Vesuvio era un giovane nobile di Napoli, follemente innamorato di una giovane di una “casa nemica”, la famiglia Capri. Ma il loro amore era così avversato dalle proprie famiglie che la fanciulla, fatta imbarcare su una nave diretta verso una terra straniera, sentendosi “strappar l’anima”, si gettò in mare, «donde uscì isola azzurra e verdeggiante». Il cavaliere, «quando seppe della nuova crudele, cominciò a gittar caldi sospiri e lacrime di fuoco, segno della interna passione che l’agitava: e tanto si agitò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno di amore. Così egli è dirimpetto alla sua bella Capri e non può raggiungerla e freme di amore e lampeggia e s’incorona di fumo e il fuoco trabocca in lava corruscante…»

Matilde Serao

L’origine del nome Vesuvio sembra derivare dalla lontana lingua etrusca: VES significa infatti “fuoco”, mentre secondo altre credenze il termine Vesuvio deriva da VEH SUIS, cioè “guai ai suoi”.
Virgilio, nelle Georgiche, lo chiama Vesevo, dal latino vesuvia che significa favilla, e quindi il monte di faville o fuoco.

Secondo una iscrizione latina trovata a Capua, i Romani consideravano il vulcano come l’Olimpo della Campania e adoravano Giove con il nome di Vesuvio.

Il Vesuvio è il Vulcano più famoso del mondo, alto circa 1281 m ed è anche l’unico vulcano attivo d’Europa, oggi circondato da 20 comuni per un totale di 700.000 abitanti.
Con la sua mole maestosa e’ presente in ogni veduta del golfo di Napoli.
Sin dai tempi antichi le pendici del Vulcano, tra lo scomparso fiume Sebeto a nord ed il Sarno a sud sono state abitate per la fertilità delle terre, da Romani, Sanniti, Greci, e napoletani.

Le sue fertili pendici ricche di silicio e potassio sono i principali responsabili di una ricca vegetazione intensamente ricoperta di frutta, legumi e agrumi.
Il monte era amato per le sue fertili terre, per le sue magnifiche tenute di campagna, per i suoi fenomeni geologici e soprattutto perché zona residenziale di lusso dei patrizi romani.

Intellettuali latini come Seneca, Plinio il Vecchio, Vitruvio, Virgilio, Columella, ecc, ignari che il gigantesco monte avesse un passato di sconvolgenti eruzioni lo stimarono come locus amoenus, ossia inizialmente lo apprezzarono per i suoi giardini, per la sua coltivazione orticola e per la sua notevole attività vinicola.

Dei campi vesuviani è infatti rimasto vivo soprattutto l’antico culto latino per il vino.
Antichi pregiati vini derivano da queste alture come il Coda di Volpe e il Lacrima Christi (il più famoso vino prodotto sulle pendici del Vesuvio).
La leggenda su questo prezioso vino è antichissima. Dopo essere stato cacciato tra le schiere degli Angeli Celesti, Lucifero venne scagliato violentemente da Dio nel vulcano di Napoli. Gesù Cristo, dispiaciuto per la perdita del più bello e buono dei suoi Angeli, pianse e una sua lacrima cadde nell’area napoletana.
Altre famose leggende accompagnano il mito del Vesuvio come quella del poeta latino Claudiano che narra della presenza sotto il vulcano di un gigante buono che vive tenuto da robuste catene che si chiama Alcioneo oppure quella legata a Pulcinella, simbolo della napoletanità, secondo la quale esso sarebbe nato dalle visceri del Vesuvio, uscendo dal guscio di un uovo comparso per volere di Plutone sulla sommità del vulcano, grazie ad un impasto fatto da due fattucchiere, che avevano chiesto un soccorritore per sanare situazioni di ingiustizia e di oppressioni.

A proposito di fattucchiere, il personaggio Disney di Amelia, è appunto una fattucchiera incantatrice, una strega che abita in un antro alle pendici del Vesuvio. Ha foltissimi capelli neri, ciglia lunghe e vestito nero. Entrata in possesso del tocco di Mida, Amelia realizza un potente amuleto che si ottiene fondendo “il metallo delle monete degli uomini più ricchi della Terra in un crogiolo da calare nella bocca del Vesuvio”.

Si narra anche che a Napoli vivesse un tempo un giovane di nome Vesuvio. Costui si innamorò perdutamente di una ninfa, che rubò il suo giovane cuore. Vesuvio la corteggiò disperatamente, e arrivò persino al punto di dedicarle una preghiera dolce e disperata: fu così che la ninfa si innamorò di quel ragazzo. Scoppiò l‘amore.. I due amanti passavano giornate liete e spensierate in spiaggia, poi, un giorno litigarono. La fanciulla venne costretta dai suoi a separarsi da Vesuvio, Lei venne portata in un posto segreto lungo il mare, la distanza e la privazione finirono per rafforzare l‘amore tra i due. Fu così che un giorno la ragazza uscii in mare con un piccola barca a vela e, una volta a largo si abbandonò all‘abbraccio delle acque finchè non scomparve fra le onde. Divinità marine mosse a pietà, decisero di regalarle una nuova forma di vita, che potesse ripararla e renderla immortale: la sua anima fu tramutata in pietra e così nacque l‘isola di Capri. La notizia della scomparsa arrivò a Vesuvio che fu sopraffatto dal dolore. La rabbia si impadronì di lui e del suo nobile cuore, e così impazzì. Pazzo, ricolmo d‘amore e di dolore, cominciò a tirare fuori degli enormi sospiri d‘ira che si tramutavano in fuoco.
Anch‘ egli divenne di pietra, si tramutò in un monte dal ventre infarcito di lava e lapilli che vomitava fuori insieme alla sua rabbia. Solo la vista della sua Capri gli regalava di tanto in tanto un po di pace. Quando la vedeva da lontano il suo cuore ridestava, ma il dolore con il tempo si rifà vivo, quando riaffiora lui erutta. Sono più le volte in cui si calma, e guardando il mare: ” Quant‘è bella però la mia regina di pietra. Quant‘è bella la mia Capri.”

Il Vesuvio, nel corso della sua vita, è stato anche associato a Zeus e al suo Monte Olimpo. Altri lo vedevano più legato al Dio del vino Bacco, per le anfore ritrovate a Pompei.

Non si se bene quale di queste credenze fosse vera, ma di certo apprendiamo che dopo la sciagura del 79 d.C. si iniziò a pensare che le eruzioni del Vesuvio fossero anche una sorta di grossa punizione divina  dovuta alla collera e alla rabbia di Dio verso il popolo pagano dei Vesuviani, che trascorrevano le loro giornate nell’ozio, negli agii e nel lusso, succubi di vizi e del danaro. Il Vesuvio diventava così il simbolo delle fiamme dell’Inferno.

Da qui, con la fantasia che i napoletani impersonano, non sono mancate altre storie, che si sono tramandate di generazione in generazione, come la nascita di  Pulcinella.

Secondo questa leggenda pare che la nota  maschera partenopea sia uscita dal guscio di un uovo magico trovato ai piedi del Monte Somma, per volere del Dio Plutone, perché due fattucchiere avrebbero invocato l’arrivo di qualcuno che potesse finalmente “salvare” il popolo dalle oppressioni e dalle ingiustizie

Nel corso dei secoli vi sono state tra il 79 e il 1859 complessivamente 51 eruzioni e l’ultima risale al 1944.
Il primo atroce risveglio del cratere si ebbe la notte del 24 agosto del 79 d.C., quando durante l’eruzione del Vesuvio furono distrutte intere città, tra le quali Ercolano, Stabia e Pompei, seppellite dalle ceneri e lapilli. Nei secoli a seguire ci sono state tante altre catastrofiche eruzioni avutesi fino ai nostri giorni (ricordiamo che l’ultima è avvenuta nel marzo 1944).
Da quel momento il misterioso vulcano ha sempre suscitato, nell’immaginario collettivo, timore e terrore. Gli antichi lo associarono all’Ade e interpretarono la sua eruzione come manifestazione dell’ira divina. Intorno al II–III sec. d. C. il monte divenne l’abitazione del demonio o il monte dei diavoli e ancora oggi sul Vesuvio c’è una valle denominata Valle dell’Inferno. Lo stesso padre di Wolfgang Goethe, nei suoi Viaggi in Italia, lo definisce “la porta dell’Inferno, anzi la residenza del Diavolo”.

Oggi il Vulcano è in fase di quiescenza; si limita a emettere visibili fumarole all’interno del cratere e le sue falde sono intensamente abitate e coltivate. Per meglio monitorare i suoi movimenti Ferdinando II di Borbone capendo l’importanza di prevedere in maniera anticipata le sue eventuali eruzioni,fece costruire nel 1841 il famoso Osservatorio Vesuviano.
Prima di allora contro le minacce delle potenze infernali, il popolo napoletano era solito affidarsi esclusivamente al proprio santo protettore San Gennaro, l’unico veramente capace di placare la forza del Vesuvio: si racconta che la sera del 3 luglio del 1658 il Vesuvio cominciò a vomitare cenere e lapilli. Immediatamente, furono esposte le ampolle del sangue del Santo e proclamata l’indulgenza plenaria, così che furono tutti assolti dai peccati: farabutti, briganti e meretrici. “San Gennaro, contento di tanta pubblica prova di devozione del buon popolo”, ordinò alla lava di arrestarsi. Seguirono feste e processioni in suo onore. Si trattava di processioni molto pittoresche, cui partecipava una fiumana di gente: i penitenti si flagellavano, mostrando le ferite sanguinanti; i monaci cospargevano il capo di cenere del Vesuvio, recitando i salmi; e talvolta le donne si legavano alle spalle enormi croci di legno. Così, si giungeva al Duomo per la benedizione dell’arcivescovo.

Il 1767 fu un’altra data importante nella storia di San Gennaro e ne fu protagonista padre Rocco. Il 19 ottobre di quell’anno ci fu una delle più terribili eruzioni del Vesuvio. La lava avanzando travolgeva ogni cosa ed era arrivata quasi alle porte della città.
Il popolo era come impazzito e il cardinale terrorizzato. Intervenne cosi’ padre Rocco a sedare gli animi invitando il popolo alla preghiera. Il giorno dopo organizzò una spettacolare processione alla quale parteciparono il clero, la nobiltà e una folla di popolo con padre Rocco in testa che invocava la protezione del Santo patrono.
Giunto al ponte della Maddalena la processione si fermò. Continuarono le preghiere e le suppliche e dopo alcune ore si vide rallentare il corso della lava fino a fermarsi proprio all’ingresso della città.

L’episodio commosse tutta Napoli, la popolarità di padre Rocco raggiunse i vertici più alti e San Gennaro fu dichiarato il più grande santo del paradiso.

Nel 1995 e’ nato il Parco Nazionale del Vesuvio realizzato per salvaguardare l’ambiente, le specie animali e vegetali.
Il Parco Nazionale del Vesuvio è caratterizzato dalla foresta mediterranea, vi sono pini, boschi di leccio, vigne, querce, castagneti, vari tipi di fiori: margherite, orchidee, la famosa ginestra decantata dal poeta G. Leopardi in una sua poesia, e infine nel Parco c’è una fauna doviziosa: diversi volatili e vari rettili, lepre, farfalle, coniglio selvatico, volpe, ecc.
Verso il 1870 un finanziere volle costruire una funicolare che raggiungesse il cratere ed incaricò l’ingegnere Olivieri del progetto e della direzione dei lavori. La costruzione generò discussioni accese ed una celebre canzone: Funiculì funiculà, scritta e musicata da Turco e Denza.

E’ probabilmente uno dei vulcani più fotografati negli ultimi secoli. Chi non riesce a riconoscerlo in quella meravigliosa cartolina, immortalata dalla collina di Posillipo, che rappresenta ormai il simbolo più significativo di Napoli?

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