Ecco a noi uno dei personaggi piu’ affascinanti del Medioevo e certamente uno dei piu grandi uomini che la storia ricordi.

Figlio di Enrico IV e Costanza d’Altavilla, nacque a Jesi nel 1194, sotto una tenda attrezzata in mezzo ad una piazza, durante il viaggio in Sicilia della madre che raggiungeva il marito appena eletto re.
Suo nonno paterno era il famoso Federico Barbarossa mentre suo nonno materno era il re Ruggiero II.

Nacque da Costanza d’Altavilla ( figlia di Ruggiero II il normanno ) quando ella aveva 40 anni e fu incoronato re a soli 4 anni, nel 1198, quando ad un anno dalla morte del padre rimase anche orfano di madre.
Per i primi 10 anni fu affidato alla tutela del papa Innocenzo III ed a 14 anni divenne a tutti gli effetti re di Sicilia, duca di Puglia e Principe di Capua.

Costanza d ‘Altavilla, moglie del defunto Enrico, per preservare il suo unico piccolo di soli tre anni dai pericoli che lo minacciavano credette, dopo la morte del marito ,opportuno e saggio da donna religiosissima, porre il figlio Federico sotto la tutela del papa Innocenzo III.  Federico fu incoronato di conseguenza re di Sicilia, a Palermo, nella festività delle Pentecoste nello stesso anno in cui moriva di malaria la madre Costanza d’Altavilla.

Subito dopo il papa provvide a nominare un collegio di famiglia composto da quattro vescovi per la tutela del suo nuovo pupillo che provvide anche alla sua educazione.

Affidato ai vescovi di Sicilia, trascorse la giovinezza senza affetti nel grande palazzo reale di Palermo. I suoi interessi si rivolsero agli studi e alle attività fisiche con cui forgio’ un fisico forte e robusto, esperto di scherma, equitazione e caccia.
Palermo era stata per circa  240 anni sotto il dominio arabo ed era in quell’epoca una citta’ cosmopolita, ricca di influenze culturali arabe ed anche ebraiche, egli conobbe quindi un ambiente ricco di razze e culture diverse e ciò fu la premessa per la tolleranza dimostrata in eta’ adulta.

Il papa Innocenzo III tenne sotto tutela il re fanciullo alternando periodi di forte protezione a periodi di aperto contrasto dovuti alla forte personalità di Federico insofferente a qualsiasi subordinazione ed al suo carattere determinato.

Fu perennemente infatti in contrasto con i papi che in 5 si avvicendarono sul soglio pontificio durante il suo regno.
A 14 anni Federico, essendo cessata la tutela del pontefice Innocenzo III, non aspettando altro per scrollarsi di dosso la soffocante autorità papale si autoproclamò maggiorenne e prese la responsabilità del regno.

Innocenzo III gli scelse come moglie Costanza d’Aragona che aveva dieci anni più di lui, vedova del re d ‘Aragona, ma che portava una cospicua dote e quel che  più contava un buon numero di armati per la difesa dello sguarnito e contestato regno.

Federico, dopo il matrimonio per procura con Costanza, cominciò a manifestare la volontà di esercitare il potere sovrano senza interferenze da parte delle autorità ecclesiastiche e allontanò l’arcivescovo Gualtieri di Palear che il papa gli aveva messo vicino per controllarlo.

Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsi a Palermo, capitale del regno normanno, caratterizzata dalla coesistenza di razze, religioni e culture diverse e fortemente connotata dagli influssi arabi si rilevarono determinanti nella formazione della personalità del giovane svevo; la poliedricita’ degli interessi, la mentalità aperta e la tolleranza cui Federico improntò tutte le sue scelte sono certo riconducibili alla sua formazione.

A soli 4 anni era erede sia del Sacro Romano Impero che del Regno di Sicilia; orfano di padre e madre e affidato alla tutela del pontefice. Trascorse la sua infanzia del tutto priva di affetti a Palermo ancora fortemente pervasa dalla cultura islamica che lo influenzò non poco.

Dopo essersi sposato con Costanza all’eta di 15 anni, affidata la reggenza del regno a Costanza, partì per la Germania deciso a riaffermare i suoi diritti usurpati da Ottone IV.

Al suo arrivo i rozzi baroni tedeschi definirono il diciottenne re con tutto il disprezzo possibile PUER APULIAE , ma cambiarono presto opinione sul suo conto perché grazie ad alcuni colpi di fortuna ed alle sue doti diplomatiche, Federico, aiutato dalle vittorie riportate, riuscì a farsi eleggere Imperatore dei principi tedeschi passando da PUER APULIAE a STUPOR MUNDI.

La sua corte a Palermo divenne il centro culturale e scientifico di quei tempi. Egli amava circondarsi di uomini dotati di grande cultura e di conseguenza chiamò alla sua corte i dotti di qualsiasi nazionalità o religione fossero: italiani, greci, tedeschi, arabi ed ebrei.
Dotato di grande fascino, di abile dialettica e di raffinata diplomazia era: guerriero, stratega, statista, diplomatico, politico, giurista, filosofo, poeta, zoologo, architetto, matematico e poliglotta (parlava sei lingue).

Discuteva di Astronomia, poetava in volgare la nuova lingua nascente, dissertava di matematica con Leonardo Fibonacci di Pisa ( considerato all’epoca il più grande matematico dell’epoca ) sul metodo di calcolo con le cifre arabe e con gli zeri ancora sconosciuto in Europa. Traduceva dall’arabo e dall’ebraico e scrisse il <De Arti venandi cum avibus> sull’arte di andare a caccia con i falconi, trattato rimasto celebre. Purtroppo il manoscritto originale dell’imperatore è andato perduto durante la disfatta di Parma del 1248; quello che ci è pervenuto è una copia redatta dal figlio Re Manfredi dopo il 1258, certo fedele al pensiero dell’augusto autore.

Quando nel febbraio del 1266 Manfredi perse a Benevento la vita ed il regno, il trattato divenne bottino degli Angioini. Il nobile francese Jean II Dampierre signore di Dampierre e di Saint Dizier, che aveva partecipato alla campagna d’Italia, ne venne in possesso e qualche decennio dopo realizzò una versione francese, con miniature simili all’originale.

Il codice di Manfredi, dopo essere passato nelle mani di vari nobili europei, è attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (gli unici a non meritarlo).

Espresse la sua qualità di architetto nella costruzione di Castel del Monte nei pressi di Andria che fu considerato con i suoi otto lati e torri una delle meraviglie architettoniche del secolo.

Il suo capolavoro di giurista fu l’unificazione delle leggi imperiali pubblicate ed emanate nel 1231: LA COSTITUZIONE DI MELFI.
Tale legislazione sanciva l’assolutismo dello Stato e l’accentramento burocratico di tutti i poteri, legislativo, giudiziario ed esecutivo nelle mani del sovrano.
L’essenza fondamentale delle leggi erano rappresentate dalla GIUSTIZIA e dalla PACE di cui lo stato ne deve essere garante.
Nel codice si trova una norma che contempla l’istituzione di un organo di stato per perseguire i colpevoli di reati contro i singoli anche senza la querela di parte lesa; tale norma è tutt’ora vigente: E’ la pubblica accusa rappresentata dal Pubblico Ministero.
In un’altra pagina del codice invece troviamo un’affermazione di uguaglianza e giustizia: < Noi che teniamo la bilancia della giustizia sui diritti di ciascuno non vogliamo distinzioni nei giudizi ma uguaglianza. Il convenuto o l’attore, sia esso franco, romano, longobardo, normanno o bizantino, vogliamo che gli sia reso giustizia >.

Nella stessa costituzione decise di ricondurre le attività economiche degli ebrei sotto il controllo pubblico accordando loro protezione e diritti ( come a tutti gli altri sudditi del regno ) dando in tal modo un grosso contributo alla lotta all’usura praticata dagli stessi ebrei, sopratutto a Napoli e a Bari dove c’erano dei quartieri ebraici all’interno dei quali alcuni ebrei svolgevano l’attività di prestare denaro con gli interessi.

Le concezioni della Costituzione di Melfi, portarono ovviamente Federico ad inimicarsi i vari papi, poichè queste negavano nel modo più assoluto il potere del papato sull’Impero.
Tali idee non potevano essere accettate dai Pontefici ed infatti Gregorio IX prima e poi Innocenzo IV, vissuti durante e dopo la promulgazione delle leggi, fecero di tutto per difendere le ragioni papali ricorrendo persino alla scomunica.
Fu infatti scomunicato ben due volte da Gregorio IX e una da Innocenzo IV.

Fondò l’università di Napoli (STUDIO GENERALE). Anche se la capitale del Regno era Palermo, Federico scelse Napoli come sede dello Studio per la posizione geografica della città in modo che tutti i studenti, anche quelli provenienti da altri stati italiani potessero seguire i corsi.

Con l’insediamento di questa università egli intendeva opporre il diritto romano al diritto canonico. Fu un atto voluto per sottrarre ai religiosi il monopolio della cultura, detenuto fino a quel momento dalle scuole e istituti retti dai Domenicani e dai Francescani.
Egli volle opporre all’Università di Bologna, dove i docenti ( fedeli alle idee guelfe ) insegnavano ai giovani il diritto e le scienze morali ( adattandoli in tal modo ai propri ideali ), un altro centro di insegnamento per far conoscere la scienza ed il diritto liberi dai legami della religione.

Il luogo iniziale dove fu insediato pare che sia stato il grande palazzo di Pier delle Vigne, dietro l’attuale Piazza Nicola Amore (via zecca dei panni).
A Napoli Federico ricostruì le mura semidistrutta dal padre, ed ingrandì Castel Capuano e Castel dell’Ovo che fu adibito alla custodia del tesoro imperiale.

Nella Palermo di Federico convivevano due culture e due civiltà: quella occidentale e quella orientale. I normanni in passato, si erano continuamente avvalsi della collaborazione degli arabi, consentendo la convivenza di popoli di diverse origini e fede religiosa.
Il giovane re, di sangue anche normanno ( per parte materna ) non intralciò tale convivenza, tanto e’ vero che la sua corte era formata non solo da cristiani ma anche da mussulmani.
I musulmani che avevano dominato in Sicilia per circa 240 anni, tanto avevano accettato la dominazione normanna perché questa aveva rispettato i loro costumi e la loro religione ma rifiutavano il dominio svevo che con le nuove leggi li allineava con gli indigeni.

Federico II e il sultano

Federico, dopo circa due anni di lotta, comprendendo di non poter mai assoggettare completamente quegli uomini fieri legati ai propri costumi pensò di trasformarli da nemici a suoi più fedeli sudditi ( figurati il papa .. ).

Trasferi nelle Puglie a Lucera, 16 mila saraceni creando per loro una colonia agricola e militare, dove potevano vivere coltivando la terra e liberi di seguire gli usi ed i costumi dettati dalla propria religione che non era vietata.
Pagavano un canone per l’usufrutto della terra ( Tarriarum ) ed un tributo per la tolleranza religiosa ( Testacolo ).

In caso di necessità essi in cambio si trasformavano in uomini d’armi formando un corpo speciale militare .
I saraceni non solo gradirono la soluzione ma riconoscenti si affezionarono all’Imperatore che chiamarono “Sultano” a cui mostano più volte la loro assoluta fedeltà (si rivelarono i i suoi più’ fedeli uomini).
Federico ricambio la fiducia formando una propria guardia del corpo composta esclusivamente di saraceni ( figurati il papa …. )

Amo’ molto la Puglia dove edifico’ e ristrutturo ‘ castelli e fortezze .

Castel del Monte, Puglia. Costruita nel XIII secolo per volontà di Federico II.

Federivo amava circondarsi di lusso esotico (anche se proteggeva i francescani spirituali).
Nelle sue regge dislocate ovunque in Puglia ( Lucera, Melfi, Castel del Monte, Canossa e Messina) gli appartamenti Imperiali erano prevalentemente adibiti ad arsenali di armi e stoffe pregiate con abbondanza di schiavi, schiave ed eunuchi (prevalentemente mori).
Era famoso per la grandiosità del seguito che lo accompagna ovunque nei suoi spostamenti: guardie del corpo, funzionari amministrativi e numerosi animali esotici che il popolo accorreva ad ammirare.
Condotti da schiavi vestiti di lino e seta sfilavano carri colmi di tesori seguiti da cammelli, leoni, scimmie, orsi, pantere, leopardi tenuti con catena da saraceni, struzzi, giraffe, colombe ed un elefante con torre di legno occupata da arcieri e trombettieri saraceni.

Fu generoso con gli amici e con chi gli fosse fedele ma spietato con chi lo tradiva.
Lo sapeva bene Pier delle Vigne che sospettato, arrestato ed accecato preferì togliersi la vita.

Non fece eccezione per il figlio Enrico reo di aver ordito in Germania un complotto contro il padre (fu arrestato e morì suicida dopo 7 anni di prigionia in un castello della Puglia).

Il 1229 a conclusione della crociata che aveva giurato 9 anni prima e che aveva sempre rimandato (provocando l’ira di papa Onofrio III prima e di papa Gregorio IX dopo, che finì per scomunicarlo) concordò con Al Kamil, figlio del famoso Saladino, un armistizio di 10 anni, mediante il quale ebbe il possesso dei luoghi santi e di una striscia di territorio.

Delle quattro crociate precedenti solo la prima guidata da Goffredo di Buglione aveva raggiunto lo scopo a costo di fiumi si sangue e migliaia di vittime ed ora nella chiesa del Santo Sepolcro, quell’uomo, nonostante il boicottaggio del clero si auto incoronò re di Gerusalemme senza aver estratto la spada dal fodero e sparso neanche una sola goccia di sangue.
L’impresa era stata possibile per la profonda conoscenza che Federico aveva dei costumi arabi e della lingua oltre che per la grande diplomazia usata durante le trattative.

Il successo della missione fu in realtà dovuto ai buoni rapporti da lui instaurati con il sultano Malik Al Kamil, nipote di Saladino. Attraverso trattative già preparate da una precedente missione, dove invio’ quale ambasciatore il conte Tommaso d’Aquino, protrattasi per diversi mesi, egli si era guadagnato la fiducia del Sultano e riuscì pertanto nel febbraio del 1229 a concludere con lui un accordo decennale che prevedeva la restituzione ai cristiani di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e di una fascia costiera, mentre ai musulmani riservava l’area del tempio considerata sacra per la loro religione.

La sua abilità diplomatica e le sue capacita dialettiche unite allo spirito di un altro grande uomo quale era Al Kamil finirono con il trionfare evitando inutili spargimenti di sangue, a dimostrazione di quanto possano fare due grandi menti unite nel bene.
Al Kamil, famoso per la gentilezza dei modi e per il contegno austero che meritava rispetto era un uomo di grande cultura ed era anch’egli poeta di cui ci sono stati tramandati alcuni versi; amava disputare coi dotti di giurisprudenza e di grammatica e si narra che si intrattenesse la sera con cinquanta dotti seduti sugli scranni attorno al trono.

Egli come Federico rifuggiva da inutili spargimenti di sangue quando fosse possibile operare altrimenti.

Saputo che nel 1225 Federico aveva sposato la figlia di Giovanni di Brienne, divenendo quindi erede del trono di Gerusalemme, mandò un suo emissario a Palermo, l’emiro Fakhr ad-Din. Durante i colloqui che Federico ebbe con l’emiro Fahr- ed- Din, che divenne suo grande amico ed estimatore, nel corso delle trattative protrattesi per diversi mesi i colloqui caddero spesso su temi di filosofia, logica, matematica, istituzioni statali, poesie, politica e caccia con i falchi.
Qualcosa delle sue idee dovette indubbiamente giungere all’orecchio del Sultano Al Kamil che volle a quel punto intavolare direttamente con lui la trattativa.

Malik al-Kamil era curioso di conoscere se tutte le mirabilia che si raccontavano su Federico corrispondessero a realtà, anche perché oltre alle dicerie che circolavano in oriente, alle sue orecchie giungevano notizie dirette dai viaggiatori che tornavano dall’isola di Sicilia.
Conosciuta la realtà siciliana, e soprattutto la considerazione che l’Imperatore nutriva per i musulmani e la loro civiltà, fra i due nacque una vera amicizia e si scambiavano lettere sugli argomenti più disparati, discutendo di problemi scientifici e filosofici. Furono tradotti in latino, dalle versioni arabe, vari autori greci, tra cui Aristotele, Platone e Tolomeo, ed un trattato sulla caccia (il trattato originale proveniva dalla Siria), che sarà poi alla base del magnifico lavoro di Federico II “De arte venandi con avibus“. Al-Kamil, venuto a conoscenza degli interessi dell’Imperatore, gli inviò esotici animali tra cui orsi, dromedari, cammelli ed un elefante (che Federico battezzò Malik!). Ed essendo Federico, per eredità re di Gerusalemme, si disse ben lieto di potere offrire la corona ad una persona così illustre ed illuminata, ponendo fine alle lotte di religione.
Il risultato fu che il 17 marzo Federico fece il suo ingresso in Gerusalemme ed il 18 si auto incorono’ re nella chiesa del Santo Sepolcro.
Nei 12 mesi trascorsi in terra Santa, libero da impegni militari Federico potè coltivare quella cultura islamica che lo aveva gia affascinato, adolescente, a Palermo ampliando la conoscenza teorica e pratica della sua grande passione, la caccia coi Falconi.

Al Kamil, anche lui grande appassionato di caccia coi falconi gli mostrò l’inutilità di accecare i falchi, mostrandogli l’uso dello chaperon ( cappuccio ), un copricapo in cuoio che copre la testa del volatile da utilizzare quando l’animale non viene impegnato nella caccia. Privo di stimoli visivi, dallo chaperon che lo rendono praticamente cieco il rapace sopporta così meglio la permanenza nella voliera e la compagnia dell’uomo.
Con questo sistema si poteva quindi evitare di accecare il falco evitando questa crudele usanza.
Questa comune passione ma anche il rispetto e l’amore mostrato da Al Kamil nei confronti dei falchi fu grosso motivo di stima e ammirazione tra i due sovrani.

La cessione di Gerusalemme, di Nazareth e di altri luoghi sacri. un risultato che non era riuscito nelle tre precedenti crociate, indignò ancora di più il papa Gregorio IX che esigeva la conquista dei luoghi santi con lo spargimento del sangue.

La conquista dei luoghi santi avvenuta con incredibile abilità senza alcuna attività di guerra, provocò quindi l’indignata protesta del papa Gregorio IX che invece di premiarlo cominciò a radunare un esercito per invadere il Meridione e rovesciare il regno di Federico.
Tornato prontamente in Italia fronteggiò la minaccia papale, invadendo lo stato Pontificio e catturando i prelati diretti al concilio indetto dal papa per deporre l’Imperatore.

Fece propaganda antipapale verso gli altri sovrani europei e mise sotto protezione i francescani spirituali invisi al papato.
Conferì inoltre il titolo di Re di Sardegna al figlio naturale Enzo senza interpellare la Curia Romana e incominciò a combattere con successo la lega Lombarda costituita dai comuni del Nord che cercavano di contrastare i suoi obbiettivi assolutistici.

Gregorio IX intransigente sostenitore della supremazia papale sull’Impero, ovviamente non mancò di scomunicarlo per l’ennesima volta per poi morire nel 1241. Inizialmente il soglio Vaticano fu dato a Celestino IV e solo dopo due anni fu dato ad Innocenzo IV.
Questi fuggì da Roma, indisse un nuovo concilio a Lione in Francia e proclamò la condanna di Federico proclamandolo decaduto dal Regno.

Federico organizzo’ una spedizione verso Lione ma dovette interromperla per riconquistare Parma caduta nel frattempo nella mani dei Guelfi. Perse comunque il tesoro imperiale nella vittoriosa sortita dei parmensi assediati. Subì la sconfitta di Vittoria mentre nella successiva battaglia di Fossalta  fu imprigionato il figlio Enzo che da allora rimase rinchiuso nel Palazzo (che ancora oggi si erge nel centro di Bologna).

Federico mori’ il 13 dicembre 1250 vittima di un infezione intestinale a Castel Fiorentino in Puglia probabilmente perché’ fu avvelenato. Aveva appena scoperto un complotto in cui era coinvolto il medico di corte.

La leggenda vuole che l’astrologo di corte Michele Scoto gli avesse predetto la morte sub flore, ragion per cui egli pare abbia sempre evitato di recarsi a Firenze.
Quando fu informato del nome del borgo in cui era stato condotto per le cure necessarie egli capi che la sua morte era vicina.
La sua morte fu rapida ed improvvisa sorprendendo i contemporanei dell’epoca tanto che alcuni misero voce ( storicamente infondata ) che l’Imperatore fosse stato ucciso soffocato dal figlio illegittimo Manfredi che gli successe.

Federico ebbe quattro mogli e diciotto fogli, dei quali solo Corrado era legittimo.
Erano quasi tutti matrimoni politici. Da Bianca Lancia, unica donna che lui amò veramente ebbe solo una relazione extraconiugale anche se per niente segreta ( divenne sua sposa solo prima della sua morte). Dalla loro relazione nacque il figlio Manfredi (oltre ad Enzo e Filippo).

Alla sua morte, all’età di 56 anni, lasciò il trono per regolare testamento a Corrado ( figlio di Jolanda di Brienne ) ed in sua mancanza a Enrico ( nato da Isabella d’Inghilterra ) o in ultima analisi a Manfredi.
Federico aveva disposto nel testamento che suo successore fosse il figlio Corrado, il quale in quel momento era impegnato in Germania e fino al suo arrivo in in Italia il regno doveva essere retto da un altro figlio naturale, Manfredi, col titolo di Vicario.

Federico non fu un grande costruttore perchè spendeva la maggior parte dei suoi soldi in guerre contro i papi e contro le città “eretiche” ribelli della Lega Lombarda.

Egli fu continuo oggetto di provocazione e scomuniche da parte dei pontefici e vittime di alleanze tra la chiesa ed i comuni insofferenti verso l’autorita imperiale, sopratutto in Lombardia dove tutti insieme, costituirono una lega Lombarda che sconfitta una prima volta tornò a farsi di nuovo minacciosa con l’aiuto papale, costringendo il sovrano svevo ( nel frattempo angustato anche da problemi economici ) a bloccare tutti i cantieri ed i lavori avviati nel regno ad eccezione della Porta di Capua , poi totalmente abbattuta nel 1557 e di Castel del Monte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A proposito di aL-Kamil e dei suoi incontri con altrettanti grandi uomini :

Uno dei più straordinari gesti di pace nella storia del dialogo tra islam e cristianesimo è rappresentato dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano di Egitto al-Malik al-Kamil, nipote del Saladino.
Quello storico colloquio, avvenuto a Damietta nel 1219 è ancora oggi così significativo e attuale da indicare la rotta nella ricerca di pace tra Oriente e Occidente.

Nel momento più cruciale della Quinta Crociata, Francesco d’Assisi decise di partire con un gruppo di dodici compagni, tra cui Frà Illuminato, per il campo dei Crociati, attendati nei pressi di Damietta, in Egitto.
Egli era intenzionato ad incontrare il capo dell’esercito musulmano ( il Sultano di Egitto ) che i Crociati devono combattere e vincere per entrare in possesso dei Luoghi Santi.
Nel campo crociato Francesco e Frà Illuminato attraversarono il campo tra sberleffi, ingiurie, scherni, calci e botte. Francesco predicava contro il ricorso alle armi ed alla guerra e prodigava la necessità di procedere a trattative di pace con i saraceni.
Francesco quindi contro il parere di tutti si avviò deciso verso il campo nemico dei saraceni.
I Saraceni, vedendoli arrivare, gli andarono incontro e li condussero alla presenza del Sultano al-Malik al-Kamil nipote del famoso Saladino.
Il sultano anch’egli notoriamente contrario agli inutili spargimenti di sangue, aveva più volte offerto ai Crociati trattative di pace, da essi sdegnosamente rifiutate.
L’incontro di Francesco con questo sovrano aperto, colto, illuminato fu straordinario. Il Sultano volle che Francesco restasse suo ospite per diversi giorni, per ascoltarlo, dialogare con lui, approfondendo temi religiosi con l’aiuto di teologi e saggi musulmani. Tra i due nacque un’amicizia che durò tutta la vita. Al momento della partenza, il Sultano ricolmò Francesco di doni, tra i quali il corno di avorio ed argento conservato nella Basilica del Santo ad Assisi.
In un tempo in cui un musulmano non si poteva concepire se non come nemico, il mite ed umile Francesco, contrario alla guerra e sopratutto ad una guerra come la Crociata, condotta in nome della fede, dimostro’ che gli uomini con il dialogo e la comprensione ma sopratutto con la cultura possono riuscire dove l’odio non può mai arrivare.

San Francesco e il Sultano

Questi due uomini di fede diversa, di diversa origine e cultura, di diverso linguaggio, di usi e costumi diversi, testimoniano che oltre tutte le diversità c’è sempre un terreno comune in cui vale la pena avventurarsi per scoprire probabilmente una realtà che possa portare ad un reciproco arricchimento.
L’incontro e l’amicizia nata tra Francesco e al-Mailk al-Kamil, sono da allora diventati segno e simbolo della possibilità per gli uomini di comprendersi e superare contrasti e difficoltà, per quanto profondi e gravi essi siano, senza ricorrere alla violenza, all’uso della forza e delle armi.

Per Federico II, la falconeria non era soltanto una pratica ludica, né un modo per tenersi in esercizio fisico .Si trattava per lui di qualcosa di molto più profondo. Si trattava d’insegnare a degli uccelli rapaci a cacciare ma non a mangiare la preda, si trattava del dominio della mente sulla natura, ma seguendo la natura, non forzandola. Si trattava non di negare, ma piuttosto indirizzare, in una diversa via, gli istinti naturali del falco.

In tal senso, quindi, per Federico, la falconeria era una scuola per i governanti. Un buon governante doveva essere come il falconiere, paziente, duttile,  forte, e capace di reindirizzare gli istinti, le pulsioni dei governati. Essa era pertanto un’arte vera e propria, che impone da un lato disciplina in chi la esercita. Il “buon falconiere”, secondo l’Imperatore svevo, doveva riunire in se stesso grande padronanza di sé, solida intelligenza, buona memoria, coraggio e tenacia, in mancanza delle quali le sue cognizioni pratiche sarebbero state senza vita. Tutte queste doti erano altresì necessarie per il buon governante. Per questo, per lo svevo, la falconeria era così importante, ed andava ben oltre lo svago.

 

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