Napoli sotterranea è una delle cose da vedere  assolutamente in città. Una tappa obbligata a Napoli per qualsiasi turista che decida di visitare la nostra città. Un substrato ricco di storia legato ad un patrimonio raro, se non unico nel suo genere.  Nel vedere queste enormi  opere di grande ingegneria civile, a 40 metri di profondità tra cunicoli e cisterne un qualsiasi visitatore della nostra città può solo emozionarsi e  innamorarsi di questi luoghi.

Un viaggio nella storia  che va dall’epoca greco romana a quella moderna passando per i re Borbone  e la seconda guerra mondiale. Ogni epoca della storia di Napoli, dalla fondazione della Neapolis alle bombe della seconda guerra mondiale, ha lasciato traccia sulle mura di tufo giallo, con cui la città è stata costruita (I re Borboni se ne servirono per costruire una via di fuga verso il mare ).

Sotto i marciapiedi affollati ed i vicoli di Spaccanapoli, sotto le strade cittadine ricoperte con i lastroni del Vesuvio, ad oltre 40 metri di profondità si estende un vasto e suggestivo intrigo di caverne, cisterne, cunicoli e pozzi che vanno a costituire una vera e propria città sotto la città.

E’ il grembo di Napoli, da cui essa stessa è nata.

 

 

L’ingresso al mondo affascinante della Napoli sotterranea si trova nel cuore del centro storico, in Piazza San Gaetano n.68, lungo Via Tribunali e accanto alla Basilica di San Paolo Maggiore. Il nostro consiglio è quello di partecipare ad una escursione guidata dei luoghi affidandovi ad una visita guidata locale. Durante l’escursione oltre ad ammirare i resti dell’antico  acquedotto greco-romano e dei rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale, si visiteranno il Museo della Guerra, gli Orti Ipogei , la Stazione Sismica “Arianna” e i resti dell’antico Teatro greco-romano, accessibili da una proprietà privata attraverso il pittoresco ingresso in un basso in Vico Cinquesanti.

Gli orti ipogei rappresentano qualcosa di veramente incredibile se pensiamo che ci troviamo nel sottosuolo , al buio e su morbida roccia ma incredibilmente in un angolo a pochi passi dal pozzo della Bolla crescono,  più rigogliose che mai nell’ambiente cavernicolo , numerose piante che complice l’umidità e l’illuminazione artificiale fioriscono in maniera perfetta.   Lontane da piogge acide, , sottili polveri inquinante e microrganismi dannosi queste piantine crescono più verdi che mai.   Sembra secondo recenti studi che alla base del fenomeno vi sia un perfetto microclima che con il suo ottimale  pH garantisce una perfetta fotosintesi clorofilliana . Questo incredibile fenomeno ha incuriosito persino la NASA che studia da tempo il luogo al fine di valutare eventuali nuove frontiere dell’alimentazione in ambienti particolari .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scendendo una rampa di ben 121 scalini, a 40 metri  di profondità sotto la strada si accede alla prima delle tante cisterne, che sono collegate tra loro da stretti cunicoli.

Ora bisogna subito dire che il territorio partenopeo possiede una particolare conformazione morfologica e geologica del suolo composto da roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari. Questo ha fatto modo che già cinquemila anni fa i primi abitanti del Golfo scavassero la pietra tufacea di origine vulcanica del sottosuolo napoletano per reperire materiale idoneo alla costruzione delle proprie dimore.

Successivamente anche i greci pensarono di ricorrere all’estrazione di tufo dal sottosuolo per la costruzione della città facendo sorgere così le prime cisterne che altri non era che un vuoto tecnico rimasto dopo la raccolta del materiale tufaceo.

Le cisterne nacquero infatti come risorsa di materiale tufacea per permettere ai Greci la costruzione delle mura della città di Neapolis che stava man mano allargandosi. I coloni greci usarono il tufo (materiale abbondante e di facile lavorazione), per costruire le loro fortificazioni, templi ed abitazioni. Il materiale da costruzione veniva ricavato direttamente dal sottosuolo sopra al quale si edificava. Così man mano che Neapolis cresceva si andava formando in profondità una immagine speculare della città, conferendo a Napoli la speciale caratteristica di essere generata dalle proprie viscere.

Possiamo quindi realmente dire che le prime trasformazioni della morfologia del territorio, avvennero  ad opera proprio dei Greci a partire dal 470 a.C..

Il tufo veniva estratto secondo una tecnica innovativa: venivano inseriti dei pali di legno all’interno di crepe naturali, così che i blocchi di tufo venissero estratti con maggior facilità senza danneggiare la struttura portante della cava, successivamente i massi venivano  “marchiati” per segnalare da quale cava era stato estratto ; infatti, è possibile scorgere graffi e simboli appartenenti al IV secolo a.C. rappresentanti appunto l’appartenenza a quella precisa cava.

Possiamo notare durante l’escursione, proprio in questa prima cisterna, delle figure in ferro inscenanti un gruppo di minatori che lavora all’estrazione del tufo che sono state installate durante i lavori di recupero e restauro dei luoghi.

Le cisterne nate  in seguito all’estrazione di tufo dal sottosuolo per la costruzione della città, vennero poi ampliate ed adattate per raccogliere acqua piovana in epoca romana ed essere adibite ad acquedotto.

I Romani infatti  nei primi secoli dopo la nascita di Cristo , in seguito all’ avvenuta  esigenza di un adeguato approvvigionamento idrico della città ,decisero  di sfruttare le  “cisterne” trasformandole in un acquedotto che trasportasse l’acqua dal lontano fiume Serino dell’Irpinia sino alla città crescente, secondo un preciso sistema di cunicoli e reticoli fatto di particolari fori sulla volta del sotterraneo non molto larghi che possiamo notare proprio lungo il cammino del nostro percorso.

I romani  continuarono quindi l’opera di scavo per ricavare il materiale da costruzione, ma provvidero anche a collegare tra loro  le varie cave con cuniculi, tunnel e canali per convogliarvi le acque del Serino, una fonte di acqua che si trovava a ben  70 Km da Napoli, e trasformarle così in vere e proprie cisterne. Fu così realizzato, grazie a questa serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli, un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile ad ogni luogo. Larghi  quel poco che permetteva il passaggio di un uomo, i cunicoli dell’acquedotto si diramavano in tutte le direzioni, con lo scopo di alimentare fontane ed abitazioni situate in diverse aree della città. In questo modo da ogni casa, tramite un pozzo, si poteva accedere alla cisterna sottostante e approvvigionarsi d’acqua.

Lo stesso sistema di trasporto fu usato anche per raggiungere Miseno e fornire di acqua la Piscina Mirabilis, un gigantesco serbatoio il cui scopo era quello di fornire acqua alle strutture militari della flotta romana insediata nell’enorme porto romano di Miseno.

Durante il periodo  Angioino nel 1266, la città conobbe una grande espansione urbanistica cui, ovviamente corrispose un incremento dell’estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici. Per evitare l ’espansione incontrollata delle costruzioni si rese pertanto necessario emanare una serie di leggi che proibiva di trasportare in città materiale da costruzione. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, utilizzando e sfruttando  i pozzi già esistenti, e ampliando le cisterne sottostanti.  

Il sistema creato dai romani, accresciuto ed ampliato nei secoli successivi  fu usato fino al seicento fino a quando  si cominciò a costruire un nuovo acquedotto parallelo: così lentamente le cisterne andarono svuotandosi, avendo perso la loro funzione originaria, anche se una parte del sistema rimase in funzione fino ai primi del Novecento, quando fu definitivamente abbandonato.

Nel 1600 la fognatura e le cisterne pluviali erano inservibili e,  da questo momento, la fognatura si prosciugò e rimase vuota per essere  trasformata in fognatura. Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l’uso del vecchio sistema di distribuzione idrica e costruito un nuovo acquedotto, grazie sopratutto all’impegno del facoltoso nobile napoletano Cesare Carmignano.

Cesare Carmignano costruì il nuovo acquedotto che ancora oggi è in funzione e solo agli inizi del XX secolo  si è smesso di scavare nel sottosuolo per abbandonare definitivamente una rete di cunicoli e cisterne di oltre 2.000.000 m², diffusa per tutta la città.

I sotterranei furono poi  utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugi antiaerei per proteggersi dai disastrosi bombardamenti che colpirono la città. Durante la seconda guerra mondiale nell’inverno del 1943 gli alleati americani sganciarono chili e chili di tritolo sulla città effettuando cento e più bombardamenti continui. L’obiettivo degli americani era infiacchire la città e fomentare la rabbia e la rivolta verso i tedeschi .  Ci riuscirono , perchè poi nell’autunno successivo Napoli fu pronta alla rivolta dando vita alle celebri quattro giornate. In città  regnava quindi la paura e nell’ aria si udiva continuamente il solo suono della sirena e stavolta non era il canto della mitica Partenope , ma quello che annunciava l’ennesimo attacco aereo ed il conseguente  bombardamento . La gente impaurita scappava ovunque e non era raro vedere sangue per strada di  persone sbalzate in aria magari senza un braccio od una gamba . Per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell’antico acquedotto. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo, alcuni dei quali con più di un accesso. Le cavità furono illuminate e sistemate per accogliere decine e decine di persone che al suono della sirena si affrettavano a scendere per le scale che scendevano in profondità. Durante quegli anni orribili della guerra, circa quattromila persone popolarono i sotterranei della città, aspettando che il conflitto bellico consentisse il ritorno alla vita. Resti di arredi, graffiti e vari oggetti in ottimo stato di conservazione testimoniano ancora oggi la grande paura dei bombardamenti e i numerosi periodi della giornata vissuti nei rifugi, facendo riemergere uno spaccato di vita importante e al tempo stesso tragico della storia cittadina. Le pareti, ricoperte di intonaco rosso, portano toccanti scritti e disegni, come quella di un dirigibile aereo che sgancia bombe. Guardandoci intorno possiamo osservare giocattoli dell’epoca, resti di ordigni bellici, resti dei tipici vasi da notte napoletani  ( “cànteri”, ) riconoscibili dal manico laterale che niente hanno a che fare con  le “cantarèlle” a due manici (questi venivano usati anticamente nelle cripte per farci scolare dentro i liquidi corporei dei cadaveri, spesso dei frati ) e installazioni ferree di uomini in preghiera, soldati in difesa e numerose foto che testimoniano i tragici eventi della guerra.



 

 

 

 

 

 

I feroci bombardamenti  distrussero buona parte della città e anche nella dolorosa e faticosa ricostruzione di Napoli, il suo ventre vuoto ebbe la sua parte: la mancanza di mezzi di trasporto fu risolta gettando i detriti negli antichi pozzi. I cumuli di pezzi di tufo in cui era ridotta la città, venivano rigettati al suo interno, proprio da dove, nel corso dei secoli, erano venuti fuori. Quasi tutte le macerie furono scaricate nel sottosuolo, quasi a voler seppellire con esse, anche tutti i ricordi di quel triste periodo. Il sottosuolo continuò per molti anni ad essere poi usato come discarica e fino agli anni ottanta, la sua storia è stata sepolta dall’immondizia. Solo grazie all’attività di alcuni volontari che decisero di ripulire le fondamenta della città, oggi Napoli può offrire un percorso sbalorditivo che, attraverso il tempo e la storia, consegna ai turisti un viaggio impossibile in un luogo affascinante. Una zona  della Napoli Sotterranea che da tempo suscita particolari emozioni  è il luogo dov’è posta una enorme “piscina”, ricoperta nei lati da reperti e manufatti in terracotta. Per raggiungerla bisogna munirsi di una bugia con candela e intrufolarsi tra gli ancora più stretti cunicoli (50 cm di larghezza!) e incamminarsi per 150 metri di curve, discese, e  piccole rampe.

 

 

Una particolare cisterna invece è certamente quella del convento di clausura di San Gregorio Armeno. In questo ipogeo le monache del convento erano solite distillare  il famoso vino “tufello”, chiamato così per la tipologia della grotta in cui esse si trovavano.  Un vino dedicato a Santa Patrizia, che si dice sciolga il sangue come San Gennaro, il 25 agosto di ogni anno  e lo trasformasse in tufello. Malelingue erano solito dire  che le monache del convento di notte spesso scendevano per una scala nell’ipogeo dove trovavano ad accoglierle dei monaci ( scesi da una scala affine). I pettegolezzi dei locali del luogo erano soliti sussurrare che monaci e monache rallegrati dal vino messo lì ad invecchiare finivano poi per amoreggiare di nascosto e al sicuro da occhi indiscreti nel sottosuolo.

NAPOLI MIRACOLO DI SANTA PATRIZIA
ANCHE SANTA PATRIZIA UNA DELLE PATRONE DI NAPOLI ESEGUE IL SUO MIRACOLO IL 25 AGOSTO NELLA CHIESA DI SAN GREGORIO ARMENO IL SANGUE DELLA SANTA CONSERVATO NELLE AMPOLLE PASSA ALLO STADIO LIQUIDO

 

 

 

 

 

Lungo il fantastico percorso incontreremo poi un’altra famosa cisterna dove è posizionata una statua di metallo in memoria di alcuni noti personaggi che hanno frequentato questi luoghi, i cosiddetti  “Pozzari “. Uomini muniti di lampada a olio che salivano e scendevano lungo l’acquedotto attraverso una serie di fori nel muro distanti una ventina di centimetri l’un l’altro. Essi provvedendo alla manutenzione e all’ approvvigionamento dei pozzi di molti vecchi edifici, erano i padroni incontrastati del sottosuolo conoscendo perfettamente tutti i segreti dell’acquedotto, i suoi cunicoli e le gallerie nelle quali si muovevano con estrema agilità e non era raro vederli fuoriuscire improvvisamente in strada e vederteli comparire improvvisamente dinanzi a te, nei pressi di un’abitazione o addirittura all’interno di un appartamento.

A causa dell’altissimo tasso di umidità, erano costretti a lavorare con un mantello che coprisse anche il capo, dandogli l’aspetto di monaci francescani, da cui il soprannome di “monaciello”. E proprio forse quel suo sbucare d’improvviso col buffo cappuccio (che spesso  faceva  trasalire i passanti), ha portato nel tempo  ad identificare e  sovrapporre i pozzari con la figura del famoso  “‘munaciello“, una delle fugure più temute e amate del folklore napoletano.

Temuto e coccolato allo stesso tempo, infatti  nella credenza popolare era lo spirito che abitava le costruzioni di Napoli. Se l’abitante della casa risultava simpatico al “monaciello”, questo poteva far trovare addirittura dei  soldi nei cassetti o nelle giacche appese all’ingresso. Ma se per caso lo spirito si offendeva,  si indispettiva o ti pigliava in antipatia, ti riempiva di piccoli dispetti come la scomparsa degli oggetti, o veri e propri “paleatoni“ (una serie di schiaffi, pugni e calci ricevuti durante la notte o nelle stanze buie).

I pozzari, perfetti conoscitori del sottosuolo, volendo si dice potessero accedere alle case dei cittadini direttamente dai pozzi e pare che essi talvolta sfruttassero  questa possibilità soprattutto quando le donne erano sole in casa. Senza eccessiva malizia, è facile immaginare che alcune visioni del “monaciello” da parte di mariti rientranti a casa, fossero altresì cose ben più che reali…

A tal proposito una voce popolare racconta che un Monaciello una volta fosse entrato in casa di una donna facoltosa e molto bella. Questa, svegliatasi dal sonno e avendo visto l’intruso, decise di passare una notte d’amore con il piccolo uomo, il quale prima di scappare via acciuffò i soldi posti sul comò di fianco al letto. Al ritorno a casa del marito della donna, questi domandò che fine avesse fatto il denaro che egli aveva posto sul mobiletto. La donna, di tutta risposta, affermò che era stato “‘o munaciello“, giustificandosi con un’affermazione che soltanto lei sapeva.

A questo episodio  è anche legata la diceria che se in casa qualche oggetto sparisce (soprattutto soldi), il Monaciello è stato cattivo, malvagio. Se invece si trovano monete d’oro sul comodino del letto (cosa rara) è un segno benevolo. Perciò è considerato anche lo “spiritello della casa”.

La leggenda invece vuole la figura del monaciello risalire addirittura al periodo aragonese. Nella seconda metà del XIII secolo, sotto il dominio di Alfonso D’Aragona, una donna di nome Caterinella, di famiglia benestante s’innamorò follemente di un povero manovale di nome Stefano. Ovviamente la differenza di ceto sociale vide i genitori di lei fortemente contrari a questo amore, e i due si videro così costretti a fugaci incontri notturni. Durante uno di questi incontri clandestini, Stefano venne ucciso dal padre di Caterinella la quale, straziata dal dolore forte per la perdita del suo amato, decise di rinchiudersi in convento. Ma Caterinella, rimasta incinta, dopo pochi mesi diede alla luce un bambino dal corpo minuto e dalla testa grande. Fu indicato a Caterinella di impiegare suo figlio nel controllo dell’acquedotto, e di farlo divenir così “pozzaro”. Il bambino era ideale per quella mansione: riusciva a destreggiarsi nei canalicoli più che stretti delle fognature. Per proteggersi dall’umidità (e per non farsi vedere), quel ragazzetto strano si copriva con una tunica, che egli possedeva in due colori: rossa o nera. Tale tunica gli affibbiò il nome di “monaciello”, il piccolo monaco.

Il popolo partenopeo, da sempre superstizioso, pensava che quando quel giovine dall’aspetto goffo indossasse la tunica rossa era buon segno; quando la tunica era nera invece portasse male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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