E’ appartenuto a Diomede Carafa, conte di Maddaloni, consigliere di Alfonso d’Aragona, uomo d’arme, abile politico, poeta più che discreto, amante dell’arte. Il palazzo è tra le più interessanti costruzioni quattrocentesche a Napoli e custodisce l’opera d’arte più famosa della città, una testa di cavallo in bronzo venerata persino da Goethe, oggi nel Museo Archeologico.
Il Carafa fu un umanista e collezionista d’opere d’arte – soprattutto di scultura – in contatto con Firenze; da Lorenzo il Magnifico ricevette in dono una famosa testa di cavallo in bronzo, che fu collocata su piedistallo ad ornamento del cortile. L’anno di costruzione del palazzo (1466) è inciso sul portale che rappresenta una perfetta dimostrazione di come possono combinarsi le forme classiche rinascimentali con quelle medioevali
Sito lungo San Biagio dei Librai, che fu un tempo la sede del commercio librario napoletano, rappresenta insieme al Palazzo Cuomo, Palazzo Gravina, e Palazzo Penna, uno dei migliori esemplari dell’architettura napoletana del Rinascimento.
Il Portale marmoreo con le sue forme classiche ricorda lo stile del grande architetto Leon Battista Alberti, ed è arricchito da due battenti in legno intagliati in stile tardogotico raffiguranti nei dodici riquadri le insegne della famiglia Carafa. Sulla cornice del portale ai lati sono invece posti i busti di due imperatori, ed al centro si erge in una nicchia la statua di Ercole, con i ritratti agli spigoli, nell’interno dell’architrave, del conte Diomede Carafa e di sua moglie.
In fondo al cortile si vede la copia in terracotta dell ‘ enorme testa di cavallo che Lorenzo il Magnifico dono’ al Carafa ; l’ originale in bronzo si trova al museo nazionale .
Sempre nel cortile a destra c’e’ una colonna mozza che e’ quel che rimane della colonna con la statua di Ferrante , eretta per ricordare la cortesia del re che si degno’ di attendere il Carafa con il quale doveva andare a caccia .
Nel 1713, visto che questo ramo della famiglia Carafa non aveva più eredi, la proprietà passò a don Francesco Carafa di Columbrano e alla moglie Faustina Pignatelli, che si preoccuparono di effettuare alcuni lavori di restauro. In seguito, nel 1815, dopo alcuni anni di abbandono, il palazzo venne acquistato dalla famiglia Santangelo che continuò l’arricchimento della struttura con opere d’arte e reperti antichi .
Francesco Santangelo, lo tenne nel massimo rispetto della preesistente architettura, come fece suo figlio Nicola, ministro degli affari interni per Ferdinando II.
Padre e figlio, in circa sessanta anni, crearono un museo privato con una pinacoteca di 350 opere di Preti, Cavallino, de Matteis, Giordano, Veronese, Durer, Ribera, Bassano, Tintoretto, Van Dick, Mantegna, Poussin, Tiziano e Rubens. Né mancavano ori, argenti, pietre incise ,una ricchissima biblioteca e una collezione di vasi etruschi, grechi e romani.
Santangelo era all’epoca l’uomo più potente del paese. ( ministro dell’Interno dal 1831 al 1847) . Egli e ra anche ricchissimo.
Il Re aveva sentito le sue opinioni per molte cose e gli doveva il gusto per le belle arti e la scelta di molti capolavori della pittura dell’epoca che ancora si trovano nelle raccolte pubbliche di Napoli. Il suo nome si è offuscato lungo gli anni e talvolta è diventato il capro espiatorio di molte ingiustizie politiche che finirono per guadagnare a Ferdinando II il titolo di Re Bomba.
L’ultimo restauro del palazzo inizio’ nel 1844 a cura di Orazio Angelini che decorò la scala con marmi bianchi e stucchi. Oggi il palazzo parzialmente restaurato, attende il completamento ed il riuso del piano nobile affidato alla Sovrintendenza archivistica della Campania.
Quando il palazzo passò dai Carafa al marchese Santangelo, la testa di cavallo del cortile fu trasferita al Museo Nazionale: il Santagelo ne fece eseguire una copia in terracotta dipinta, collocandola sul piedistallo originale
Da quel momento la sostituita copia in terracotta ha continuato ad essere per due secoli l’attrazione di quel cortile. Impossibile non affacciarsi almeno una volta a contemplarla. Ma anche la copia col tempo si è deteriorata e ad evitare il peggio è intervenuto un provvidenziale restauro
La testa di cavallo è citata per la prima volta in una lettera del 1471 in cui Diomede Carafa, conte di Maddaloni ringrazia Lorenzo il Magnifico per avergli inviato in dono la scultura da Firenze. Nel 1787 Goethe, nel suo soggiorno a Napoli, ammirò l’opera in bronzo ancora nel cortile di Palazzo Carafa, allora posta in una nicchia vicina ad una fontana.
Le fonti cinquecentesche riferiscono l’opera all’ambito di Donatello.
L’ ipotesi piu’ accreditata e’ che la testa di cavallo doveva essere parte di un monumento equestre che Donatello avrebbe iniziato per Alfonso V d’Aragona, re di Napoli dal 1442 al 1458. Il monarca desiderava un monumento equestre a lui dedicato, simile a quello che Donatello stava concludendo a Padova per il Gattamelata, per collocarlo al centro dell’arco superiore (oggi vuoto) dell’immane portale di ingresso a Castel Nuovo a Napoli, una delle più imponenti e ambiziose opere del primo Rinascimento italiano.
Lo scultore prese spunto dalla testa di cavallo Medici-Riccardi, originale greco in bronzo di età classica che a metà del ‘400 adornava il giardino di Palazzo Medici (oggi nella collezione del Museo Archeologico Nazionale di Firenze; ), ma dovette però sospendere la realizzazione dell’opera bronzea, non riuscendo a far fronte alle troppe commissioni, e con la morte nel 1458 di re Alfonso il monumento rimase definitivamente incompiuto.
Nel 1466 morì anche Donatello ed a questo punto l’opera incompleta fu comunque inviata a Napoli da Lorenzo de’ Medici nel 1471, proprio l’anno della conclusione del portale. Ferrante d’Aragona, successore di Alfonso, una volta in possesso della testa , oramai inutilizzabile per l’arco , decise di donarla , a Diomede Carafa, suo amico e illustrissimo rappresentante della corte aragonese in città.
Un’antica storia ritiene la testa di cavallo legata ai riti magici che le varie leggende associano a Virgilio. Quest’ultimo infatti, avrebbe costruito questa scultura in bronzo donandole il potere di guarire qualsiasi cavallo malato che gli fosse girato intorno per tre volte consecutive ; tale mistico potere guaritore non faceva certo piacere ai maniscalchi che vedevano in questa testa un temibile concorrente ai loro avidi guadagni e non mancarono di denunciare continuamente alle autorita’ religiose il superstizioso rito . Per loro sommo piacere ,finalmente , nel 1322, il Cardinale Matteo Filomarino fece rimuovere e fondere la scultura per porre fine al proliferare di questo rito pagano ricavandone una campana del Duomo . Così, non si ebbero più notizie del cavallo fino al ritrovamento nel palazzo Carafa che potrebbe rappresentare uno scarto di quella fusione. In realtà, l’ipotesi più attendibile è che fu Lorenzo de Medici a donare nel XV secolo la testa equina al Carafa che, in una sua lettera, lo ringrazia per il dono ricevuto. Quindi, l’unico mistero rimane quello dell’attribuzione, ovvero se l’opera sia stata realizzata davvero da Donatello come sostenuto da Giorgio Vasari nel secolo successivo. Comunque, l’incertezza sulla provenienza della testa di cavallo è testimoniata anche dall’epigrafe posta alla base (ora conservata nel Museo di San Martino) da don Francesco Carafa di Columbrano nel XVIII secolo che parla della testa avallando la tesi che fosse parte di un corpo intero, fuso per farne una campana del duomo.

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