Appuntamento in Piazza del Municipio .

La piazza come potete vedere sorge davanti  a quello che e’ stato definito il  piu’ grande castello del mediterraneo .
I  napoletani lo chiamano Maschio Angioino, mentre il suo nome originale e’ Castelnuovo , per distinguerlo dal vecchio Castel dell’Ovo e forse anche da Castelcapuano.
Il nome ‘Maschio pare deriva dal fatto che con tale nome viene indicato il torrione piu’ importante di un castello  mentre il nome Angioino ‘ deriva dal fatto che  fu fatto edificare da Carlo I di’ Angio’.

La grande, bellissima piazza ,si allunga dinanzi al castello lievemente degradante verso il mare da dove possiamo notare il cono del Vesuvio . Sul versante mare arriva fino al porto e alla vista dei giardini del Molosiglio ( Müelle = sillo cioe’ piccolo molo )
Sul lato opposto invece , alle spalle di Palazzo San Giacomo possiamo ammirare come sfondo, in alto ,  la collina di San Martino con la bianca Certosa e il Castel San’Elmo.
L’ampio piazzale del Municipio fino al secolo scorso era chiamato < Largo del Castello > e  la sua costruzione come lo vediamo adesso lo si deve a Don Pedro de Toledo che la spiano’.

Ora sedetevi comodi sul pratone del castello che vi raccontiamo qualcosa di carino sulla storia della piazza e del suo castello .

Il largo ha sempre avuto una vita alquanto animata ; e’ sempre stata nel passato una zona di venditori ( anche merce rubata) , ambulanti , mercanti , mercato di fiori , uccelli , ma anche meta di furfanti di ogni genere , nonche’ di ciarlatani che smerciavano ogni sorta di rimedi o reliquie ambitissime.
Molti comici in questa piazza recitavano sui banconi divertendo il popolo  che godeva ugualmente  di alcuni  spettacoli pur non potendo accedere al teatro di corte nell’interno del castello .Tutto questo grazie al fatto che alcuni commedianti  pur recitando nelle mura per il re , non disdegnavano talvolta di prodursi sui palchi improvvisati nella piazza .  Questo avvenne fino a quando Michele Tomeo ( un impresario del tempo ) non penso’ di affittare uno scantinato e ne fece un piccolo teatro che veniva chiamato ” o fuosso ” e poi ‘ la cantina ‘.Di fronte  a tale ” fuosso ” , 40 anni dopo, un tal Brancaccio costrui’ un baraccone ad uso teatro che fu denominato San Carlino (in contrappunto ironico al Teatro San Carlo della corte regale ) che divenne il  teatro comico per definizione nella Napoli del 700/800.
Fu ‘ il palcoscenico del Pulcinella della stirpe del Petito ed il luogo di battesimo del ‘ Felice sciosciammocca’ di Scarpetta.
Il baraccone funziono’ ‘ fino al 1759 allorche’ fu demolito nel 1884 per la sistemazione della Piazza ; i suoi cimeli sono fortunatamente custoditi nella sezione teatrale del Museo di San Martino , con il modello al vero della scena.
Tomeo , figlio di Michele , chiese allora il permesso a re Ferdinando IV di costruire un teatro nuovo usufruendo delle cantine e di altro bassi contigui . Ebbe il permesso nel 1770 e da questo momento inizia la vera vita del San Carlino che divenne la sede  della piu’ famosa maschera del mondo < PULCINELLA> . Ne era allora interprete sublime Vincenzo Cammarano , soprannominato Giancola , che godeva del favore di sua maesta’ Ferdinando IV , ma il piu’ grande interprete di Pulcinella di tutti i tempi fu Antonio Petito , morto in scena nel 1876.
Il grandissimo attore e commediografo Edoardo Scarpetta sostitui’ alla maschera di pulcinella il suo inimitabile ‘ Felice sciosciammocca ‘ macchietta di grande successo .
Purtroppo il 6 maggio 1884 nel quadro del risanamento , il San Carlino fu abbattuto e scomparve cosi’ quello che era stato per piu’ di un secolo il tempio della risata ed un palcoscenico che aveva nutrito generazioni di attori.
Non basta a colmare la perdita l’esistenza sulla piazza di un altro piccolo ma glorioso teatro ” il Mercadante ” .

Piazza Municipio e’ oggi un cantiere in pieno fervore , sotto la Piazza , durante il corso dei lavori per la Metropolitana , vicino al Castello e’ stato ritrovato l’ubicazione esatta dell’antico porto di Neapolis . I lavori hanno portato alla luce nuove scoperte archeologiche ( imbarcazioni di epoca romana , fondazioni portuali , anfore da trasporto etc.) .
Sono riemersi dalla terra circa 200 reperti, derivati dalle antiche attivita’ commerciali : balsamari , monete , ceramiche, suole in cuoio di sandali romani , pentole in terracotta , anfore , attrezzi da marinaio , ancore etc.
All’inizio del 400 il porto si impaludo’e successivamente fu ricoperto dal cemento della strada ; a quel punto il mare invece di essere pieno di pesci , era carico di tesori abbandonati.
L’architetto portoghese Alvaro Siza insieme al collega Eduardo Santo de Moura , sta mettendo a punto il progetto per la nuova stazione della metropolitana di Piazza Municipio: un impianto che unira’ la tecnologia con gli antichi resti romani e greci , dove persino le mura diventeranno parte della copertura della stazione .
Un connubio unico tra antico e contemporaneo ; una stazione metropolitana che sara’ anche un polo museale e dove i viaggiatori potranno ammirare i reperti archeologici all’interno dei lunghi corridoi di vetro e metallo .
Se la Metropolitana partenopea , era gia’ stata definita dal Telegraph , la piu’ bella d’Europa , questa e’ destinata ad esserne il vero fiore all’occhiello .
LA STAZIONE PIU’BELLA DEL MONDO

In Piazza dinanzi al palazzo San Giacomo e’ stata collocata la Fontana del Nettuno , spostata dal vecchio sito di via Medina . Il celebre monumento spagnolo fu realizzato nel 500 da Giovanni Domenico di Auria su disegno di Domenico Fontana .

 

Il Maschio Angioino fu inizialmente costruito da Carlo d’Angio subito dopo  la conquista del regno di Napoli, in quanto egli ‘trasferita ‘ la capitale del regno da Palermo  a Napoli volle subito edificare una nuova fortezza con un nuovo sistema difensivo ritendo Castel Capuano meno sicuro .
Il luogo scelto per la costruzione del nuovo castello stava fuori le mura della citta’ ,in prossimita’ del mare , prospiciente il largo delle corregge ( attuale via medina ) , dove sorgeva una chiesa intitolata ‘Santa Maria del Palazzo’ : Carlo d’Angio’indennizzo’ i frati francescani e concesse loro un’area nella cinta urbana , dove i frati eressero una nuova chiesa che fu chiamata Santa Maria la Nova.
Il nuovo castello cominciato nel 1279 e terminato nel 1282 fu chiamato appunto Castel Nuovo .
Re Carlo non riusci’ a godersi la sua nuova reggia, e fu il figlio Carlo II ad usufruire del castello . Da fervente cattolico , trovo’ il luogo privo di spazi riservati alla preghiera e provvide a rimediarvi con la costruzione di due cappelle private e di una ad uso pubblico. Sulla torre detta ‘ del Beverello ‘ prospiciente il mare, fece costruire un giardino pensile che popolo’ di ogni specie di animali.
Durante il regno di Roberto d’Angio ‘ divenne un vivace centro culturale e vi soggiornarono personaggi come Giotto, che affresco’ le pareti delle cappelle ( di queste opere purtroppo non e’ rimasta traccia) e altri illustri personaggi come Petrarca e Boccaccio .
La sua fastosa corte fu teatro di uno degli eventi piu’ importanti della storia medievale : la rinuncia al trono papale di Celestino V ( Pietro da Morrone )
Tra queste mura e precisamente nella sala maggiore del castello ,Celestino V , ospite di Carlo II d’Angio ‘ fece ” per viltade il gran rifiuto “e abdico’ dal soglio papale lasciando via libera a Bonifacio VIII che lo fece poi uccidere.
Nel gennaio del 1348 per vendicare il fratello Andrea, marito di Giovanna I d’Angio’,morto assassinato, Luigi d’Ungheria occupo’ Napoli e prese possesso di Castel Nuovo mentre la regina , con il nuovo marito. cercava riparo in Provenza .
Un anno dopo , dopo 5 mesi di assedio ( il primo assedio sostenuto nella sua storia ) il castello ritornava in possesso di Giovanna d’ Angio’ .
Altri assedi vi furono nella lotta tra Angioini e Durazzeschi per la successione del regno , terminata con la vittoria di Ladislao di Durazzo.
Castel Nuovo vide la dissolutezza delle due Giovanna ed il trionfo di Alfonso d’Aragona, il quale trovandolo in uno stato deplorevole per le guerre e gli assedi , lo fece ricostruire quasi nuovo, munendolo di altre torri e di una cittadella , della quale oggi e’ rimasto solo l’arco della porta di accesso , visibile sulla sommita’ del prato sul margine del fossato occidentale .
L’Arco trionfale , opera magnifica del rinascimento italiano fu voluta da Alfonso d’Aragona per eternare il proprio trionfo ma non poté vederne la fine , perche’ l’ opera fu portata a termine dieci anni dopo la sua morte , a causa della sospensione dei lavori dovute alle guerre ed alle epidemie.

Il grandioso e celebratissimo arco in marmo bianco mostra due grandiose porte di bronzo : nell’ anta di sinistra e’ conficcata una palla di cannone .
Quando il re dei francesi Carlo VIII, fuggi da Napoli , depredandola di tutto , fece imbarcare su una delle galee anche le porte di bronzo . Queste furono messe sui fianchi delle navi come scudi . Nella successiva battaglia nei pressi di Genova , uno dei battenti fu colpito da una palla di cannone . I genovesi vincitori si impossessarono delle navi e le porte del castello ritornarono a Napoli.
In verita’ queste porte fecero gola anche ai piemontesi , che nel 1860, le stavano smontando per portarle a Torino . Esse rimasero al loro posto solo per il pronto intervento del popolo napoletano .
Nell’agosto del 1486 Castel Nuovo vide l’arresto , la prigionia,e poi il supplizio dei baroni ribelli, attirati nel castello da Ferrante d’Aragona con inganno . L’arresto avvenne nella gran sala che tutt’ora e’ indicata come ” la sala dei baroni ” .
Il 13 novembre 1486 , alla presenza della nobilta’ e del popolo fu pronunciata la dura sentenza di morte per Antonello Petrucci , il conte di Sarno , il conte di Carinola ed il conte di Policastro .
Questa sala ,  e’ oggi  sede del consiglio comunale .

Nel 1599 vi fu imprigionato Tommaso Campanella , il filosofo autore della ‘ citta’ del sole’.
Egli subi’ numerose torture che poi continuarono nelle segrete di Castel Sant’Elmo per molti anni .
Numerose sono le leggende e i segreti che nasconde il castello :
Il filosofo Benedetto Croce scrive : . .. era in quel castello una fossa sottoposta al livello del mare , oscura , umida , nella quale si solevano cacciare i prigionieri che si voleva piu’ rigidamente castigare , quando ad un tratto si comincio’ a notare con stupore che, di la’ , i prigionieri sparivano . Fuggivano ? Come mai ? Disposta una piu’ stretta vigilanza , allorche’ vi fu cacciato dentro un nuovo ospite , un giorno si vide, inatteso e terrifico spettacolo, da un buco celato della fossa , introdursi dal mare un mostro , un coccodrillo che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero, e se lo trascinava in mare per trangugiarlo ……
Da quel momento , spiega Croce , l’ animale presumibilmente venuto dall’Egitto , attaccato ad una nave , fu utilizzato per eliminare i prigionieri condannati a morte . Un specie di ghigliottina naturale che non lasciava tracce .
Quando poi giunse il momento di disfarsi della bestia , fu utilizzata un’ancora come amo e una coscia di cavallo come esca; dopo essere stato pescato , il coccodrillo venne impagliato . E il mostro impagliato si vide sulla seconda porta d’ingresso, fino a tanti anni orsono, additato ai fanciulli , che ne rimanevao atterriti …..
Del famoso coccodrillo , non vi e’ piu’ traccia; nei primi anni del 2000 , la scoperta di resti animali nello scavo archeologico di un cantiere del metro’ della zona , aveva acceso di entusiasmo qualche osservatore , ma la storia si e’ poi rivelata una mezza bufala , anzi un vera mucca ( lo scheletro) .
Tra le mura, visitabili , ci sono gli ambienti sotto la cappella Palatina , la cosiddetta ” fossa del miglio ” perche’ la corte Aragonese lo usava come deposito di grano ( identificata come la fossa del coccodrillo ) e quello noto come ” prigione dei baroni ” dove si trovano i resti dei baroni che erano vestiti secondo la moda del tempo e uno di loro , un prelato , mostrava i segni di una morte per soffocamento .
Altri sotterranei del castello furono usati come prigione sono poi quelli della Torre dell’ oro , Torre di guardia e Torre di S. Giorgio
Nel 1532 , in piena dominazione spagnola , il vicere’ don Pedro de Toledo decreto’ che nel rifacimento urbanistico della citta’ fosse data priorità alla ristrutturazione di Castel Nuovo . Fece ricostruire i torrioni del Molo , della Incoronata , di Santo Spirito e del parco , ma i soldi ben presto finirono e mancavano ulteriori fondi per rifare la torre del Beverello .
I soldi mancavano e il popolo era gia’ stato spremuto all’osso e un’ennesima gabella avrebbe certamente prodotto una rivolta .
Il vicere’penso a lungo e infine, osservo’ che le uniche a sfuggire ai gabellieri erano le prostitute. Impose quindi una esosa tassa sulla prostituzione : le donne che si accompagnavano ai soldati spagnoli dovevano cedere tre quarti del compenso pattuito .
I soldi cosi’ ricavati furono utilizzati per ricostruire la torre che da allora i napoletani chiamano ” la torre dellu Maluguadagno “. Da quel giorno le prostitute ritennero proprieta’ privata la zona sottostante il bastione , e di conseguenza preferenziale loro luogo di ritrovo.
Dal sottosuolo , nel novembre del 1997, si e’ scoperta una necropoli bizantina con gli scheletri di una cinquantina di misteriosi cavalieri del VI-VII secolo , seppelliti con le loro armi .

Rimettiamoci in moto e rechiamoci verso il Municipio .

Il palazzo che ospita il municipio e’ il vecchio palazzo San Giacomo che nacque come quartiere generale dei ministeri borbonici e delle segreterie di Stato .
Fu concepito dagli architetti Gasse ( Stefano e Luigi) con facciata in stile neoclassico e tre portali ; da quello centrale si accede al vestibolo con le statue di Ruggero il Normanno e Federico di Svevia di Antonio Cali’ .

Palazzo San Giacomo deve il suo nome al fatto che precedentemente sorgeva al suo posto un convento ( su commissione di Pedro de Toledo ) con funzioni di ospedale destinato alle cure degli infermi e degli indigenti di nazionalita’ spagnola. Il tutto ancora testimoniato dalla presenza della chiesa del 500 di San Giacomo degli Spagnoli.
Per supportare economicamente il complesso nacque il Banco di San Giacomo ( che venne soppresso insieme a chiesa e ospedale da Gioacchino Murat nel 1809) poi accorpato e trasformato con la restaurazione borbonica nell’antenato del Banco di Napoli , il Banco delle due Sicilie.
Nel 1816 re Ferdinando I decide di costruire un nuovo palazzo per i suoi ministri e sceglie l’ area di un complesso appartenente alla confraternita dei nobili spagnoli di Santiago .
Questi era formato da una chiesa ( di San Giacomo ) , un carcere per gli spagnoli ed il banco di San Giacomo . Tutti questi edifici furono abbattuti meno la chiesa tutt’ora incorporata in quello che e’ chiamato Palazzo San Giacomo .
Nella chiesa vi e’ il sepolcro di don Pedro de Toledo eseguito da Giovanni di Nola .
Il sepolcro mostre il vicere’ in preghiera raffigurato a grandezza naturale insieme alla moglie Maria Ossorio Pimental.
Il monumento e’ famoso e conosciuto per la presenza di due statue piuttosto “scollacciate “.

 

Nel Palazzo San Giacomo , sul pianerottolo della prima rampa dello scalone , nell’atrio tre le due rampe che portano al piano superiore poggiata su un basamento di piperno troviamo una testa femminile in marmo del periodo greco , ritrovata nel 600 nei pressi di Piazza del Mercato : MARIANNA ” A CAPA E NAPULE” .

 

Questa statua nel tempo e’ divenuta un’immagine simbolo della città’ ed  il popolo fini’ per chiamarla  affettuosamente ~. DONNA MARIANNA A CAPE E NAPULE ~.
Non è chiaro quando la “Capa di Napoli” sia stata soprannominata “Donna Marianna”; secondo alcuni l’appellativo le fu dato nell’Ottocento, quando venne collocata di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata. Qui era conservato anche un busto della Santa commemorata durante la festa di Sant’Anna; per quest’analogia con il busto e con la Santa, forse ‘a Capa ‘e Napule divenne “Donna Marianna”.
Durante la festa religiosa in onore di Sant’Anna, le popolane avevano il compito di abbellirla con fiori e nastri per poi inscenarvi danze e balletti tutt’intorno.
La grande testa di marmo si vuole che fosse la statua della sirena Pertenope , la mitica fondatrice di Neapolis , che si trovava sulla collina denominata appunto ‘ Caponapoli’ dove c’era il sepolcro della sirena .
Altri dicono che si trattasse dei resti della statua di Cibele (Rea) madre di Zeus che doveva probabilmente essere collocata come statua di culto all’interno di un tempio della Neapolis romana.
Le sue fattezze e in particolare l’acconciatura dei capelli hanno fatto dire agli esperti che si tratta di una statua greca erette dov’e ora la chiesa di San Lorenzo Maggiore .
Nel vissuto quotidiano la Capa ‘e Napule non godeva di una buona fama; infatti, chiunque avesse la testa grossa e informe era solitamente schernito dalle popolane con il detto: Me pare donna Marianna, ‘a cape ‘e Napule.
Ci riferisce il Summonte , che un certo Alessandro di Miele trovo’ la statua abbandonata , la fece mettere su una base di piperno e la colloco’ nei pressi della chiesa del Carmine in Piazza Mercato , di fronte alla chiesa di San’Eligio in modo che dalla sua casa potesse vederla.
Da quel punto do osservazione , donna Marianna , e’ stata testimone dei piu’ importanti avvenimenti storici della nostra città’. Partecipe di ogni evento rivoluzionario che ha lasciato su di essa le tracce della violenza e del vandalismo .
Di solito la povera Marianna ci rimetteva il naso , che sedati i tumulti , veniva puntualmente rifatto spesso da mani inesperte che davano a quel volto un aspetto ridicolo .
Inoltre gli improvvisati restauratori verniciavano la statua con soluzioni biancastre che cancellavano la patina del tempo , l’ unica bellezza che essa potesse vantare.
Alla fine dell’800 , la statua rimase ancora senza naso e gliene fu rifatto uno nuovo che dovrebbe essere quello visibile oggi . Non e’ un capolavoro ma puo’ andare!
Nel 1961 Donna Marianna entrò a far parte della Collezione del Museo Filangieri. Dopo poco fu trasferita a Palazzo San Giacomo.

Ponendoci di faccia al palazzo del municipio proseguiamo  ora il nostro itinerario  sulla nostra sinistra in direzione di Piazza del Plebiscito .

Incontreremo prima l’ingresso dei giardini che si trovano alle spalle del palazzo reale dove
un tempo erano presenti piante rare , magnificente di ogni genere e persino animali feroci , destinati anni dopo a scomparire per ordine del vicere’ don Giovanni d Austria dopo che il suo paggio era stato divorato dai leoni .
Alla cancellata del giardino reale , troviamo collocati due cavalli ‘ russi’ che tutti credono di bronzo mentre invece sono di ferro fuso , portati in dono nel 1846 dallo Zar di tutte le Russie Nicola I , in occasione della sua visita ufficiale a Napoli.

 

Poco piu’ avanti sullo stesso lato troviamo invece il famoso teatro San Carlo

Il Teatro di San Carlo , gia’ Real Teatro di San Carlo , e’ uno dei Teatri piu’ famosi e prestigiosi al mondo .
E’ il piu’ antico teatro d’opera in Europa e del mondo con una data di nascita che anticipa di 41 anni la Scala di Milano e di 55 la Fenice di Venezia.

E’ il teatro lirico di Napoli , ma rappresenta da sempre il tempio lirico italiano. Esso è stato costruito nel 1737, per volontà del Re Carlo di Borbone fortemente intenzionato a dare alla città un nuovo teatro che rappresentasse il potere regio.
Nel 1736 , re Carlo Borbone di Napoli , informo’ la casa degli Incurabili che il Teatro San Bartolomeo , nonostante i lavori di ingrandimento , non rispondeva piu’ alle esigenze della corte per cui occorreva costruire un teatro nuovo .
Per economizzare sulle spese , per il re , era possibile utilizzare il legname del vecchio edificio per costruire i nuovo palchi .
Il progetto fu affidato all”architetto Antonio Medrano e l’appalto fu dato ad Angelo Carasale che si impegno’ ad ultimare i lavori per il mese di ottobre , affinche’ il nuovo teatro fosse inaugurato il 4 novembre , giorno dell ‘onomastico del re .
Il disegno di Medrano prevedeva una sala lunga 28,6 metri e larga 22,5 metri, con 184 palchi, compresi quelli di proscenio, disposti in sei ordini, più un palco reale capace di ospitare dieci persone, per un totale di 1379 posti.
Fu inaugurato il 4 novembre 1737 con la rappresentazione dell’Achille di Pietro Trepassi detto il Metastasio e musica di Domenico Sarro.

Nella notte del 13 febbraio del 1816 un incendio devasto’completamente l’edificio e da questo rimangono intatti soltanto i muri perimetrali e il corpo aggiunto. La ricostruzione, compiuta nell’arco di nove mesi, fu diretta da Antonio Niccolini, che ripropose a grandi linee la sala del 1812.
Lo scrittore Stendhal, all’inaugurazione del 12 gennaio 1817, neanche un anno dopo l’incendio che aveva devastato il Teatro, scrisse: “Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare…
Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ‘ha ricostruito il San Carlo!’”.
Tutti i più grandi artisti prima o poi hanno calcato le scene del Teatro, come Niccolò Paganini e Vincenzo Bellini , Rubinstein , Jacquline Du Pré ,Toscanini , Stravinskij Gaetano Donizetti , Gioacchino Rossini ,Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello , Saverio Mercadante , Giuseppe Martucci , Puccini , Mascagni , Giordano, Cilea , Alfano , Bernstein , Muti , Busoni , Karajan , Vassiliev , Maxinova, Rudolf Nureyev , Fracci ,Fanny Cerrito, Carlo Broschi in arte Farinelli , il Caffariello (Gaetano Majorano), pupillo di Porpora,( uno dei castrati più famosi del suo tempo) accanto a Gizziello (Gioacchino Conti) e Gian Battista Velluti. E ancora tra le tante voci quella di De Lucia e Caruso, Di Stefano e Krauss, Del Monaco e Corelli, Tebaldi e Callas, Caniglia e Toti Dal Monte, Gigli e Tagliavini, Pavarotti, Domingo e Carreras e tanti tanti altri …
Tra gli impresari va citato il piu’ grande di tutti , Domenico Barbaja ( il ‘principe degli impresari ) .L’uomo che scoprì Rossini, Bellini e Donizetti, introdusse la roulette in Italia e diventò immensamente ricco , partendo da una condizione sociale assai bassa : sguattero prima in una taverna dei bassifondi , poi cameriere di caffe’ ed infine gestore dell’appalto dei giuochi d’azzardo nel ridotto del teatro della Scala di Milano che gli permise di fare un sacco di soldi .
A Napoli , dopo una approfondita riflessione dinanzi ai relitti melanconici del San Carlo incendiato egli si presentò al re, offrendosi di far ricostruire a proprie spese il teatro.
Con il consenso del sovrano, il Barbaja si pose all’opera e nello spazio di dieci mesi il Real Teatro San Carlo fu di nuovo in piedi, pronto ad accogliere spettacoli .
Ricoo , straricco , potente più che i ministri del sovrano tanto da essere definito il “viceré” di Napoli, egli profittò di quella sua condizione privilegiata soltanto per rendere più belli, addirittura splendidi, i suoi spettacoli.

Di fronte al San Carlo troviamo l’ingresso principale della galleria Umberto  ; la sua facciata e’ costituita da un porticato retto da colonne di travertino e da due archi ciechi .
Sulle colonne, sono presenti sculture in marmo di Carlo Nicoli  che rappresentano i quattro continenti:  l’Europa  raffigurata come una figura di donna che con la mano destra impugna una lancia ,  l’Asia che stringe una coppa, l’Africa, con una mano appoggiata sopra una sfinge e l’America, con le tavole geografiche e il globo terrestre ( chiaro  riferimento a Colombo) .
Al di sopra delle statue due nicchie contenenti a sinistra la Fisica e a destra la Chimica. Sdraiati sul fastigio il Telegrafo e il Vapore, che affiancano la figura della Abbondanza, conferendo tramite tali sculture fiducia nella scienza e nel progresso.
Sulle colonne dell’arco di destra ci sono altre quattro statue che rappresentano le quattro stagioni Autunno, Inverno, Primavera ed Estate che rappresentano il passare del tempo a cui sono collegate le attività umane rappresentati dalle nicchie sovrastanti dove troviamo il Genio della scienza ed il Lavoro. Sdraiati sul fastigio troviamo il Commercio e l’Industria miti borghesi per eccellenza, semisdraiati ai lati della Ricchezza.

 

La Galleria all’interno  e’ delimitata da quattro edifici collegati tra loro ed appare coperte da una volta in vetro e ferro progettata da Paolo Boubèe con al centro una Cupola .
Nella Cupola si trovano otto pennacchi con otto figure femminili che sorreggono i lampadari, mentre sul tamburo della Cupola è visibile la stella di Davide, la cui presenza non è stata ancora chiarita. Nel pavimento  i mosaici raffigurano i venti e i segni dello zodiaco costruiti nel 1952  dalla ditta veneziana Padoan per sostituire i vecchi mosaici andati distrutti durante la guerra.

 

Subito poco dopo dinanzi a noi troviamo la celebrata Piazza Plebiscito .

Si tratta della piazza piu’ grande in citta’  che ai piedi della collina di Pizzofalcone , occupa uno spazio complessivamente di quasi 25 mila metri quadrati.
La piazza e’ divenuta con il tempo la piazza simbolo  di Napoli dove abitualmente si tengono grossi concerti o particolari manifestazioni .

Si tratta di una delle piu’ belle piazze del mondo ; questo grande emiciclo , fu voluto da Gioacchino Murat . Il progetto prevedeva un vero e proprio FORO da chiamarsi ” FORO MURAT ” ma questo non pote’ essere completato e alla fine del re Gioacchino , era stato solo finito il porticato . ( fucilato , processato, condannato e giustiziato a Pizzo Calabro la sera del 13 ottobre 1815).
Quando Ferdinando IV rientro’ a Napoli penso’ bene di sfruttare l’opera del suo predecessore e volle che nel centro del portico sorgesse la chiesa che aveva promesso in voto se avesse riavuto il trono. Nacque cosi’ la chiesa di San Francesco di Paola .
L’emiciclo della chiesa fu poi ulteriormente abbellito nel 1822-16 , dall’artista Pietro Bianchi realizzando otto statue di leoni egizi.

Ponendosi di spalla alla Basilica di San Ferdinando , Piazza del Plebiscito e’ delimitata a destra dal settecentesco Palazzo Salerno che fu destinato a sede dei comandi militari .
Nel 1827 il palazzo venne concesso al principe di Salerno , figlio di Ferdinando IV come residenza privata e da allora prende il nome che ancora conserva .
Fu l’unica parentesi non militare ; ancora oggi e’ sede dell’attuale Comando della Regione Militare Meridionale .
A sinistra , l’ ottocentesco Palazzo Croce ( attuale Palazzo della Prefettura ) il cui nome deriva dalla ancora esistente chiesa della Croce di Palazzo .
Al posto del palazzo vi era infatti anticamente un monastero con annessa chiesa dove  Roberto d’Angio’ fece seppellire il nipote Carlo Martello , mentre la regina Sancia , scelse, dopo la morte del re Roberto, di ritirarvisi a vita monastica fino alla sua morte nel 1345, e, dove, per suo volere fu qui sepolta.

Al centro dell’emiciclo si possono ammirare due bellissime statue equestri : una dedicata a Carlo di Borbone e l’ altra a Ferdinando IV .
La realizzazione delle due statue dei cavalli, collocate a circa 50 metri una dall’altra sono opera di Antonio Canova, che cominciò il lavoro a partire del 1816, ma nel 1822 morì; la seconda, quindi, fu completata dall’allievo Antonio Calì.
Sul lato opposto , il maestoso impianto della Reggia la cui costruzione fu iniziata nel 1600 dal vicere’ di Castro ed il cui progetto e’ firmato dall’architetto Domenico Fontana .
Il Palazzo Reale è stato ininterrottamente la sede del potere monarchico a Napoli e nell’Italia meridionale: suoi inquilini furono dapprima i viceré spagnoli e austriaci, poi i Borbone e infine i Savoia.
La sua facciata, che misura circa 170 metri fu completata nel 1613. All’epoca il porticato inferiore era aperto, lo chiuse Vanvitelli nel 1756.
L’architetto modifico’ radicalmente la facciata chiudendo alternativamente gli archi voluti dal Fontana e creando delle nicchie che dovevano ospitare delle statue .

Solo un secolo dopo e per volonta’ di Unberto I , nelle nicchie furono collocate le otto statue marmoree raffiguranti i più rappresentativi sovrani delle dinastie che hanno regnato a Napoli. Essi sono in ordine cronologico, partendo da sinistra avendo di fronte la facciata: Ruggero il Normanno, ; Federico II, scolpito dal Caggiano; Carlo I d’Angiò, scolpito dal napoletano Solari; Alfonso V d’Aragona, realizzato dal D’Orsi; Carlo V d’Asburgo-Spagna, su un modello del Gemito; Carlo III di Borbone, immortalato dal Belliazzi; Gioacchino Murat, eseguito da Amendola ed infine Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d’Italia, realizzato da Jerace.
Sono tra le statue più note della città, poste in una piazza annoverata tra le più belle d’Europa, soprattutto per la barzelletta che ogni napoletano conosce giocata sulla gestualità delle ultime tre statue: la prima sembra chiedere: chi ha fatto pipì qui a terra; la seconda: sono stato io; la terza: allora ti taglio il membro.

Anticamente la piazza non era come oggi .
Al suo posto c’era il Largo di Palazzo dove  sorgeva il vecchio Palazzo vicereale a forma di castello medioevale con torri e ponte levatoio ( sede del vicere’ di Napoli ) che fu in seguito demolito dopo un incendio per ordine di Federico IV.

Nel 1602, quando la reggia e’ finita,  la piazza che ha gia’ preso il nome di ‘ Largo di Palazzo’ cambia totalmente volto ed abitudini .
Nella piazza si fanno gare di destrezza e giostre d’armi che sono all’origine delle feste popolari che avranno il loro svolgimento nei tempi futuri .
I giochi dei soldati divengono pian piano vere e proprie feste che , vicere’ ed in seguito i re daranno a favore del popolo napoletano .
Sono ovviamente feste molto desiderate e seguite sopratutto se terminavano con la famosa ” cuccagna “.

Riproduzioni in cartapesta e legno di una collina , una villa , un castello , un galeone ed altro a seconda delle fantasie del costruttore ripiene di ogni sorta di cibarie ( non di rado animali vivi anche di grossa mole come buoi e vitelli ) abiti da uomo e da donna , ornamenti vari …..
Questa costruzione era destinata ad essere demolita nell’assalto alle ore 22 dopo i due colpi di cannone che dal castello indicavano il segnale : il popolo dava assalto alla costruzione cercando di arraffare quanta piu’ roba possibile .

Prima di lasciare la bellissima piazza vi invitiamo a fare un piccolo gioco.
Partendo bendati davanti al portone del Palazzo Reale, provate a passare tra i due cavalli installati dall’altro lato della piazza.
Si tratta di fare una traiettoria diritta di circa 170 metri bendati con l’obiettivo, di riuscire  a fare un percorso dritto, in modo da   passare attraverso le due statue.
Vedrete che per quanto vi sforziate,quasi  certamente devierete e finirete tanto fuori traiettoria da rimanere sorpresi.
Nelle foto dall’alto della piazza si vede chiaramente una certa pendenza del suolo , molto irregolare che costituisce un enorme fattore di disorientamento per chi, con la fascia sugli occhi, cerchi di passare tra i cavalli partendo dal Palazzo Reale ; se a questo aggiungiamo un pizzico di emozione e rumori in uno spazio enorme si capisce quanto sia difficile procedere diritti .
La tradizione vuole che la regina Margherita concedesse, una volta al mese, a uno dei suoi prigionieri di avere salva la vita a patto di superare proprio quella prova, partendo dalla porta di Palazzo Reale che è esattamente al centro delle due statue del Canova. Non ci riuscì mai nessun prigioniero, per una “maledizione” della sovrana. La stessa – leggenda vuole – che impedisce ancora oggi si possa riuscire “nell’impresa .

PALAZZO REALE
Dal 1600 al 1946 il Palazzo Reale è stato ininterrottamente la sede del potere monarchico a Napoli e nell’Italia meridionale: suoi inquilini furono dapprima i viceré spagnoli e austriaci, poi i Borbone e infine i Savoia.
La sua costruzione fu iniziata nel 1600 dal viceré don Ferrante Ruiz de Castro per ospitare l ‘arrivo a Napoli del re Filippo III . ( che non avvenne mai ) .

Il progetto fu affidato a Domenico Fontana , comasco , che venuto a Napoli nel 1529 , era stato nominato dal vicere’ Juan de Zunica , conte di Miranda , ingegnere maggiore del regno .
I lavori per la costruzione del palazzo si prolungarono fino al 1631 , anno del suo completamento e bisogna poi aspettare altri venti anni , prima che vi siano altre modifiche interessanti .
Nel 1666 terminarono i lavori alla grande scalinata come ancora oggi e’ visibile .

Nel XVIII secolo , la reggia da’ preoccupazioni per la sua staticita’ e con l’avvento dei Borboni , si decise di potenziare il fabbricato .
I lavori di ristrutturazione e ampliamento furono voluti dal re Carlo, nonostante questi avesse anche commissionato la costruzione , sulla collina di Capodimonte di un nuovo palazzo reale .
I lavori ebbero inizio nel 1734 e in tale occasione , fu rifatta totalmente la facciata del palazzo . Tale incarico fu dato al Vanvitelli che era stato chiamato da Carlo per costruire la reggia di Caserta .
L’architetto modifico’ radicalmente la facciata chiudendo alternativamente gli archi voluti dal Fontana e creando delle nicchie che dovevano ospitare delle statue. Gli archi non murati furono chiusi con delle cancellate . In tal modo la funzionalita’ del porticato , concepito dal Fontana come filtro tra il palazzo ed il popolo in un contiguo rapporto tra loro , venne meno.
Solo un secolo dopo e per volonta’ di Unberto I , nelle nicchie furono collocate le otto statue dei re di Napoli che oggi vediamo.
Ruggiero il normanno
Federico II di Svevia
Carlo d’Angio
Alfonso d’Aragona
Carlo di Borbone ( primo di Napoli e terzo di Spagna )
Gioacchino Murat
Vittorio Emanuele II

Molti sovrani che hanno avuto un ruolo importante nella storia di Napoli sono stati dimenticati come re Ladislao , la regina Giovanna , Ferdinando IV e altri immeritatamente hanno avuto la loro statua ……
Nei giardini reali ( alle spalle dell’edificio ) re Carlo III fece impiantare un piccolo laboratorio per la fabbricazione della ceramica e costitui’ il primo nucleo della Reale Fabbrica di Capodimonte . Tale fabbrica nacque su desiderio della regina che amava le porcellane ( di Maissen ) , e quando Carlo parti’ per cingere la corona di Spagna fece chiudere la fabbrica e trasferire a Madrid tutti i macchinari . Per fortuna dopo la sua partenza la fabbrica fiori’ ancora piu’ rigogliosa .
Re Carlo , quando parti’ per la Spagna , portò con se, molte cose a lui care a Napoli compreso una parte del sangue di San Gennaro ; infatti delle due ampolle presenti nella cappella del Duomo una e’ ripiena per circa il 60% di sangue ed un’altra più piccola contiene solo alcune macchie rosso ed e’ quindi semivuota , proprio perché parte del suo contenuto fu sottratto da Carlo di Borbone che lo porto’ con se in Spagna ; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.
Il palazzo fu residenza reale e centro del potere borbonico fino al 1860.
Con l’Unità d’Italia, divenne sede periferica del Regno unificato, abitato alla corte dei Savoia fino al 1946. Qui nacque Vittorio Emanuele III, principe di Napoli.

Ceduto con gli altri Palazzi Reali Italiani al Demanio dello Stato nel 1919, parte del palazzo fu destinato ad ospitare la ricchissima Biblioteca Nazionale di Napoli , sita nella parte posteriore del complesso, che ospita una raccolta di un milione e mezzo di volumi, tra cui rari manoscritti medievali e i famosi papiri di Ercolano.
Possiamo oggi visitare ben trenta sale che conservano ancora l’arredo e le decorazioni delle famiglie reali qui succedutesi .
Varcando l’ingresso principale, attraverso il cortile d’onore, si accede al Museo dell’Appartamento storico di Palazzo Reale, che conserva l’arredo e le decorazioni del piano nobile; incantevole è lo scalone di ingresso del palazzo, rivestito di marmi e stucchi, e molto interessanti sono il Teatro di Corte in stile rococò, la Sala degli Ambasciatori, la Sala del Trono, la Sala d’Ercole e la Cappella Reale.

Lasciamo la piazza e portiamoci alla nostra sinistra verso la vicina Piazza Trieste e Trento ( piazza San Ferdinando ).
All’angolo troviamo un caffe’ famoso in tutto il mondo : il caffe’ Gambrinus , arredato in stile liberty che conserva nel suo interno stucchi, statue e quadri delle fine 800 realizzati da importanti artisti napoletani ;tra queste vi sono anche opere di Gabriele D’Annunzio e Marinetti.
Nato nel 1860 sono passati nelle sue sale dorate i personaggi illustri d’ogni tempo e paese diventati poi clienti affezionati , come : Gabriele D’Annunzio – Ferdinando Russo – Benedetto Croce – Matilde Serao – E . Scarfoglio – Eduardo Scarpetta – Toto’ e i De Filippo – Ernest Hemingway – Oscar Wilde – Sean Paul Sartre – i reali di casa Savoia – e tanti altri .
Negli ultimi anni e’ stato continuamente visitato dai Presidenti della Repubblica nei loro soggiorni a Napoli , cosi’ come i presidenti del consiglio ( Prodi – Berlusconi etc ).

L ‘attuale nome Trieste e Trento presente dal 1919 non è stato mai definitivamente accettato dai napoletani , affezionati alla vecchia dizione di Piazza San Ferdinando ( esattamente come via Roma citata piu’ volentieri come via Toledo ).
Un tempo sede di chiostri e stazionamento di carrozzelle tirate dai cavalli , ha visto sorgere la celebre fontana del carciofo , voluta dall’ex sindaco Lauro .

 

La piazza inizialmente si chiamava Largo Santo Spirito ( poi dopo sara’ chiamata piazza S. Ferdinando ) e dal 1919 in base ad un decreto oggi si chiama ( sigh ! ) Piazza Trieste e Trento ) , ma il popolo continua a chiamarla Piazza San Ferdinando.
All’ epoca del vicereame spagnolo per volere di Don Pedro de Toledo venne costruita in questo luogo una reggia per il viceré ( che sarà poi chiamata ” Palazzo Vecchio “) a forma di castello medioevale con torri e ponte levatoio ai bordi di quel giardino reale nel quale erano presenti piante rare , magnificente di ogni genere e persino animali feroci ; questi poi destinati anni dopo a scomparire per ordine del vicere’ don Giovanni d Austria dopo che il suo paggio era stato divorato dai leoni .
Il palazzo vecchio fu poi abbattuto quando nel 1837 , un grande incendio distrusse gli appartamenti reali del Palazzo Reale verso Castel Nuovo ( era chiamato Palazzo Nuovo per distinguerlo dall’altro ” Vecchio “) e Ferdinando II dovette rifare tutta l’ala destra configurando il palazzo come appare ora e disponendo l’abbattimento di quello vecchio.
Possiamo definire Piazza San Ferdinando il primitivo nucleo dell’attuale piazza del Plebiscito poiche’ da questa piazza prese forma una volta allargato lo spazio la futura Piazza del Plebiscito .
Al centro della piazza la bella chiesa di San Ferdinando costruita dai gesuiti ,definita per tradizione la chiesa degli artisti poiche’ vi si celebrano generalmente le esequie di attori e cantanti napoletani .

Rapprenta anche la piu’ grande cappella funeraria del mondo (opera di Tito Angelini) : vi si trova infatti in essa un unico sepolcro che corrisponde a quello di Lucia Migliaccio , duchessa di Florida , la donna a cui fu donata la splendida villa Floridiana al Vomero .Ferdinando IV proibi’ infatti a chiunque di seppellire altre  persone in questa chiesa dopo la sua seconda moglie .
L’interno  custodisce numerose opere d’arte prestigiose.che hanno impreziosito la chiesa  rendendola un vero e proprio gioiello.Si possono ammirano, statue di Domenico Antonio Vaccaro e Giuseppe Sanmartino e sull’altare maggiore la tela con San Ferdinando opera di Federico Maldarelli .Troviamo opere di i artisti come  Paolo De Matteis,  Sarnelli, e di Giuseppe Ribera , detto lo Spagnoletto ( perche’ nato in Spagna ) .

Dalla piazza si accede a Via Nardones ( la strada della musica ) dedicata al gentiluomo Lope Nardones , magistrato tra i primi a costruirsi una casa in questa via da poco realizzata .
Al civico 14 , testimoniato da una lapide vi dimoro’ il musicista bergamasco Gaetano Donizetti .
Ebbe qui sede nel dopoguerra la redazione de ‘ il giornale ‘ periodico liberale nato nel dopoguerra e al quale collaborarono tra gli altri Benedetto Croce – Guido Cortese ed Antonio Ravel.
Nella piazza al civico 48 si trova il maestoso palazzo Zapata, cosi’ detto poiche’ vi abito’ il cardinale Antonio Zapata Y Cisneros che fu vicere’ di Napoli dal 1620 , precedentemente inquisitore a Toledo e tristemente ricordato per la spietatezza verso i sudditi che peraltro si ribellarono in maniera tanto decisa da indurre i sovrani a rimuoverlo dall’incarico.
Fu acquistato poi dal medico Domenico Cotugno ( e risistemato in quell ‘occasione da Carlo Vanvitelli ) che alla sua morte lo lascio’ agli ospedali Incurabili .

E’ stato sede nel 1888 della ‘ società’ degli artisti ‘ fra i cui soci spiccavano i piu’ rilevanti nomi della cultura e arte napoletana , ed organizzava mostre d’arte , conferenze , recite e concerti .
Un tempo accanto alla chiesa di San Ferdinando , si trovava un orologiaio che aveva messo sotto l’ insegna del suo negozio un cannoncino caricato a salve ; egli lo aveva regolato in modo tale che attraverso una lente , i raggi del sole a mezzogiorno si concentravano sulla miccia facendo tuonare la piccola bocca da fuoco .
Ogni giorno , a mezzogiorno , un nutrito gruppo di spettatori assisteva al rituale botto , che come ricorda Salvatore Di Giacomo regolava con la sua meridiana tutti gli orologi di Napoli.
“… ed ecco , ad un tratto , lo sparo del cannoncino di Piazza San Ferdinando , E’ MEZZOGIORNO , tutti gli eleganti passeggiatori regolano il loro orologio inglese sull’ora napoletana e lo struscio , l’ineffabile struscio , principia …….. ‘

Incamminiamoci ora in quella che viene considerata la strada piu’ cara ai napoletani ” Via Toledo “. Essa deve il suo nome al vicere’ di Napoli don Pedro de Toledo , il quale provvide durante il suo viceregno alla sistemazione urbanistica della citta’ proprio con l’apertura di questa nuova importante arteria.
Ricca di negozi e botteghe fin dai primi tempi della sua creazione e per questo sempre affollatissima , una tempo   via Toledo , era una sorta di gigantesco teatro sul quale sfilavano carrozze di tutti i tipi . Era una costante gara che vedeva impegnati nobilta’e alta borghesia nell’aggiudicarsi il primato della vettura piu’ bella .

Su via Toledo subito dopo il suo inizio si trova la maestosa Galleria Umberto I , iniziata nel 1887 ed inaugurata nel 1892 ( 4 edifici e galleria in ferro e vetro ).

La galleria in passato fu sede degli uffici del quotidiano ” il giorno ” all’epoca animato da Matilde Serao , ma sopratutto fu ritrovo di artisti e personaggi dello spettacolo grazie alla presenza nei sotterranei del celebre Salone Margherita , autentico tempio del varieta’ a Napoli , sala da concerti ed elegante Cafe’ Chantant d’Italia , che venne dedicato alla sovrana e conobbe anni di splendore .

Il salone nato per idea dei fratelli Marino di Napoli, sorse sulla scìa dei café chantant francesi, tant’è che i menù erano scritti in lingua francese, i camerieri si esprimevano in lingua francese, gli ospiti conversavano in lingua francese, i contratti degli artisti erano scritti in lingua francese.

Il famoso Salone Margherita,  primo cafè-chantant d’Italia della Belle epoque, fu sede dello svago notturno per un buon ventennio dei napoletani  e di  importanti personalita’ intellettuali di fine 800 e 900  tra cui : D’Annunzio, Crispi, Serao, Scarfoglio , Serao , Di Giacomo  , Ferdinando Russo , i principi ereditari di casa Savoia ( Vittorio Emanuele ) .
Vi si proiettarono i primi films dei fratelli Lumiere ( 1896) e vi aprirono il primo cinematografo.
Nel varieta’ gli impresari del salone scritturavano artisti famosi in tutta Europa come  la ballerina viennese Dora Parnes ,  la celebre Eugenie Fougere , innamorata di Eduardo Scarpetta  e la leggendaria Bella Otero che qui’ si esibi’ per amore del principe Gaetano  Caracciolo , conosciuto a Parigi .

 

Nel Salone Margherita , Gabriele D’Annunzio conobbe la giovane francese Pierrette Butterfly , presentatagli  da Edoardo Scarfoglio , mentre Maria Ciampi mando’ in delirio la folla eseguendo la celebre < MOSSA > , il sensuale movimento imparato dalla napoletana Maria Borsa che lo aveva proposto con successo nei teatri popolari .
Il salone  è stato considerato a lungo simbolo della belle époque ed  era l’unico in Italia a presentare spettacoli con ballerine di Can Can. Esso non era pero’ l’unico salone presente sul territorio . Vi era infatti un salone proprio nel Palazzo Berio di Toledo, per intenderci il palazzo accanto alla funicolare centrale, la cui realizzazione ha comportato la demolizione di parte del Palazzo Berio.

Il Salone Margherita, inaugurato il 15 Novembre 1890, chiuso poi nel 1982, è stato di recente riaperto per opsitare mostre, spettacoli, e serate di tango.

Nell’angiporto della galleria , ora Piazzetta Matilde Serao , ma un tempo vico rotto San Carlo , al civico numero 7 , al primo piano e nei suoi sotterranei si trova la prima sede originaria del ‘ Mattino ‘ quotidiano napoletano fondato nel 1892 da Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao , mentre al terzo piano si trovava la sede del quotidiano di sinistra l’Unità , subentrato nel 1949 , al quotidiano ” La voce ” .

CURIOSITA’: Nel 1962 , la testata giornalistica ” il mattino ” spostò la sua sede in via Chiatamone dove ancora oggi si trova .

Questa semplice piccola piazzetta , un tempo chiamata , vico rotto San Carlo , è stata uno dei luoghi dove , nell’immediato dopoguerra generazioni intere di giornalisti ed intellettuali napoletani si incontravano in un vivace scambio di idee ed opinioni . Esso fu infatti un incredibile incubatore di storie e  passioni di quella Napoli soffocata da laurismo ma ricca di giovani talenti che affollavano la sede del giornalismo comunista come Francesca Spada ( morta suicida ) , Renzo Lappicella , Ermanno Rea ,  il matematico Renato Caccioppoli ,  e tanti altri bravi giornalisti , che naufraghi di un tempo non favorevole avevano bisogno di una zattera a cui aggrapparsi .

La sede del quotidiano ” Il Mattino ” , vede invece frequentate da famosi poeti come Giosuè Carducci , Gabriele D’Annunzio e Ferdinando Russo , solo per citarne alcuni , ma anche il luogo che vide affermarsi uno dei più famosi giornalisti dell’epoca divenuto famosissimo in città ,  tale Giovanni Ansaldo che aveva dimora  nel famoso Palazzo Cellamare presente nella  vicina via Chiaia

Alla Galleria Umberto si collega anche la figura dello Sciuscià,  ossia i lustrascarpe della città di Napoli . Per ben 50 anni vi hanno operato al suo interno, e solo ai nobili o agli uomini ricchi era consentito l’usanza di farsi lustrare le scarpe all’interno della Galleria.

La maestosa Galleria Umberto I , e’ oggi considerato uno dei luoghi simbolo di Napoli .
La bellissima e complessa struttura venne completata tra il 1887 e il 1890 e in  poco tempo si trasformo’ nel salotto buono della città, e splendido ritrovo della mondanità. Giornalisti , scrittori , attori , poeti  , belle donne e uomini di successo amarono per lungo tempo  incontrarsi in questo luogo.
Fu  inaugurata il 10 novembre 1892 dall’allora sindaco Nicola Amore .
Con i suoi 147 metri di lunghezza, una larghezza di 15 ed un’altezza di 34 e mezzo con il vertice della cupola che raggiunge i 57 metri, la Galleria si presenta con 4 ingressi che si aprono su  Via Toledo, Via Santa Brigida, Via San Carlo e Via Verdi .

Usciti dalla galleria , magari non prima di aver assaggiato una tradizionale sfogliatella dal piccolo chioschetto  presente al suo ingresso ( Mary) continuiamo il nostro ‘struscio’ per la bella Via Toledo .
La linea in cui è stata tracciata questa strada corrisponde esattamente alla meridiana di Napoli, sicché a mezzogiorno si pone in perfetta congiunzione col sole, e risulta totalmente illuminata dai raggi solari.
Numerosi caffe’ , frequentatissimi nell’800 , botteghe e palazzi sfarzosi animano la strada .
Palazzo Barbaja : prende il nome dall’impresario del teatro San Carlo che ospito’ tra gli altri nell’800 Gioacchino Rossini ( che qui compose l’Otello ) .
Palazzo Berio : (1772) di Luigi Vanvitelli  , salotto culturale nell’800 del marchese Berio di Salsa.

Una sosta doverosa, in via Toledo, è al Palazzo Zevallos. Questo edificio fu costruito tra il 1637 e il 1639 da Cosimo Fanzago su commissione della famiglia fiamminga Zevallos. Successivamente il fabbricato divenne di proprietà della famiglia Colonna di Stigliano, e più stemmi ne testimoniano il passaggio. Intorno al 1850, a causa di dissidi interni alla famiglia, il palazzo venne smembrato e i diversi appartamenti fittati a famiglie nobili di origini diverse. Soltanto nel 1920 l’immobile tornò ad essere un unico palazzo di proprietà della Banca Commerciale Italiana.
La doverosa sosta, oltre che dalla storia del palazzo, è dettata soprattutto dalla presenza di opere di straordinario ingengo e sublime bellezza: Gaspar Van Wittel, Anton Sminck Van Pitloo, ma soprattutto l’ultimo Merisi “Martirio di Sant’Orsola” (1610).

Palazzo Zevallos Stigliano di  proprietà del gruppo Banca Intesa San Paolo ex Banca Commerciale che lo acquista nel 1898 .
Il palazzo merita una doverosa sosta per la presenza nel suo interno  di numerose opere di particolare bellezza : Gaspar Van Wittel, Anton Sminck Van Pitloo, Artemisia Gentileschi ma soprattutto l’ultimo Merisi “Martirio di Sant’Orsola” (1610).
il palazzo fu costruito da  Cosimo Fanzago ,su commissione della famiglia fiamminga Zevallos. Successivamente il fabbricato divenne di proprietà della famiglia Colonna di Stigliano e solo in seguito venne acquistato dalla Banca Commerciale Italiana.
Venne  modificato negli anni 20 del 900 da un lucernaio liberty in vetri multicolori a copertura del salone dell’ex cortile del palazzo .  In questo palazzo nella  splendida galleria , aperta al pubblico , e’ in mostra l’ultimo capolavoro del Caravaggio acquistato nel 1972 dalla Banca Commerciale Italiana ,che è il bellissimo “Martirio di Sant’Orsola”, opera dipinta nel 1610, a poche settimane dalla sua drammatica morte avvenuta a Porto Ercole .
Il dipinto , ultima opera della sua vita , fu commissionato dal banchiere genovese Marcantonio Doria, la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant’Orsola, e fu eseguito dal Caravaggio in poco tempo proprio perché era in procinto di fuggire da Napoli.

Ritorniamo inVia Toledo : Numerosi sono gli slarghi di tale via , formatisi in conseguenza di vecchi palazzi abbattuti , come successo con la Piazza Duca d’Aosta : tale piazzetta viene sistemata tra il 1926 ed il 1929 per l’apertura della stazione funicolare centrale ( 1928) , dove il palazzo del 600 del conte di Mola , abbattuto , ospitava un teatrino con 1600 posti , ideato da Luigi Vanvitelli . Sul largo , oggi troviamo il tetro Augusteo .

Non si può concludere questa gradevole passeggiata senza, però, visitare quello che si nasconde dietro via Toledo: i caratteristici Quartieri Spagnoli.

I vari stretti vicoli che si intervallano lungo la strada alla nostra sinistra rappresentano il punto di accesso per accedere accedere ai folcloristi e popolari quartieri dove potrete vedere i famosi ” bassi ” , una  tipica vecchia abitazione di questi luoghi dove in un piccolo spazio erano ( in alcuni lo sono ancora ) capaci di vivere,  senza spreco di spazio , una intera famiglia .

Questi quartieri, realizzati per ordine di Don Pedro de Toledo, si compongono di un preciso impianto geometrico di caseggiati (a contrario di quanto si crede i Quartieri sono una tra le poche zone di Napoli più ordinate urbanisticamente), i quali, intersecati ad angolo retto, erano adibiti a stanze per i soldati spagnoli, di ruolo nella città, per sedare le possibili rivolte del popolo, in continuo e strabiliante incremento, contro il Regno spagnolo.
I quartieri sono da sempre stati come un alveolare ricco di laboriose api dove per sopravvivere ognuno si e’ sempre inventato  un mestiere, da quello più onesto a quello disonesto per cui l ’economia di questi vicoli è stata, nel tempo, sempre piuttosto variopinta.
I suoi vicoli sono stati percorsi da persone che si sono inventati i piu’ disparati mestieri come spazzaturai, acquaiuolo, mozzonaro (raccoglitore di cicche) e lustrascarpe ma anche usurai e malviventi  ladri  o imbroglioni.

Oggi il luogo appare ricco di botteghe dove potreste  trovare qualcosa di caratterstico e sede di numerose trattorie dove potete degustare dei tipici piatti napoletani cui si mangia bene spendendo poco come esempio la famosissima Nennella.
Il luogo e’ anche ricco di tante piccole chiese in cui talvolta i napoletani si recano per chiedere grazie come la chesa Santa Maria Francesca che si trova nel vicolo Tre Re a Toledo. La Santa , poiche’ spesso aveva visioni oniriche di Gesù in forma di bambino viene considerata la protettrice delle partorienti e ancora oggi molte donne desiderose di avere un figlio si recano presso la chiesa per chiedere la grazia . Il rituale prevede che le donne desiderose di prole di debbano sedere sulla poltrona della Santa .
La Santa che e’ anche chiamata  delle cinque piaghe perché durante il periodo pasquale riportava gli stessi segni della Passione di Gesù.

Dopo aver fatto una bella passeggiata tra questi vicoli ed aver goduto  delle sfumature ed i colori di ogni angolo e magari assaporare i vari odori che vengono fuori dai vari   bar, pasticcerie e trattorie ritorniamo su Via Toledo .

Su questo tratto di strada , vi ricordiamo che esiste l’ entrata alla stazione Metropolitana di Via Toledo  che e’ stata  eletta dal quotidiano The Daily Telegraph come la“Stazione metro più bella d’Europa”.
Scendendo le rampe di accesso alla stazione ad un primo piano notiamo subito un enorme mosaico di William Kentridge raffigurante scene di vita napoletana e sul lato opposto sono visibili in bella mostra strutture di epoca aragonese rinvenute durante lo scavo della stazione .
Piu’ in basso si apre l’atrio della stazione dominato dai rivestimenti color ocra e all’imbocco della prima scala mobile un secondo mosaico di Kentridge e’ ispirato dai  simboli  della Repubblica Napoletana del 1779.
Dopo la prima rampa di scale mobili i colori mutano radicalmente  per immergersi nella “galleria del mare ” di Oscar Tusquets e Robert Wilson con pareti e soffitti mosaicati  e giochi di luci che sapientemente esaltano motivi marini con forme ondulate i cui pilastri laterali decorati appaiono come maestosi zampilli di fontana.
Completa lo scenario un profondissimo pozzo-lucernario ( crater de luz ).
Un lungo corridoio che porta alle banchine e’ adornato lateralmente da pannelli retro illuminati che trasmettono la rassicurante sensazione del mare increspato dalle onde.

Di nuovo nella fantastica Via Toledo per continuare la bella passeggiata ma anche pronti ad ammirare i bei antichi e monumentali palazzi presenti lungo la srada magari tra una sfogliatella di Pintauro e un cioccolatino di Gay-Odin, per incamerare anche un po’ di energia e vivacità tipiche dell’anima partenopea.

Incontreremo lungo la strada :

Palazzo del Banco di Napoli : ( 1939) opera dell’  architetto Piacentini ,  ( protagonista dell’architettura ufficiale del primo ventennio ) per dare una sede moderna al piu’ antico istituto di credito in Italia.

Palazzo Lieto – Palazzo Tapia – Palazzo Cavalcanti – Palazzo della Nunziata Apostolica –
Palazzo Buono : sede nel 600 del Monte dei Poveri Vergognosi ,  (soppresso poi dai francesi ) che nasce come istituto per assistere i poveri che si vergognavano di chiedere l’ elemosina .

Ad angolo di vico D’Affitto in via Toledo 275 ha sede la storica pasticceria Pintauro , tradizionalmente legata all’altrettanto celebre sfogliatella , tipico dolce napoletano le cui origini secondo antiche memorie risalgono al XVII secolo , quando nel convento di Santarosa , sulla costiera amalfitana fra localita’ Furore e Conca dei marini , una suora addetta alla cucina invento’ il tipico dolce di sfoglie a forma di cappuccio che ebbe il nome di Santarosa , in omaggio alla Santa a cui era dedicato il convento .
Fu nel 1818 , che l’oste Pasquale Pintauro , gia’ proprietario di trattorie in via Toledo , entrato in possesso della ricetta originale della Santarosa decise di apportarvi delle variazioni personali , modificandone la forma ed eliminando dal ripieno la crema pasticciera e l ‘amarena .
Nacque cosi’ , la sfogliatella nelle sue varianti , ‘ riccia ‘ e ‘ frolla’ che ancora oggi sono la specialita’ partenopea per eccellenza

Tempo dopo , il pasticciere Pintauro , gia’ famoso per le sfogliatelle , ebbe poi l’idea di friggere davanti alla sua bottega , un altro tipico dolce napoletano ” le zeppole” .
Era la mattina di San Giuseppe ; da allora il 19 marzo , tutte la pasticcerie napoletane presero l’abitudine di offrire ai propri clienti questa specialita’ che nella versione antica erano piccole ciambelline di acqua e farina ricoperte di cannella in polvere e zucchero .

Sempre in via Toledo, ma all’altezza di piazza della Carità si trova il Palazzo della Porta, che ha ospitato il filosofo naturalista Giovan Battista Della Porta .
Il palazzo, voluto da Francesco della Porta su di un terreno cedutogli, per ventiquattro ducati, dai monaci di Monteoliveto, fu completato soltanto nel 1569, quando era oramai di proprieta’ del figlio Giambattista della Porta.

La prima grande interruzione della lunga strada avviene per la presenza di Piazza Carita’.

Piazza Carità prende il nome dall’antica chiesa, oggi non più esistente, di Santa Maria della Carità fondata nel XVI secolo e soprannominata ” La Giorgia ” , perchè al suo interno ci si trasferì la Congrega del Rosario,  ( giunti da ” La Giorgia “fondata nel XVII secolo da un membro della famiglia De Giorgio.L’attuale chiesa di Santa Maria della Carità è del secolo scorso, e non conserva nulla del nucleo primitivo.

La piazza cedette il suo iniziale  nome a quello ” Carlo Poerio” e poi per il solo ventennio fascista al nome di Costanzo Ciano . Alla caduta del regime  riprese il suo attuale nome .
Nel XVII secolo la piazza era famosa per un antico e vastio mercato di generi alimentari, le cui bancarelle e chioschi erano cosi fitti ed agglomerati che impedivano qualsiasi tipo di scorrimento del traffico dell’epoca. Fu cosi deciso, che per per ovviare a questo problema, fosse necessario lo smantellamento del mercato, e tra le numerose proteste si decise di far pagare l’indennizio dei lavori agli sfrattati baracchisti ai proprietari dei locali e delle case prospettanti la piazza.
Al centro della piazza si trova  il Monumento, ( di Lidya Cattone ) , dedicato al vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro della Resistenza che prese   il posto di un’altra statua, dedicata a Carlo Poerio, posta in piazza nel 1887 (  in memoria dei tragici fatti del 15 maggio 1848 ) che fu  trasferita altrove.
Sulla piazza affacciano oltre Palazzo dell’ina e Palazzo Trabucco, due eleganti palazzi settecenteschi, Palazzo del Nunzio Apostolico e Palazzo Mastelloni. Quest’ultimo è famoso per la memoria che conserva del duca Emanuele di Salza, e perchè qui fu arrestata Luisa Sanfelice, che successivamente finì sul patibolo. Al momento dell’arresto da parte dei gendarmi Borbonici era infatti l’ abitazione di Luigia Sanfelice .

Da questa piazza si puo’accedere al pittoresco mercatino della Pignasecca ( il mercato più antico di Napoli ) dove possiamo ammirare uno spaccato molto suggestivo e folkloristico della città partenopea . In questo affollato tratto di strada nel piu’ complesso disordine e rumore , in un mondo variegato di voci e colori si affiancano bancarelle di ogni genere, con capi d’abbigliamento, accessori e dischi o cd musicali, con prezzi molto accessibili . Completano la scena esposizioni di pesce, frutta, verdura, fritture e dolci tipici da consumare in strada . Al profumo delle trattorie, delle fritture, dei dolci, e dei soffritti, si mischiano gli odori del pesce fresco e della frutta, venduti sulle bancarelle.
Al frastuono tipico di un mercato si sente spesso innalzarsi  il grido dei venditori,  con il tipico “Iamme, ià!” che tra il propositivo e l’intimidatorio, accompagna la vendita e gli acquisti  .

 

Ogni giorno migliaia di persone attraversano il mercato della Pignasecca, quasi come se fosse l’ombelico del mondo. Un’enorme flusso di folla  per tutto il giorno percorre via di Porta Medina, così chiamata per una porta eretta nella prima metà del ‘600 da Cosimo Fanzago, per ordine del vicerè Ramiro de Guzman duca di Medina e demolita nel 1873.
Essa a distanza di tanti anni  mantiene ancora intatto con la sua folla di persone il carattere di “porta della città”.
Come in un formicaio centinaia di persone percorrono la zona : persone solo di passaggio come un impiegato che veloce corre al lavoro o uno studente in ritardo ma anche persone che con calma si incontrano e si salutano nella pausa di un caffè.
Poi c’è chi rallenta e si aggira tra i negozi, col fare di chi è alla ricerca di qualcosa, ma non sa ancora bene cosa.

 

Nella piazza, vi sono la stazione della Ferrovia Cumana (attiva con una prima tratta dal 1889) e la funicolare di Montesanto (aperta nel 1891) che sale a fianco dei resti della cinta muraria di età vicereale su per la collina del Vomero nei pressi  di Castel S. Elmo.

Il curioso nome Pignasecca attribuito a questo luogo risale al 1500 quando l’intera zona ricca di numerosi orti  e giardini ( chiamata Biancomangiare ) appartenenti al duca Fabrizio Pignatelli furono espropriati per creare la Via Toledo . Tutta la zona gli alberi fu spianata e dei grandi alberi che lo caratterizzavano sopravvisse alla demolizione soltanto un pino, definito in napoletano pigna. Delle gazze vi nidificarono nascondendovi tutti gli oggetti preziosi che sottraevano dalle abitazioni vicine, finché i  demoralizzati abitanti non provvidero a scacciarle. Il pino progressivamente si seccò conferendo a questa zona il nome di “Pignasecca”.
Secondo una la leggenda invece pare che in questo luogo un tempo, vi fosse una pineta, grande e fitta, popolata da tantissime gazze.  Uno di questi uccelli scopri’il vescovo della città a letto con la perpetua, e mentre questi era affaccendato in tutt’atre cose penso bene di rubargli il prezioso anello a cui lui tanto teneva . Il vescovo , per vendicarsi, la  scomunicò. Anzi, scomunicò tutte le gazze, una ad una. Dopo tre giorni dall’evento, la pineta morì. I pini seccarono, le gazze sparirono, lasciando solo una distesa di terra arida e vuota: la Pignasecca.

Nella  Pignasecca , si trova l’Ospedale dei Pellegrini con annessa chiesa localizzata nel suo atrio entrambe fondate nel XVI secolo; l’allora piccolo Ospedale prese luogo  nel fabbricato  fatto costruire dal duca Fabrizio Pignatelli su un residuo pezzo di terreno rimastogli dopo la confisca subita di  un vasto territorio di orti e giardini  (che si estendevano dalla Pignasecca fino a Santa Chiara )  serviti per creare  la famosa Via Toledo .
Su questo lotto di terreno egli costruì ‘ nel 1574 un fabbricato che fu  poi successivamente adibito ad ospedale per i pellegrini ed una chiesa chiamata di Santa Maria Materdomini  che  fu poi inglobata nella costruzione della nuova chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini.
Tutto il complesso, disegnata da Carlo Vanvitelli, venne poi affidato alla Arciconfraternita della Santissima Trinità.
La chiesa e’ una di quelle che concentra il maggiore numero di opere eseguite da artisti diversi. Tra le opere pittoriche infatti possiamo ammirare dipinti di  Andrea Vaccaro, Francesco Fracanzano, Onofrio Palumbo , Giacomo Farelli, Francesco De Mura, Giuseppe Bonito, Giacinto Diano e tanti altri .
Il vero pezzo forte e’ l’elegante Coro di Antonio Medrano e a mio parere  le sei sculture in legno di pioppo policromo, realizzate tra il XVI e il XVII secolo da maestranze napoletane, che raffigurano a grandezza naturale scene della Passione di Cristo.
Nelle tele di Giacinto Diano che si trovano nel Plesbiterio viene ricordato l’opera misericordiosa svolta dalla Arciconfraternita nei confronti dei poveri fedeli pellegrini cristiani che sostavano in citta.
In uno dei dipinti chiamato “la Lavanda dei piedi dei Pellegrini ” possiamo osservare infatti i confratelli vestiti in abito rosso ( la tunica rossa e’ il simbolo dell’amore verso i poveri ) che con umilta’ lavano i piedi ai pellegrini come segno piu’ alto di  umiltà  e solidarieta’.

Sempre nella Pignasecca potrete anche  visitare le chiese di Santa Maria di Montesanto dove fu sepolto il noto musicista Alessandro Scarlatti e quella di San Nicola alla Carità dove fu battezzato il compositore Domenico Scarlatti  e che conserva nel suo interno dipinti di Francesco Solimena .

 

Di fronte alla chiesa di San nicola alla Carita’ ,dove si possono ammirare bellissime opere di Francesco Solimena ,Paolo De Matteis ,e Francesco De Mura , ha inizio sul lato opposto , all’altezza del civico 58 ,  uno stretto vicolo , ( si riconosce da un negozio di tabacchi presente al suo imbocco)  in fondo al quale riconosciamo da lontano l’ ingresso di un chiesa . Si tratta della bella  chiesa di Sant’Anna dei lombardi che conserva  nel suo interno un eccezionale patrimonio artistico .
i napoletani preferiscono per questa chiesa l’antica dicitura di Monteoliveto . Essa infatti faceva  parte del monastero degli Olivetani , ( uno dei piu’ importanti complessi della Napoli aragonese) fondato nel 1411.
Il monastero era il paradiso dei bianchi monaci dell’ordine : 4 chiostri tenuti a giardino,con fontane , statue , guglie, e busti ; una biblioteca ricca di codici miniatici ; una foresteria affrescata da Giorgio Vasari nella quale Torquato Tasso ebbe agio di scrivere ampie parti della Gerusalemme conquistata.
La sua soppressione , purtroppo , nel 1799, cancello’ quasi completamente il monastero , trasformato in caserma ( Pastrengo) e lotti di abitazione.
Oggi , la sua facciata , poco appariscente , racchiusa tra case private e una caserma non lascia immaginare nemmeno lontanamente il ricco patrimonio artistico che gelosamente custodisce nel suo interno .

In questa chiesa oltre che conservare  il monumento funebre di Maria di’ Aragona ( opera sempre di Rossellino e Maiano ) conserva in due diversi ambienti due bellissime opere .
La prima , che si trova nella cappella Orilia , e’ un’importante opera di Guido Mazzoni : Il ” COMPIANTO DEL CRISTO MORTO ” a mio parere il vero capolavoro di questa chiesa . 8 statue a grandezza naturale realizzate nel 1492  , che rappresentano un gruppo di persone dolenti intorno al corpo di Cristo deposto .
I personaggi sono stati identificati in : San Giuseppe di’ Arimatea ( ritratto del futuro Alfonso II d’Aragona ) , Maddalena , Maria Salome , la Madonna , San Giovanni , Maria di Cleofa , e Nicodemo ( re FerranteI ) .
Il volto del Cristo deposto e’ incredibile e imperdibile .

Nella successiva vecchia Sagrestia , (  in origine refettorio del monastero)  possiamo smmirare dei bellissimi affreschi di Giorgio Vasari ) . La volta , divisa in riquadri , fu affrescata dal Vasari nel 1544 e ben si accorda con l’ ambiente in legno sottostante fatto di pannelli intarsiati ( di fra Giovanni da Verona , un monaco olivetano ) .

Torniamo indietro e rechiamoci di nuovo su Via Toledo .
La seconda interruzione alla via,  è quella su piazza Sette Settembre, già un tempo chiamata Largo dello Spirito Santo per la presenza dell’omonima Chiesa.
La Piazzetta e’ oggi  chiamata ” sette settembre ” in onore alla data in cui il generale Giuseppe Garibaldi ( il 7 settembre 1860 )   fece il suo ingresso nella città partenopea .
Nella stessa giornata , l’eroe dei mille , dal balcone di Palazzo Doria D’Angri, che affaccia sulla piazza , in compagnia del Ministro di Polizia Liborio Romano e del capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”,(  i cui uomini in quel periodo mantennero l’ordine pubblico ) proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo .

Giuseppe Garibaldi  durante la sua permanenza a Napoli , soggiorno’ proprio al bel  Palazzo Doria D’Angri . Il palazzo che vediamo eregersi con la sua facciata ed il famoso balcone fu eretto su commissione di Marcantonio Doria demolendo i due edifici di sua proprietà preesistenti. Egli commissionò l’opera all’architetto Luigi Vanvitelli, alla cui morte, seguirono il figlio Carlo, Ferdinando Fuga e Mario Gioffredo.
L’edificio (tra lo stile tardobarocco e neoclassico), e’ stato in parte distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale : a riportare i maggiori danni  e’ stato in particolare lo stemma di famiglia, di cui non è rimasto che un pezzo di ghirlanda, e due delle otto statue originarie .

Sul lato opposto la chiesa del 500 dello Spirito Santo , modificata a fine 700 , in cui e’ sepolto il pittore Massimo Stanzione , stroncato secondo le fonti , dalla peste del 1656 .

Accanto all’edificio , il Conservatorio dello Spirito Santo per fanciulle povere del 1654 , ora sede di uffici bancari e sul lato sinistro , la facciata laterale di Palazzo Maddaloni (1582) trasformato nel 1600 dall’architetto Cosimo Fanzago e nel 700  al centro della vita mondana aristocratica della citta’ . ( tra gli ospiti illustri figura Giacomo Casanova )

La nostra lunga strada termine nel suo terzo spazio , dedicato al sommo poeta Dante .
L’emiciclo di ordine- dorico che attualmente delinea la piazza fù voluto da carlo ||| ed eseguito da Luigi Vanvitelli.
Sulla balaustra possiamo notare ben 26 statue ( 3 di Giuseppe Sammartino ) che rappresentano altrettante virtù di re Carlo .
La statua di Dante Alighieri presente al centro della Piazza e’ opera di Tito Angelino .

Continuando oltre , al termine di questa lungo strada troveremo la nostra ultima tappa , cioe’ il  monumentale palazzo seicentesco che ospita il Museo Archeologico Nazionale .
Il  Museo  e’ l’erede diretto del Real Museo Borbonico nato, nella seconda metà del ‘700, dalla volontà di Ferdinando di Borbone.
Fondato nel 1700,  annovera le collezioni Farnese e gli antichi  oggetti provenienti dagli scavi di Pompei ed Ercolano oltre ad opere d’arte e reperti d’ogni genere, dalla Preistoria all’età romana e medioevale, donati, acquistati, e sopratutto scavati dal 1700 ad oggi in Italia meridionale e nei siti Vesuviani.

Il Museo può vantare inoltre il più grande patrimonio di numismatica, opere d’arte e manufatti di interesse archeologico d’Italia con  oltre tremila oggetti di valore esposti nelle sue stanze.
Un posto assolutamente da visitare che vanta il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia.

 

 

Articolo scritto da Antonio Civetta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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