , un tempo presente nella cappella Pinelli ed oggi ( dal 1976 ) in deposito al museo di Capodimonte a causa dei furti subiti dalla chiesa di San Domenico Maggiore . Il Tiziano fu incaricato dal banchiere genovese Cosimo Pinelli di dipingere una Annunciazione per la sua nuova cappella in San Domenico Maggiore consacrata alla Vergine Annunziata nel 1557 .L’ opera rappresenta il momento dell’ annunciazione : sulla sinistra troviamo l’ angelo Gabriele nell’ atto di rassicurare la vergine Maria con il gesto della mano.
Nella parte superiore del dipinto il cielo nuvolo è squarciato da una luce abbagliante, in cui intravediamo la colomba dello spirito santo segno della presenza divina. Il fascio di luce inonda la figura inginocchiata della giovane Maria raccolta in un atteggiamento di devozione e obbedienza.
Il secondo è La flagellazione di Cristo di Michelangelo Merisi da Caravaggio ( anch’esso oggi esposto al Museo di Capodimonte ) posto nel 1607 per adornare l’altare della cappella della famiglia de’ Franchis ( prima sulla navata sinistra ) ma a lungo esposto nella cappella del Rosario ( prima a destra dell’altare ) .
In questo dipinto che fu commissionato per adornare la cappella della famiglia De Franchis , il Caravaggio raffigura il momento appena precedente la vera e propria flagellazione. Tre carcerieri si stanno apprestando a punire Cristo, prima della crocifissione. Da notare, poi, che, a differenza di quanto raccontano i vangeli, Caravaggio presenta un Cristo con già in testa la corona di spine.
Cristo sembra fare un passo verso chi lo sta ammirando, in realtà la spinta in avanti non è un gesto spontaneo, ma è dovuto ai due aguzzini: uno lo ha preso per i capelli e gli spinge la testa in avanti, fino a quasi far toccare al mento il petto; l’altro lo colpisce con il piede ad un polpaccio. Il corpo è illuminato dalla luce divina e si propaga solo su chi è preparato a riceverla: non tutti gli aguzzini infatti sono colpiti dalla luce. Il terzo, quello accovacciato, intento a preparare una nuova verga, ha la testa completamente in ombra.
Il terzo capolavoro è La Madonna del pesce di Raffaello Sanzio realizzata per la cappella di Santa Rosa da Lima ( prima cappella a sinistra del cappellone del crocifisso dopo il vestibolo ) dove vi rimase fino al 1638. In seguito fu portata prima in Spagna e poi, rubata dalle truppe napoleoniche, spostata a Parigi dove venne trasportata dalla tavola alla tela.
Attualmente si trova esposto al Museo del Prado di Madrid .
Si tratta di una sacra conversazione con al centro la Madonna col Bambino su un trono rialzato, tra l’arcangelo Raffaele con Tobiolo e san Girolamo col leone addomesticato.
Il nome dell’opera deriva dal pesce che Tobiolo tiene in mano, parte integrante della leggenda secondo la quale Raffaele l’aveva aiutato a catturare un pesce velenoso, con la cui bile il giovane avrebbe guarito il padre dalla cecità.
Il dipinto è caratterizzato da un’atmosfera familiare sottolineata da sguardi dolci ed umani che non escludono lo spettatore, ciò è messo maggiormente in evidenza grazie al gradino in prospettiva che sembra quasi invitarlo a partecipare alla scena sacra.