” Il 19 gennaio 1644 Nicola Giordano , per i molti e grati servigi resigli , donava al fratello Luca , pittore già affermato nella sua arte , un apprezzamento di terreno di cinque moggia nelle pertinenze di San Giorgio a Cremano , in un luogo solitario e isolato nelle campagne che i carrettieri ed i caprai percorrevano per raggiungere la montagna ” .

Con questa scrittura che ricorda a tutti il luogo di residenza del grande artista mi piace darvi il benvenuto nell’antico casale di San Giorgio a Cremano , un tempo San Jorio ,  situato alle falde del vesuvio .

Luca Giordano ebbe una grande importanza con la sua presenza per l’intera zona . Egli infatti fece costruire verso la fine del XVII , la cappella  di S. Maria del Carmine al Pittore , che alla fine del secolo divenuta rettoria  fu un notevole centro di aggregazione della popolazione contadina della zona circostante. La piccola cappella con tre altari in marmo ( oggi conserva solo quello centrale )  dedicata alla Madonna del Carmine fu edificata da Luca Giordano come segno di ringraziamento per la nomina del figlio prediletto Lorenzo , a giudice della Vicaria . Completamente modificata nel suo aspetto originario da un restauro avvenuto nel 1932 , conserva nel suo interno ancora oggi un organo a canne dei primi anni del settecento.

N.B. Per rettoria si intende una  chiesa che, pur trovandosi in un territorio parrocchiale, non svolge funzioni di parrocchia e dipende dalla chiesa parrocchiale del luogo per quanto riguarda le questioni canoniche e le direttive pastorali.

La chiesa del carmine voluta da Luca Giordano

Il luogo solitario e isolato per raggiungere la montagna era al contrario di quanto possiate  inizialmente pensare un luogo bellissimo oggi nemmeno immaginabile . Il verde dei grandi campi  e dei fitti boschi presenti faceva da contrasto al grigio della lava ed all’azzurro del cielo e del mare in un clima reso mito e dolce proprio dall’aria del vicino mare . Sparse in questo meraviglioso verde erano presenti a tratti piccole aziende agricole  e poche  ville rustiche gestite spesso da signori che esercitavano il mestiere di amministratori di fondi agricoli.

Questo meraviglioso scenario incominciò a cambiare quando venne costruita la Reggia di Portici . I nobili aristocratici , desiderosi di essere vicini al re nella sua residenza estiva acquistarono questi vecchi casali per ristrutturali e trasformarli in  nobili dimore . Le masserie , una volta riedificate con l’acquisto di nuove decorazioni ,si trasformarono così  in  splendidi monumenti alla magnificenza dell’aristocrazia napoletana rinascendo nelle vesti di eleganti simboli di potere e ricchezza .

In conseguenza di tutto questo , gli spazi verdi purtroppo mutarono la loro destinazione e da zona agricola produttiva si trasformarono in magnifici ornamentali  giardini diventando luogo  di piacere e raffinato  ozioso riposo.

Per  avere oggi un’idea del passato splendore  dell’intera zona , basta osservare la famosa mappa topografica della città di Napoli di Giovanni Carafa , duca di Noja che mostra la situazione della città e dei suoi “contorni ” nell’anno 1775 . Sulla mappa , conservata nella ricca biblioteca comunale ( sono conservati più di 11000 volumi ) presso la  settecentesca  Villa Bruno  è  analiticamente incisa , infatti . perfettamente tutta l’area di San Giorgio insieme ad  una piccola strada conosciuta come la strada  che porta alla montagna .

CURIOSITA’ :

 La mappa del duca di Noja  è‘ un’importante carta topografica della  città di Napoli e dei suoi contorni nel 1775. Essa costituisce un’importante fonte iconografica per lo studio topografico ed urbanistico del territorio tra il XVII ed il XIX secolo, consentendo tra l’altro lo studio della genesi e della disposizione urbanistica originaria delle Ville vesuviane del Miglio d’oro.

Essa è stata realizzata tramite incisione avvenuta su  35 tavole di rame. Tramite questo incredibile lavoro di  incisioni , sono state fissate su rame  le  immagine della città di Napoli nel Settecento suddividendola  secondo l’originaria disposizione dei Seggi .Troviamo inoltre anche impressa in maniera perfetta  la dimensione effettiva del Miglio d’Oro e la primitiva disposizione delle sue ville.
La sua realizzazione fu commissionata a Giovanni Carafa, duca di Noja, dal tribunale degli Eletti ( o di San Lorenzo ) . L’opera che aveva lo scopo di conoscere l’esatta topografia della città e dei suoi contorni sopratutto in relazione alla zona vesuviana del Miglio d’oro secondo i programmi originari,  avrebbe dovuto essere completata entro due anni e mezzo, ma in realtà i lavori si prolungarono molto oltre. Nel 1768, anno della morte del Carafa, la cartografia non era ancora completata, e passò sotto la direzione di Giovanni Pignatelli, principe di Monteroduni coadiuvato  dal matematico Nicolò Carletti, professore emerito dell’Accademia di Belle Arti.
 La cartografia fu finalmente completata nel 1775, e fu corredata da un indice topografico realizzato dal Prof. Nicola Carletti, docente di architettura e matematica all’Università di Napoli. I primi cento esemplari furono realizzati dal regio stampatore Vittorio Barbacci, mentre quelli susseguenti furono stampati dal romano Antonio Cenci. La cartografia venne messa in vendita al pubblico al prezzo di dieci ducati a copia, successivamente ridotti a sei per facilitarne la diffusione, la quale fu però assai limitata dall’alto costo della riproduzione.
Accanto alla sua utilità in quanto documento topografico, la mappa fu pensata anche per essere un oggetto artistico. Essa è infatti corredata nella parte inferiore da una veduta scenografica di Napoli e di una legenda composta da 580 richiami con notizie storico-artistiche, ed incorniciata da un motivo ornato. La parte alta della mappa presenta il titolo, la dedica a Carlo III sulla sinistra, ed una collezione degli stemmi, suddivisi per Seggio, di 134 famiglie nobili napoletane, nonché lo stemma reale.
Il lavoro d’incisione su rame, è oggi  custodito oggi alla Biblioteca Nazionale di Napoli presso la sala dei Manoscritti e Rari,

 

La citata Villa Bruno , è solo una delle tante belle ville nel settecento presenti in questo luogo.  San Giorgio a Cremano è infatti rinomata soprattutto per le sue ville, appartenenti al cosiddetto Miglio d’oro  sorte in epoca borbonica .L’ampiezza degli spazi , i profumi , i silenzi ,la dolcezza e la lentezza del vivere fecero  difatti  divenire in quegli anni , il luogo  , meta prediletta dei nobili napoletani che pur di stare vicino alla residenza estiva del re che si trovava nella vicina Portici scelsero sopratutto la cittadina di San Giorgio per costruire una propria dimora al fine di  godere in qualche stagione dell’anno di un po’ di fresco e silenzio che questi luoghi incantati anticamente offrivano.  Il suo  ambiente piuttosto rustico, ameno e salubre,  favorì l’edificazione di numerose ville nella zona, e rimase per lungo tempo  tra le mete predilette dai nobili napoletani perchè situata lungo la  strada tra la vicina  residenza estiva del re,  e quella reale  di Napoli , la cosidetta Via Cavalli di bronzo o vecchia strada per le calabrie .

Via cavalli di bronzo ….. che strano nome per una via . Sapete da dove deriva ?

Per scoprire questo dobbiamo ancora una volta portarci ala settecentesca , oggi ristrutturata , Villa Bruno dove agli inizi del XIX secolo si trovava un corpo di fabbrica allestito  a fonderia Reale il cui responsabile era Francesco Righetti . Questi era anche il fonditore di fiducia del Canova , al quale era stata  commissionata  ( nel decennio francese ) una scultura di Napoleone da inserire al centro di  un grande emiciclo che si doveva chiamare  Foro Murat ( odierna Piazza del Plebiscito ) .

Il progetto voluto fortemente dal re francese  Gioacchino Murat , cognato di Napoleone ,  prevedeva un vero e proprio FORO da chiamarsi ” FORO MURAT ”  e per realizzarlo  con un decreto diede addirittura luogo alla demolizione delle due chiese di San Luigi e di Santo Spirito e dei loro  rispettivi conventi . Il re francese purtroppo però non riuscì mai a vedere realizzato il suo progetto e quando la sera del 13 ottobre 1815 , fu a Pizzo Calabro fucilato , processato, condannato e giustiziato , era del suo foro  nel frattempo solo finito il porticato .
Quando Ferdinando IV rientro’ a Napoli penso’ bene di sfruttare l’opera del suo predecessore e volle che nel centro del portico sorgesse la chiesa che aveva promesso in voto se avesse riavuto il trono. Nacque così la chiesa di San Francesco di Paola . Il re  per la sua costruzione incaricò  uno dei migliori artisti dell’epoca della scuola neoclassica , l’architetto Pietro Bianchi di Lugano che successivamente  nel 1822-16 abbelli anche ulteriormente l’ emiciclo della chiesa realizzando otto statue di leoni egizi.

Ferdinando ovviamente tutto voleva tranne che al centro del Foro vi fosse una statua di Napoleone ma invece di  distruggere l’opera pensò bene di utilizzare il cavallo e di sostituire il cavaliere . Accadde così che Carlo di Borbone si ritrovò sul cavallo di Napoleone . Pochi anni più tardi anche Ferdinando volle tenere compagnia al padre e incaricò il Canova di riprodurlo in una posizione analoga accanto al padre . Il Canova però mori dopo aver solo completato il cavallo ed il suo monumento venne poi completato da Antonio Calì

Oggi al centro dell’ emiciclo si possono quindi ammirare due bellissime statue equestri : una dedicata a Carlo di Borbone e l’ altra a Ferdinando IV  ed entrambe , collocate a circa 50 metri una dall’altra  che sono sempre  opera di Antonio Canova, e per forza di cose anche dell’allievo  Calì .

Entrambe le opere furono però realizzate nella fonderia reale di Villa Bruno  in San Giorgio a Cremano dal bravo fonditore di fiducia del Canova , Francesco Righetti , che si dice riuscì a fondere la prima statua in soli cinque minuti grazie ad un ingegnoso sistema basato sul principio dei vasi comunicanti . Nel corpo centrale della sua fonderia sembra che egli avesse fatto realizzare un’enorme pozzo per realizzare le sue monumentali fusioni .

L’ episodio della  realizzazione delle due statue avvenuta in questo luogo ha dato la denominazione ” cavalli di bronzo ” all’intera zona e alla via .

Come avrete potuto capire Villa Bruno , considerata una delle più importanti ville vesuviane  è  certamente uno dei principali punti di interesse della città. Essa è anche denominata  “Palazzo della cultura Vesuviana”, in quanto oltre che ospitare un caffè letterario ed una ricca biblioteca con circa undicimila volumi , rappresenta il luogo di San Giorgio dove  vengono organizzati numerosi eventi, manifestazioni , concerti, ed il famoso  “premio Troisi “, dedicato ai giovani comici. L’edificio si sviluppa in un corpo unico separato dalla strada da un muro di recinzione e da un cancello realizzato in ferro battuto. Ai lati del cancello sono collocati due medaglioni, recanti le teste di due cavalli di bronzo, in memoria proprio delle due statue equestri realizzate da  Antonio Canova di cui vi abbiamo parlato prima . In questo edificio fu anche fusa la statua di Pulcinella che oggi adorna l’atrio del palazzo. Essa, come tanti altri pulcinella ( vedi via Tribunali a Napoli ) è opera di Lello Esposito ( sangiovese di nascita ).

Nel suo interno oltre a magnifici affreschi che adornano le sale  possiamo ritrovare numerosi arredi degli inizi del XIX secolo come  per esempio , armadietti, tavoli ,  secretaire  e scrittoi . Al primo piano è  gelosamente custodita anche la vecchia bicicletta  che Massimo Troisi usò nel suo ultimo film , IL POSTINO.

La villa appartenne prima alla famiglia Monteleone per poi passare ai Lieto che ospitavano l’arcivescovo di Napoli , il cardinale Ruffo , che veniva a villeggiare a San Giorgio a Cremano . Un tempo infatti quello che vediamo oggi era un amabile luogo di villeggiatura , ricco di numerose ville vesuviane  dotate di ampi giardini  alcune delle quali ancora oggi perfettamente visibili come appunto questo di villa Bruno all’interno del quale vi era una serra in ferro e vetro ed un’esedra semicircolare con statue (  oggi sostituita da un’arena all’aperto in cui si tengono manifestazioni di varia natura promosse dal comune ).Il viale che si estendeva per oltre duecento metri , era arredato con sedili in pietra posti lungo tutti i  due lati che si alternavano con statue e grossi vasi. Oggi alcune delle statue che una volta costellavano il parco sono ancora presenti  sparse nel verde polmone della villa e ad accoglierci nel suo vestibolo  , posto su un piedistallo è il solo busto di Giove .

La villa fu poi acquistata dalla famiglia Righetti che edificò la nota fonderia per poi venderla ai fratelli Bruno che ne sono stati proprietari fino a quando il comune di San Giorgio non l’ha rilevata e restaurata .

La magnifica  villa Bruno come dicevamo è solo una delle tante belle ville che provocarono la grande trasformazione urbanistica ed edilizia  del territorio di San Giorgio nel XVIII secolo che si ebbe in seguito all’edificazione della residenza estiva presso  Portici del re borbonico Carlo I.

In quel periodo, con la costruzione delle sue meravigliose residenze extraurbane  l’aristocrazie napoletana trasformò completamente un territorio  n prevalenza agricolo in un luogo di delizia e questi luoghi divennero in breve tempo il centro della vita mondana della corte borbonica e delle più aristocratiche famiglie del regno. Le preesistenti strutture furono adeguate al gusto di una classe nobiliare che alla ricerca di un nuovo stile di vita si trasferiva sulla costa vesuviana per godere del clima salubre e della tranquillità dei luoghi e sfuggire periodicamente dalla caotica e rumorosa città di Napoli affollata in quel periodo da ben 3000.000 abitanti .

Le condizioni  del territorio su cui furono edificate le ville , che vedevano le ultime pendici collinare  degradare verso il mare , portarono gli architetti del tempo ad usare  la natura  stessa come elemento portante su cui organizzare  la costruzione delle ville e dei  loro meravigliosi giardini. L’intera area vesuviana e non la sola San Giorgio , grazie  al  prestigio portato in zona dalla dimora reale ,  vide il sorgere frenetico in poco tempo di sontuose costruzioni con decorazioni architettoniche di pregio . La bellezza dei luoghi che tanto piaceva ai sovrani fece sì che l’intera corte napoletana e molti altri nobili, decidessero , per essere vicine ai sovrani, di trasferirsi nel luogo facendosi costruire lussuose ville cortigiane con a corredo meravigliosi giardini rococò e neoclassici da architetti del calibro di Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, Mario Gioffredo.   I loro  bellissimi giardini distesi sul pendio digradavano verso la spiaggia tra aiuole, piccoli boschetti, padiglioni, gazebo e gli esclusivi caffeaus, una sorta di piccoli capanni costruiti per viverci in quiete una o due ore al giorno, con mobilio di canapè, finestrino e cupolino,  realizzati in maniera tale da essere  grandi terrazzi panorami sul Golfo.

I giardini  furono i veri protagonisti di queste nuove costruzioni . Esso non poteva mancare e la loro realizzazione non era mai casuale . Esso  era il vero pezzo forte della villa, dove  i vari nobili  si scatenavano nel mostrare la propria magnificenza.  Nell’alta aristocrazia si faceva a gara nell’avere il giardino più bello in quella zona. Tra i vari architetti  Impazzò la moda quindi di disegnare per i loro committenti dei  viali che conducevano a delle esedre a loro volta movimentate da vasche naturalistiche e giochi d’acqua in un gorgoglìo continuo. Essi  con il tipico regolare tracciato all’italiana , erano la naturale continuazione ed il coronamento esterno delle deliziose ville ,ed un continuo invito alla sosta in giardino.

Lungo una stretta striscia di terra delimitata dal Vesuvio e del golfo le ville vesuviane in maniera compatta con le loro facciate costituirono una compatta cortina dalla quale i giardini , solitamente collocati sempre sul retro erano poco visibili ai curiosi spettatoti .Le magnifiche ville che fecero meritare alla strada il nome di Miglio d’oro , vennero costruite e disposti spesso in successione in modo da costituire una compatta cortina di fabbriche, tutte allineate tra loro secondo un rigido schema, su suggerimento del duca Carafa, e patrocinato direttamente dalla Casa reale, secondo un asse ideale che collegava il Vesuvio al mare. Le ville avevano per la maggior parte la facciata esposta sulla reggia strada del Miglio in maniera tale da poter essere facilmente ammirate ed erano solitamente affiancate da ampie zone di sosta per lo scorrimento veloce delle carrozze, molto intenso durante le villeggiature e le feste all’epoca del regno dei Borbone.

I giardini  , solitamente non visibili, apparivano però subito visibili appena si aprivano i portoni della villa  lasciando i visitatori spesso con  il fiato sospeso colpiti da tale splendore . Erano giardini di delizia ma anche di quotidiana abitazione ad uso familiare che da uno stile ordinato e regolare tipico italiano modificò lentamente il suo aspetto in quello  inglese fatto di irregolari forme dove le piante avevano  libero modo di crescere e di esprimersi in sintonia con un nuovo modo dilagante di pensare europeo che costituì  il preludio a quella famosa rivoluzione francese che costò la testa poi a molti nobili aristocratici.

I giardini , quindi inizialmente simmetrici persero  lentamente la loro ordinata geometria ed ai vari viali contornati da piante di agrumi e viti tra secolari alberi di magnolia , spalliere di mirto, siepi di bosso e boschetti di lecci ornati da fontane , spesso create con pietra vulcanica si aggiunse un fiore fragile e sublime come la camelia che portata in Italia dal giardiniere e botanico inglese John Andrew Grafer su richiesta dell’ambasciatore Sir William Hamilton , divenne presto la regina assoluta di tutti i più bei giardini del regno .

Ad abbellire i giardini vi  erano colonne , busti , panche ,  bellissime statue spesso di ispirazione mitologica  ed un  immancabile effige di San Gennaro in qualità di simbolo anti-vesuvio, visto i suoi benefici poteri mostrati nella famosa eruzione  del 1767 . (si era conquistato il titolo sul campo di battaglia nell’eruzione del 1767, quando la lava si arrestò all’ingresso della città mentre tutto il popolo con padre Rocco in testa invocava pregando il suo aiuto). L’unico elemento contrario in questa bellissima suggestiva cornice  alla costruzione delle ville in quel luogo era  infatti proprio una temibile eruzione del Vulcano al quale provvedeva l’effigie demonizzatrice  di San Gennaro incapsulato sotto coperture di legno o in calco di gesso in nicchie più stabili.

Al giardino, spesso separato dalla villa, vi si poteva accedere per terrazze o scale con un immancabile viale lungo e largo spesso anche più di uno e talvolta incrociati tra loro, dove con un sistema di tralci e di viti si poteva ottenere il pergolato per amene passeggiate.

San Giorgio a Cremano era ricca di queste nobili ville . Tra queste vi ricordiamo :  villa Tufarelli , Villa Bonocore, villa Borrell, villa Caracciolo di Forino, villa Carafa di Percuoco , villa Carsana , villa Cerbone, villa F. Galante , villa G.a, Galante , villa Giarusso e Maria , villa Giulia o De Marchi , villa Jesu, villa Leone , villa Lignola, villa Marulli ,villa Menale, villa Maruller, villa Ocsia, villa Olimpia, villa Pignatelli di Montecalvario , villa Pizzicato, villa Righi,villa Savetella, villa Sinicropi , villa Ummarino , villa Zampaglione , villa Amirante, villa Cosenza , villa Tanucci, villa Bruno e villa Vanucchi .

Come vedete sono tante ma certamente quella piu imponente , caratterizzata sopratutto per il suo enorme  giardino è Villa Vanucchi che nell’ottocento  era un importante punto di riferimento  mondano  per tutta la nobiltà napoletana Nelle sue sale e nel suo giardino, infatti  era solita ritrovarsi  la Napoli murattiana e l’intelligenthia napoletana del tempo . Essa  si trova  nel cuore del centro storico di San Giorgio a Cremano,  lungo corso Roma , un tempo Via Teglie , in un luogo ,dove durante il medioevo si trovava un piccolo nucleo religioso legato al culto di San Giorgio , venerato quale santo protettore contro le calamità naturali  ( quindi contro la forza devastatrice del Vesuvio ) .

La storica villa vesuviana che fu dimora della nipote di Gioacchino Murat è, assieme a Villa Campolieto (Ercolano) e alla Reggia di Portici, il più importante e prestigioso edificio di epoca settecentesca dell’area vesuviana ed è, per estensione, tra le più grandi ville del ‘700 italiane.

Progettata dall’architetto Antonio Donnamaria , la villa ha una facciata frontale talmente ampia che non si riesce a vederla tutta dalla piccola e stretta strada a cui si accede. Essa si sviluppa su tre piani e come sempre osserviamo nelle villa vesuviane ospita una cappella ( dedicata all’Immacolata ), una sagrestia , la sala della musica ed un teatro ( ex scuderia ) .  La facciata posteriore invece  con una caratteristica doppia terrazza da cui si può ammirare il meraviglioso paesaggio del verde dominato dal Vesuvio . , articolandosi in una serie di arcate , logge e porticati si apre su un bellissimo giardino all’italiana per vastità inferiore solo al bosco reale di Portici,  Esso  progettato nel 1783 dall’architetto Pompeo Schiattarelli . partendo da un viale centrale  giunge ad una fontana in stile roccocò un tempo decorata da statue provenienti dai vicini scavi di Ercolano , opera dello scultore Antonio Parascandolo  . A seguire  , lungo il percorso del giardino si ritrovano quattro vasche laterali da cui si dipartono poi 14 viali a raggiera che giungono  fino al limite della proprietà. In fondo al al parco una piccola dependance chiamata romanticamente ” eremitaggio ” rappresenta l’edificio che fungeva da serbatoio di raccolta e distribuzione dell’acqua a tutto il giardino e alla fontana .

La villa fu acquistata nel 1775  da Giacomo D’Aquino di Caramanico ( gentiluomo di camera del re ) dai discendenti di Giovanna Battista Imparato . Al momento in cui fu acquistata il complesso edilizio era costituito da una “casa palazzata ” ed un casino ” alla romana ” con una masseria di 14 moggia in parte bosco . Il principe di Ciaramanico inizio la riqualificazione del parco e della villa solo qualche anno dopo trasformando tutta l’area dapprima destinata ad una funzione agricola in un bellissimo  “giardino delle delizie”  dominato da un’imponente villa  con  decorati capitelli e lesene corinzie che si alternano  con un doppio ordine di balconi  . Nel suo imponente atrio eran presenti  in quelle che oggi appaiono come nicchie vuote , delle belle statue in marmo ed il  busto del Principe di Ciaramanico rappresentato nelle vesti di un uomo abbigliato  come un romano in vesti classiche  e con il capo cinto di alloro .

La  ” Villa delle delizie  dei D’Aquino , detti di Caramanico  ”  ebbe il suo periodo di maggior splendore nell’ottocento , durante il regno francese di Gioacchino Murat , per le grandi feste restate memorabili che il Principe Tommaso D’Aquino e sua moglie Teresa Lembo , nipote di Murat offrivano agli ospiti. Fu a lungo un famoso  luogo d’incontro della nobiltà napoletana e  si racconta che quando alle  sontuose feste che vi si tennero arrivava re Gioacchino , il numero di coloro che lo  accompagnavano era talmente alto da sembrare … un popolo.

….. or quando Gioacchino veniva quà, è chiaro che non vi poteva venir da solo ma il numero di coloro che s’invitavano ad accompagnarlo era tanto strabbocchevole che lo avresti detto un popolo ….i gelati ed i rinfreschi , durante il tempo di quelle veglie si portavano attorno con tanto eccesso , che era un grande scialacquamento ….

Si dice a proposito di questa villa che essa era particolarmente amata dalla principessa Teresa , nella quale continuamente spendeva le sue fortune al gioco , al punto da consumare in una sola notte più della rendita di un anno ( più di duecento mila ducati ). In verità in tutta l’area vesuviana negli anni francesi ( 1808- 1815 ) si visse una felice stagione per gli amanti del gioco al punto che Torre Annunziata fu anche curiosamente  soprannominata ” Gioacchinopoli “.

Nella seconda metà dell’Ottocento la villa fu venduta al conte Lorenzo Van den Henvel,   Nel 1912 fu poi acquistata da Giuseppe  Vannucchi dalla contessa Anna de Iorio ( vedova del conte Ruggero van den Heuvel  ) . La famiglia Vannucchi   l’ha poi ceduta al Comune di San Giorgio a Cremano, che dopo un accurato restauro, è riuscita finalmente a  riaprirla  al pubblico nel 2009.

Guardando oggi questa immensa e magnifica villa non si può fare a meno di immaginare nobili e borghesi con sontuosi vestiti , danze , musiche e risate … è come guardare un immaginario passato in un film in costume dell’ottocento

A proposito di film ..sapete  che nella Villa Vannucchi furono effettuate le prime riprese del film “Ricomincio da tre” con Massimo Troisi e Lello Arena ?

San Giorgio a Cremano  è oggi  anche e forse sopratutto ricordata per essere  stata la città  in cui sono nati  il grande imitatore e  shoman Alighiero Noschese, ed il  grande  e ancora mai troppo compianto attore , comico e regista  Massimo Troise , ma è  anche   il luogo dove hanno  abitato   come prima accennato il  magnifico pittore Luca Giordano ed il ministro di casa borbonica Bernardo Tanucci  che qui aveva un suo «casino con masseria»  dove morì il 30 aprile 1783 .

Il nome della città,  pare che derivi da un lato dal nome del  Santo Patrono San Giorgio e dall’altro dalle continue eruzioni del Vesuvio che per la sua posizione geografica ha dovuto subire nel corso dei secoli . Cremano  infatti secondo molti  farebbe riferimento a “cremato”  e deriverebbe  da  eruzioni vulcaniche , la cui lava  avrebbero appunto cremato una striscia di terra del luogo. . Questa affascinante tesi però  non trova tutti gli studiosi concordi e  non esistendo  attualmente sufficienti documentazioni a sostenere tale ipotesi ,  alcuni sostengono che secondo un recente studio il toponimo ” Cremano ” deriverebbe dal nome di un antico proprietario terriero di nome ‘Cambrianus’ attestato in quella zona.

Secondo la loro tesi il  territorio di San Giorgio a Cremano,  non è  mai stato completamente distrutto dalla lava del Vesuvio ed esso è solo simbolicamente legato al fuoco del Vesuvio . A tal proposito appare interessante una scrittura lasciataci dall’abate Giuseppe Maria Mecatti  datata 1734 che a proposito di eruzioni  racconta : ……camminò questo fuoco quattro giorni , avendo recato qualche poco danno a quei di Resina , ma non di grande rilievo , fermandosi a San Giorgio  a Cremano poco più di un miglio distante dal mare …

San Giorgio è il santo che secondo la tradizione salvò, alla fine del X secolo, gli abitanti  del luogo da una terribile eruzione del Vesuvio avvenuta alla fine del X secolo .  Da quel momento gli abitanti locali , riconoscendo in lui una grande fama di combattente , lo scelsero come sento protettore capace di aiutarli contro le insidie dei nemici ma sopratutto contro le future eruzioni . Teniamo anche conto che molte terre e possedimenti nella zona vesuviana appartenevano alla chiesa di Forcella San Severo che veniva anche chiamata di S. Giorgio e il culto del santo era gia  pertanto  molto diffuso e popolare tra i poveri ed i contadini della zona.

L’area dove si estende attualmente il comune di San Giorgio era  già popolata ,  in epoca romana tra il II ed il IX secolo d. C. con piccoli modesti insediamenti . Le numerose eruzioni del Vesuvio susseguenti a quella famosa del 79   resero  poi il territorio su cui ora si stendono San Giorgio a Cremano e i comuni limitrofi sostanzialmente disabitato fino alla fine del IX secolo .Essi prima della spaventosa eruzione del 1631 era totalmente ricoperta da fitti boschi che attraversavano il territorio dalle pendici della montagna fino alla linea di costa  Tali territori erano genericamente denominati Foris Flubeum, ad indicare che erano separati da  Napoli dal corso dell’antico fiume Sebeto .

 

In  epoca ducale , intorno all’anno 877 invece il tratto costiero era inizialmente occupato da un gruppo di saraceni su permesso del duca di Napoli Sergio II. Questi infatti per tutelarsi da un’eventuale invasione da quel lato della città da parte dei longobardi , aveva stretto con questi saraceni  un   patto  con il quale in cambio della concessione terriere questi si impegnavano non solo si impegnavano  ad aiutarlo in caso di attacco longobardo ma riconoscevano al duca una gabella su tutti i loro saccheggi

La stessa politica fu seguita dal suo successore e fratello, il Vescovo-duca Atanasio II   che si serviva degli stessi saraceni non solo come baluardo contro gli acerrimi nemici longobardi ma addirittura come mercenari   perché conducessero da lì vere e proprie azioni militari contro tutti  i suoi nemici . I saraceni ovviamente animati da mania di conquista , dopo poco tempo gli si rivolarono contro e solo dopo violente battaglie essi furono definitivamente scacciati via dal territorio dall’esercito ducale dello stesso Atanasio II.  

Con l’andar via dei saraceni , si provvide ad una importante opera di bonifica dell’intero  territorio  che finì con il favorire l’insediamento di alcuni primi coloni ed il costituirsi di  un primo nucleo abitativo stabile e all’edificazione di una piccola cappella votiva consacrata a San Giorgio (nella zona detta Capitiniano ,pressappoco l’attuale cimitero ) dove poi , alla fine del sec. XI fu edificata una chiesa, attorno alla quale si sviluppò un primo vero Casale con il nome di San Giorgio a Capitiniano. Il territorio era caratterizzato da una grande pianura che  dalle acque del golfo risaliva. lentamente fino alle pendici del Vesuvio che veniva  di tanto in tanto interrotta da corsi d’acqua che formavano spesso vaste zone acquitrinose . Successivo ad esso si costituirono poi altri piccoli  nuclei urbani e  ville suburbane alle quali erano annessi ampi appezzamenti di terreno produttivo  dove si coltivavano vite , cereali, ortaggi e frutta di varie specie  che lentamente e gradualmente portarono a trasformare  l’antico bosco in un prezioso terreno agrario.

Con il passare del tempo il Casale cominciò a svilupparsi verso il mare nella zona detta Cramano, tanto da cambiare nome in San Giorgio a Cramano, ( 1334 ) . Inizialmente  si vennero a creare  due diversi  quartieri abitativi :  il quartiere di sopra e quello di bascio, che intanto aveva assorbito l’antico casale di S.Aniello a Cambrano.

Il centro cittadino rimase però la parte alta, dove nel frattempo la chiesa di San Giorgio Vecchio prendeva l’aspetto attuale a tre navate in stile gotico   Solo nel 1570, con l’edificazione della chiesa di Santa Maria del Principio, la vita religiosa del Casale, e con essa quella cittadina, si sposta nella parte bassa. Tuttavia, la violenta eruzione del 1631 colpisce duramente San Giorgio, distruggendo il centro cittadino, la chiesa di Santa Maria del Principio e i documenti storici in essa custoditi. Solo poche costruzioni furono risparmiate, come la stessa chiesa di San Giorgio Vecchio e la cosiddetta Torre Ummarino. Nel 1670 viene ricostruita la chiesa di S. Maria del Principio, sulle rovine della precedente e il Casale cominciò nuovamente a ripopolarsi anche perchè favorita dall’aristocrazie fondaria che vedeva il territorio come luogo degli investimenti agrari .Le favorevoli condizioni climatiche e la natura dei terreni consentirono infatti uno sviluppo intensivo dell’agricoltura che portò ad un conseguente maggior benessere generale ed un gran miglioramento  delle condizioni di vita di tutti gli  abitanti . Migliorò  di conseguenza la tipologia dell’edilizia che vide il formarsi di grandi masserie e numerose nuove residenze cittadine.

La città conobbe un periodo florido sotto il dominio spagnolo ed ancor più sotto i Borbone, grazie alle iniziative promosse da Carlo II di  , che diede impulso alle attività economiche dell’intera area vesuviana .  Fu in quel periodo che la città divenne luogo di villeggiatura di famiglie nobili napoletane, come testimoniano le numerose ville settecentesche , tra queste  anche la Villa Marulli  in viale Bernabò dove abitò Luca Giordano ,e  Villa Tanucci, residenza estiva  di Bernardo Tanucci  ( portata in dote dalla moglie )  ministro del re di Napoli  Carlo di Borbone .

Questa sua residenza estiva  nonostante l’importanza del proprietario,  si caratterizzava per un’estrema semplicità di forme e strutture anche se lo stesso poteva se avesse voluto adornare la sua dimora con molti dei reperti degli scavi di Ercolano di cui si occupava personalmente.

Una  dimostrazione della sua onestà che deriva anche  dal fatto che durante i suoi 22 anni di governo non si arricchì di ville o tenute e nonostante fosse un uomo molto in vista , abitava in città nell’odierna Via Gennaro Serra in un semplice appartamento , mentre subito dopo il suo allontanamento , il marchese della Sambuca che prese il suo posto andò all’assalto dei beni dei gesuiti. Appena nominato segretario di stato, Sambuca senza sborsare un centesimo s’impadronì mediante uno stratagemma della vasta tenuta di Rinazzo nel territorio di Marsala. E poi acquistò, pagando prezzi irrisori, altri sette grossi feudi nella zona di Mazzara.
In epoca borbonica pur di stare vicino al re molti scelsero   San Giorgio come cittadina a buon mercato dove costruirvi una propria dimora per godere in qualche stagione dell’anno di un po’ di fresco e silenzio che questi luoghi anticamente offrivano.
Dopo l’unità d’Italia San Giorgio a Cremano , come d’altronde l’intera area vesuviana , subì un periodo di decadenza, pur restando un apprezzato e ricercato luogo di villeggiatura. Fino a qualche decennio fa ( poco più di 50 anni ) San Giorgio era infatti , ancora un luogo fatto di piccole abitazioni rurali dove tra  antichi vigneti e gente cordiale , respirando aria salubre si era soliti passeggiare in tratti di campagna dai quali potevi ammirare il maestoso Vesuvio da un lato e divertirsi a riconoscere dall’altro  in un suggestivo panorama le isole del golfo . Un piccolo paradiso dove poter dialogare contemporaneamente con il vulcano ed il mare in una cornice caratterizzata dalle meravigliose ville del settecento  concepite come luogo di diletto e piacere.  Era fino a qualche decennio fa come ci narrava Matilde Seara nei Mosconi pubblicati sul ” Mattino ” il luogo in cui si svolgevano feste e matrimoni , battesimi e concerti , fidanzamenti e corteggiamenti …
L’ intera area vesuviana e con essa San Giorgio è stata in questi ultimi decenni poi  per lungo  tempo dimenticata e con essa le sue ville .Le sue belle piccole abitazioni rurali invase da una indicibili orrenda colata di cemento sono stare oggi quasi completamente distrutte e rimpiazzate da un’anonima  edilizia di sostituzione .Il suo bellissimo paesaggio è un  ambiente  oramai scomparso , e con  esso i modi ,  e le abitudini dei suoi abitanti .
Oggi purtroppo si è completamente perduto il legame con questo straordinario paesaggio ed il suo contesto agricolo che fino alla seconda guerra mondiale era ancora presente . La  speculazione edilizia, ha  stravolto il  territorio  minacciato continuamente da  distruzione ,  trascuratezza e degrado .
Eppure qualcosa resiste al tempo . All’inizio degli anni settanta l’Ufficio Commercio del Comune di San Giorgio a Cremano registrava la presenza di 58 aziende tessili. Micro-imprese, dove abili mani confezionavano ogni giorno migliaia di camicie destinate al mercato italiano e a quello estero. È il retaggio di un’antica tradizione che risale alla metà del Settecento, quando le seterie della zona si erano specializzate nella produzione di camicie, da giorno e da notte, allo scopo di soddisfare le richieste dei nobili più alla moda.

Qualcuno e qualcosa si muove . I restauri di Villa Bruno e di Villa Vanucchi sono un esempio che ci autorizza a sperare in un nuovo corso ed un nuovo rinascimento culturale di un luogo dove ancora oggi ogni volta quasi per magia vengo avvolto da un misterioso senso di pace dovuti alla tranquillità dei luoghi ed alla grande ospitalità  e gentilezza dei suoi abitanti .

E non vi nascondo la continua tentazione di affannarmi talvolta  alla ricerca di quelle famose ville capaci di riportarmi  indietro nel tempo per affacciarmi ai loro ingressi . Essi vanno scovati tra nuovi anonimi edifici del novecento e spesso  sono nascosti tra  alte mura di monotoni rioni popolari .

Come si fa a non essere incuriositi di vedere quale è la via Cavalli di Bronzo ?  ….e come si fa a non sostare per qualche minuto , magari fermandoti i a gustare  un buon caffè , in Largo Taralli  ( oggi Piazza Troisi   ?

Questa piazza fu in passato un importante punto di riferimento per la popolazione . Qui si fermavano i tram a cavallo , e sempre qui tra aiuole e antichi chioschi si radunavano i cittadini per trascorrere ore di svago in compagnia . E sempre qui fu realizzata una stazione della Circumvesuviana.

In questo posto due artisti siciliani“Rosk&Loste” hanno  realizzato dei splendidi murales  raffiguranti  i due noti personaggi che in epoca moderna hanno reso onore alla memoria della cittadina di San Giorgio  : Massimo Troise e Alighiero Noschese .

Sulla facciata del palazzetto dello sport  possiamo invece ammirare sempre dedicata a Massomo Troisi un’ opera dello street artist Jorit ,  il  murales dedicato al ricordo di uno dei più amati personaggi partenopei fu realizzato da  Jorit   in occasione di quello che sarebbe dovuto essere stato ilil sessantaquattresimo compleanno dell’attore .
Il  murales è composto da tre delle più famose scene di alcuni suoi film.

La prima è quella del miracolo tratta dal film Ricomincio da tre, dove è ritratto in una scena con Lello Arena , la seconda immagine ricorda  la scena di Non ci resta che piangere dove  Troisi e Benigni scrivono una lettera al Savonarola e l’ultima ritrae il bacio tra Troisi e la Cucinotta nel Postino.
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Murale di Jorit a Napoli, dedicato a Troisi
Murale di Jorit dedicato a Troisi

 

CURIOSITA’:

Nei racconti delle nonne  presenti in alcuni posti storici della cittadina di San Giorgio ,può capitare di sentire ascoltare ,  una strana leggenda popolare circa  alcuni fantasmi presenti in  una fabbrica  ormai abbandonata…e mai più rimessa in vita.  Si tratta della famosa ex fabbrica che tutti credono sia delle …. bambole ma che in realtà è delle  … bombole .
Da anni, le persone che vivono a ridosso della fabbrica, o comunque appartenenti alla zona, giurano di ascoltare talvolta tutti i rumori e il vociare di una fabbrica ancora in vita, anche se essa è oramai chiusa da tempo.
Molti anni fa la fabbrica fu divorata da un tragico incendio, dovuto ad uno sbaglio tecnico da parte degli operai; si trattò di un incidente, il quale però costò la vita a numerosi lavoratori, morti in quei locali, uccisi dalle fiamme.
Secondo molti racconti fatti da anziane persone ed oramai divenuti popolari , in certi periodi, soprattutto a gennaio, mese al quale si fa risalire l’incendio, la fabbrica prende vita. Voci di uomini, rumori di attrezzi e di apparecchiature si odono come nulla fosse cambiato . Molte persone sono disposte a giurare , di aver visto dai finestroni mal ridotti e abbandonati, i bagliori del fuoco, i lapilli e le fiamme. Pare, insomma, che ogni volta, si ripeta la giornata dell’incendio in un macabro replay, fino al momento della fine. La stessa scena prende vita come se quegli animi, non rassegnati alla fine, ripercorressero i momenti della loro morte terrena.

 

 

 

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