Il Babà a Napoli è un culto, una venerazione! Così belli, lucidi con diverse farciture sono i protagonisti per eccellenza delle vetrine di ogni pasticceria napoletana.
E’ diventuto nel tempo un dolce classico della tradizione napoletana ma bisogna dire che le sue vere origini sono polacche.

Le sue origini, infatti, vanno ricercate in Polonia, alla corte del re Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia avendo sposato sua figlia Maria .
Stanislao Leszczinski, e’ stato re di Polonia dal 1704 al 1735 , fino a quando cioe’ Pietro il Grande, Zar di tutte le Russie insieme ai suoi alleati, la Prussia e l’Austria, gli mosse guerra, e lo sconfisse conquistando la Polonia .
Ma Stanislao non era uno qualunque. Era il suocero di Luigi XV di Francia, e per questo motivo, dopo averlo detronizzato, come contentino gli diedero il Ducato di Lorena.
Gli inverni da quelle parti sono lunghi, freddi e nevosi, e spesso ci voleva e ci vuole ancora oggi qualcosa di forte per superare la bassa temperatura.
Lui aveva trovato il rhum, un’acquavite derivata dalla canna da zucchero, importata dalle Antille.
Stanislao Leszczinski viveva in una prigione: dorata, ma pur sempre una prigione. E’ comprensibile perciò che ogni tanto, per non pensare al passato, che gli faceva tristezza, e al futuro, che gli faceva paura, alzasse un po’ il gomito.
Il tipico dolce che gli veniva preparato a corte era il gugelhupf, un dolce originario dell’Alsazia che il re ritenendolo troppo asciutto non gradiva particolarmente.
Un giorno Stanislao, che aveva già ingollato vari bicchierini di rhum, si accorse di avere una gran voglia di un buon dolce. Quando il maggiordomo gli piazzò sotto il naso l’ennesima porzione di kugelhupf, l’allontanò rabbioso scagliandolo sulla tavola, lontano da sé.
Il piatto terminò la sua corsa contro la bottiglia di rhum posata lì accanto, e la rovesciò inzuppando completamente il kugelhupf prima che qualcuno potesse intervenire.
Avvenne la metamorfosi : il dolce cambio’ colore e odore. Il re lo assaggio’ e ne rimase strabiliato. Il dolce gli piacque moltissimo e tutti i giorni, divenutone oramai ghiotto pretendeva di averlo consegnato a tavola.
Ma al dolce inventato casualmente dal sovrano mancava un nome.
Fu sempre Re Stanislao ad inventare il nome, dedicando questa sua creazione ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da “ Le Mille e Una Notte”. Libro che il sovrano amava leggere e rileggere nel suo lungo soggiorno a Luneville ( Ducato di Lorena ).
Successivamente il dolce fu portato in Francia dalla figlia di Stanislao, Maria e, quando i cuochi francesi lo prepararono per la prima volta, il suo nome iniziò a modificarsi e passò dal polacco babka a “babà” con l’accentuazione tipica del francese sull’ultima sillaba.
Il babà fu introdotto a Parigi all’inizio dell’ottocento dal famoso cuoco-pasticciere Sthorer, che non aveva mancato su invito di Maria , una sua visita nelle cucine di Luneville, per assistere alla preparazione del famoso dolce .
A tempo di record divenne la specialità della pasticceria parigina Sthorer di Rue Montorgueil .
In tanti lo conobbero e lo apprezzarono e le ordinazioni fioccavano fittissime dalla bottega di “maitre” Sthorer dove i morbidissimi babà, si vendevano da due a sette e perfino otto franchi l’uno.
A portarlo successivamente a Napoli, dove assunse la forma definitiva assai caratteristica (quella di un fungo) furono i “monsù”,chef che prestavano servizio presso le nobili famiglie napoletane.
I grandi signori napoletani dell’ottocento , infatti , spesso spedivano a Parigi, quando non li accompagnavano, i propri cuochi per farli erudire sulla “Haute cuisine”. Così rientrando in patria, vi diffusero, con clamoroso successo, il babà.
Le prime fonti che raccontano di un babà partenopeo anch’esso accentato sull’ultima vocale, sono del 1836 quando il cuoco Angeletti ne descrive la preparazione in un suo manuale di cucina
Da allora , il Baba’ e’ divenuto un simbolo della tradizione dolciaria napoletana e la domenica è quasi impossibile non trovarlo sulla tavola di un buon napoletano .

Duranta il regno dei Borbone  la cucina napoletana fu fortemente influenzata  della raffinatissima cucina francese.

L’altezzosa regina Maria Carolina d’Austria ,fiera esponente della casata asburgica  abituata a lussi ed onori di ogni genere , non riusciva  proprio a tollerare la cucina napoletana del tempo. Quei sapori tanto marcati e schietti la disgustavano al punto da chiedere aiuto alla sorella Maria Antonietta, Regina di Francia fino alla Rivoluzione, nota buongustaia, altezzosa quanto lei e talmente ben voluta dal popolo da essere poi ghigliottinata.

Per salvare il palato della sorella, Antonietta inviò alla corte di Napoli alcuni fra i migliori cuochi francesi per educare i colleghi nostrani ai gusti più in voga del tempo. La cucina napoletana, però, era troppo particolare per essere assorbita da quella d’oltralpe, anzi, avvenne l’esatto opposto: la nuova generazione di chef partenopei creò una cucina completamente nuova, che arricchiva quella tradizionale con creme e preparazioni tipiche francesi. I nuovi artisti della tavola venivano appellati col titolo di Monsieur, “signore” in francese.

Come spesso è accaduto, il termine è stato alterato fino ad arrivare ad una forma più facilmente pronunciabile nelle nostre terre: così, i monsieur divennero in tutto il Regno di Napoli, i “monsù”, poi “monzù”.

Ad uno di essi pare che si debba l’invenzione della forchetta attuale e sempre per ordine di Maria Carolina che mal gradiva l’abitudine del popolo, nonchè del marito mangiarli con le mani,.La regina ripugnava questa volgare usanza  e ordinò al suo monzù più fidato di creare un sistema per sostituire l’uso delle mani.

 

 

 

 

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