L’Arenella, oggi estesa nella parte alta fino alla zona ospedaliera e alla collina dei Camaldoli , rappresenta un importante punto di congiunzione tra il Vomero ed il centro storico.

Secondo molti l’origine del nome Arenella deriva dalla designazione che molti attribuivano ai detriti arenosi provenienti dalla collina dei Camaldoli trasportati dall’acqua piovana che si depositavano nello slargo poi mutato in Piazza. Essa pertanto costituisce una delle quattro arene di Napoli , insieme all’Arenaccia, all’Arena alla Sanità e all’Arena Sant’Antonio che accoglievano le acque dal sovrastanti monte camaldolese.

Il luogo, essendo isolato e molto scosceso, rimase, fino al ‘900, privo d’insediamenti di rilievo . Inizialmente costituita da una grande area di campagna , l’intera zona con  la presenza di poche vecchie case rurali ,  vide inizialmente la sola presenza di casali ed orti con isolati contadini   che lentamente aggregatisi  tra loro portarono al   sorgere di due principali nuclei abitativi : il villaggio Arenella e le Due Porte a  cui si accedeva tramite  sentieri in aspra salita, percorsi perlopiù a dorso d’asino .Erano inoltre presenti poche solitarie ville nobiliari ( case signorili di campagna ) sorte dal ‘600 in poi ad opera di notabili napoletani, come dimore di villeggiatura.

Analogamente a tutte le periferie extraurbane , l’Arenella  venne infatti promossa insieme a tanti altri villaggi agricoli ,a partire dal XV secolo , a luogo di villeggiatura  di molte  famiglie aristocratiche . La larga prevalenza di braccianti contadini e le piccole comunità di artigiani e commercianti insieme   all’aria salubre e le varie attrattive naturali  resero i villaggi in quel tempo , un delizioso luogo dove riposarsi lontano dalla caotica vita cittadina nonchè un fresco luogo dove rifugiarsi dall’afosa temperatura estiva del centro città.  Molte famiglie nobiliari costruirono pertanto le loro dimore estive proprio in questi villaggi agricoli alla larga da caos , e calura.

Una di queste dimore era una  proprietà  appartenente al filosofo ,scienzato e commediografo Giovanni Battista Della Porta che si trovava in salita Due Porte  . Si trattava di una villa con due portoni , lontana da occhi indiscreti , ed oggi scomparsa per far posto ad un moderno palazzo. di cemento . In questo luogo , il vero inventore del cannocchiale , istituì la sua Accademia dei Segreti ( Academia Secretorum Naturae ) poi chiusa per ordine papale perchè sospettata di occuparsi di argomenti occulti .Tra le passioni di questo grande uomo del Rinascimento , nato a Vico Equense vi erano infatti astrologia , esoterismo , decrittazione della scrittura egizia e ovviamente l’alchimia , tutti argomenti che gli causarono non pochi problemi con il Sant’Ufficio che più volte lo invitò a condurre una vita più austera.

Dopo secoli di oblio , gli ambienti che potrebbero essere stati il luogo di ritrovo degli adepti , sono stati riscoperti nel 1985 , durante una perlustrazione eseguita da alcuni geleologi . Oltrepassando un anfratto presente nel muro di muro presente in un garage sotterraneo di un palazzo in Via Cattaneo , all’angolo con piazzetta Due Porte , il geologo Fulvio Salvi , scoprì diverse stanze collegate tra loro con nicchie , lapidi , capitelli dorici, colonne intagliate nella roccia , tratti di finto opus reticulatum e affreschi raffiguranti scene dell’antico Egitto . In particolare a rappresentare Iside,  , la dea della magia e del sapere , che allatta il figlio Horus al cospetto di Anubi.

 

Su altre pareti dell’anfratto che gli anziani del luogo chiamano   “Teatrino ” , sono inoltre presenti simboli chiaramente esoterici come serpenti, incroci magici e strani numeri a forma di otto allungato . Ma il pezzo forte è rappresentato da una porta a forma di teschio con un’ orrenda bocca in cui pare che entrasse il maestro fondatore dell’Accademia .

Oggi purtroppo il sito , ovvero i resti di una villa rinascimentale di Giambattista della Porta, dove lo scienziato napoletano radunò attorno a sé diverse intelligenze per sperimentare l’alchimia, già due secoli prima del Principe di Sansevero, poichè resta di  proprietà privata è interdetto al pubblico e ridotto a deposito di materiale edile .

Gesù Crist’ da’ o’ pane a chi nun ten’ e’ rient! cioè la natura da tanto a chi non è in grado di farne buon uso.

o potremmo anche dire  :

È gghjùta ‘a lanterna ‘mmano ‘o cecato. Quando una cosa molto seria si dà in mano ad un incapace.

COSE DI NAPOLI !!!!

 

Dei due borghi rurali di cui era costituita l’antica Arenella , cioè il villaggio propriamente detto Arenella ed il villaggio chiamato due porte all’Arenella , quest’ultimo era il piu piccolo e si trovava alla sommità di un antico percorso , chiamato ” salita alle due porte “che collegava la zona bassa di Napoli con la collina . Esso era considerato un luogo di villeggiatura ma anche un luogo da temere . Si racconta infatti che la zona fosse abitata da una vecchia donna con un aspetto orribile ( bava alla bocca e occhi lacrimanti ) da molti considerata una vera e propria strega , che era solita vendicarsi di tutti quelli che la sfuggivano con anatemi e fatture o altre magherie che essa stessa poi toglieva facendosi pagare .

L’ origine del toponimo ‘Due Porte’  del luogo pare derivi dalla presenza un tempo della villa di  due dei quattro fratelli Della Porta , filosofi ed alchimisti , che qui si trasferirono , per godere dell’”aria migliore di Napoli“ e trascorrere in qiete gli ultimi anni della loro vita. Dopo la morte dello scienziato, i suoi beni passarono alla famiglia Costanzo e il villaggio si arricchì di altre proprietà e monumenti, come Villa Anna e la cappella intitolata S. Maria di Porta Coeli e San Gennaro, ancora in loco .

Secondo altre ipotesi il luogo si chiamava così perché nella piazza principale del villaggio si trovavano due porte tutt’ora esistenti. I due archi che un tempo erano  due porte intitolate  a San Gennaro e a San Domenico , immettono ora, in due strade , il vico molo alle due porte che una volta era il viale di una villa , ed il vico arco San Domenico , un vicolo stretto e buio che nel 600 era anche chiamato  passeggiata dei Gerolamini o ” vico delle fate “, perchè la maggior parte delle lavandaie al vomero dimoravano  in quel luogo (  le antiche lavandaie, belle e intriganti perchè   mandavano in estasi gli uomini mentre lavavano i panni, erano in  quel periodo chiamate ” fate ” ).

Sul primo viale , quello chiamato vico molo alle due porte c’è una bella storia che riguarda il suo toponimo.  Dobbiamo infatti innanzitutto chiederci cosa ci fa  un MOLO  in collina, così distante dal mare . Pare che il toponimo deriva dal fatto che durante l’estate, le coppie di giovani innamorati passavano le giornate intere lungo questa strada, passeggiando e godendo di un panorama mozzafiato sul lungomare napoletano proprio come se fossero stati in riva al mare. Di qui nasce poi il nome “Molo alle Due Porte” dato al luogo. L’arco , che da accesso al vico ,  presenta uno scudo di marmo con un leone rampante sormontato da tre stelle.  Al termine del vicolo si trova un bel palazzo di fine settecento dal bel prospetto bianco con portale d’ingresso e decorazioni a conchiglia sulle finestre . Si tratta della bella Villa La Marca .

Sul secondo viale , quello che da su Vico Arco San Domenico , sappiamo invece che il suo toponimo deriva dalla presenza di case dei frati di San Domenico Soriano .

Questo luogo in origine , era “per bellezza comparabile a Posillipo“, era abitata e frequentata da noti personaggi storici famosi . Tra quelli che vissero qui,  vi era sicuramente Carlo Cattaneo che costruì una magnifica villa proprio sulla strada che conduceva al villaggio (che ora, appunto, è stata intitolata a lui) .

Nel 1664, la nobildonna Isabella Di Costanzo, erede di Cinzia Della Porta, figlia di Gian Battista, fece erigere la chiesa di Santa Maria Coeli e San Gennaro, ( come suggerisce la  lapide  ben leggibile posta sulla facciata) per  permettere ai fedeli del villaggio, di ascoltar messa senza doversi recare in luoghi di culto lontani; a Capodimonte, se non addirittura alla Sanità. Donna Isabella, sposa di Alfonso di Costanzo, amava passare il tempo in questi luoghi salubri, così la cappella divenne anche il luogo di sepoltura della famiglia. La tomba sepolcrale settecentesca di Francesco Maria Di Costanzo, è visibile attraverso una lastra di cristallo nel pavimento della Cappella, e nei sotterranei vi sono tre sarcofagi gotici antecedenti la costruzione della stessa. Una lapide in latino,apposta al centro della chiesa, ci spiega che appartengono a Ludovico e Luigi Di Costanzo, entrambi vescovi, ed a Giovannello, fratello di Ludovico, militare. La cripta contiene altri elementi, tuttora oggetto di studio, che la legano al medioevo, e,come vedremo, ai Cavalieri Templari. I personaggi le cui spoglie sono contenute nei sarcofagi, sono morti tra il XIV e XV secolo, e poi spostate qui, per volere della famiglia. Nel 1760, l’ultimo erede dei Di Costanzo, quel Francesco Maria anch’egli qui sepolto, non ritenendo più utile posseder la Cappella, la donò alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro.

La chiesetta . mostra una facciata con un primo ordine bugnato ed un secondo ordine con finestra centrale ad arco ribassato . Possiede inoltre un campaniletto con cupola a bulbo risalente al settecento. Essa è popolarmente nota come ” chiesa delle fate “.

 

 

Dal 1°Novembre 2016,  poi  la cappella di Santa Maria Porta Coeli e di San Gennaro  è stata ufficialmente consegnata in comodato d’uso per attività di  solidarietà e volontariato , dalla Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro , ai fratelli dei poveri Cavaleri di Cristo i Templari Jacques De Molay , che si sono impegnati a ripristinarla e aprirla al  culto religioso dopo oltre 30 anni  dalla sua chiusura, poiché caduta in un forte stato di abbandono e ampiamente vandalizzata.
Il  luogo sacro fra i suoi tesori  annovera una tela di Pacecco De Rosa ” San Gennaro intercede presso la Vergine per la salvezza di Napoli ”   in memoria del miracoloso progidio del Santo Patrono che arrestò l’eruzione del Vesuvio del 1631.

Il villaggio di Due Porte era anche collegato al villaggio Cangiano , posto molto più in alto , mediante la Cupa Gerolomini , una stradina stretta e solitaria che decorrendo parallelamente a via Domenico Fontana prima e via Bernardo Cavallino dopo , si snoda  tra  alti muri tufacei costeggiando  sulla destra alcune palazzine moderne  e sulla sinistra la bella Villa Parediso  .Questa stretta via oggi perlopiù abbandonata , termina in alto all’incrocio  tra via D ‘ Antona e via Pietro Castellino in prossimità dell’Ospedale Cardarelli accanto all’ l’ingresso di una grossa villa ( villa Paradiso ) che sul suo portale reca una scritta inneggiante i benefici del luogo ( salubritate coelilocique amoenitate animi corporisque reficienti ). Questa villa nacque dall’unificazione a fine ottocento di due grandi proprietà ,: villa Ruffo nella parte superiore e villa Romeo nella parte inferiore .

La Cupa Gerolomini prende il nome dai padri Gerolomini ( Oratoriani )che in questa zona avevano fatto erigere negli anni 1660/ 80 la loro casa estiva ,divenuta poi Villa Rotondo , con la famosa quadreria visitata anche da D’Annunzio a cui oggi si accede da un androne in Via B. Cavallino 39. Un tempo questa  costruzione era costituita da una ampia proprietà che venne poi in gran parte distrutta dalla costruzione nel dopoguerra del parco ice-snei.

L ‘antica cupa , nel suo tratto basso sfocia nel suggestivo ” Largo delle Due Porte ” che vede dipartire dal suo piccolo spazio ben cinque stradine . Una di queste con una breve salita a tornanti sbuca  su Via Fontana , fiancheggiando la chiesetta di Santa Maria dell Grazie ,con la sua bella facciata neorinascimentale,  fondata nel 1690 dalla famiglia dei Della Porta

 

L’itinerario descritto della cupa dei Girolamini , corrisponde di fatto ad un vecchio corso di acqua che si ritiene esistesse fino al Medioevo : esso scorreva ipoteticamente dall’attuale zona Ospedaliera ( e prima ancora dalla collina dei camaldoli ), per discendere lungo cupa dei Girolamini , salita Due Porte ed in seguito , scorrendo per vico Nocelle , procedesse per l’attuale via Correra ( non a caso detta ancora ” il cavone “), piazza Dante , via Monteoliveto, ed infine piazza Municipio , dove sfociava in mare

CURIOSITA’ .:  Nel  Largo delle Due Porte ,  come vi abbiamo detto prima ,  si trovava un tempo  la casa dei fratelli Della Porta che poi divenne proprietà della famiglia Costanzo .La  localizzazione esatta di questa anticae storica casa corrisponde  oggi a quella di un  moderno  edificio in cemento armato che ha preso il suo posto.

Dopo lo slargo delle Due porte , se si continua a scendere  la strada che oggi si chiama Via Cattaneo ed un tempo  salita Monte Due Porte , si giunge alla bellissima  Villa Visocchi dove sembra che il celebre illuminista Pietro Giannone abbia più volte trascorso le sue giornate estive .La villa come la vediamo oggi , fu ammodernata e allargata su progetto di Ferdinando Sanfelice . Pervenuta al giurista e storico martire Giannone ( morto esule dopo più di 12 anni di carcere ) , la villa passò al marito della figlia Anna , il senatore Visocchi Stravinsky.

Il complesso attuale ,rinnovato in stile tardo floreale negli anni 30 dall’architetto G. B, Comencini , si caratterizza sopratutto per la sua bella cancellata in ferro battuto , le aquile di bronzo sui pilastri e la sua bellissima corte . L’edificio ed il suo panoramico parco con alberi d’alto fusto è miracolosamnte scampato nel 1975 alla costruzione dello svincolo della tangenziale che nel progetto originale doveva attraversarla.

Un decina di metri dopo Villa Visocchi , possiamo vedere delle rampe di scale ottocentesche che dopo un breve tratto ci conduce nella triangolare piazza De Leva . Proseguendo a sinistra per via Salvo d’Acquisto , ( abitava in questa  via la famiglia del carabiniere insignito della medagliad’oro alla memoria per l’eroico sacrificio che lo vide protagonista presso Torre di Palidoro ) , al di sopra di una doppia rampa troviamo la parrocchia di Santa Maria della Salute risalente al 1586. La sua facciata mostra una nicchia contenente la Madonna con bambino , mentre il suo interno mostra due belle cappelle affrescate , altari in marmo policromi e due tele di O, Palumbo.  Purtroppo la chiesa ha sibito nel corso degli anni varie modifiche divenendo addirittura per un periodo anche un edificio privato , perdendo in tal modo molte statue , tnumerose tele e molti affreschi di cui era dotata.

Il villaggio  delle Due Porte e quello propriamente detto dell’Arenella , non sono purtroppo sopravvissuti alle demolizioni e invasione di cemento che ha affogato l’intera zona : intorno al 1960 sono stati costruiti palazzoni in posizioni a dir poco impossibili . Un esempio su tutti alcuni edifici degli anni 80 ben visibili all’uscita della tangenziale Arenella . Questi scheletri in cemento armato hanno preso in maniera illegale il posto di alcuni orti e vigneti . Al centro di una lunga trafila legale , solo di recente alcuni di questi ecomostri sono stati parzialmente abbattuti .

L’ urbanizzazione  che oggi vediamo ,dell’intera area del quartiere Arenella ,  rientrava tra i piani del famoso Risanamento del 1866 , ma per carenza di fondi iniziò solo nel 1926 con l’intenzione, però di destinare a giardini, vie e piazze più della metà del territorio da urbanizzare.Prima della seconda guerra mondiale vi erano quindi presenti ben poche costruzioni abitative ed il luogo era famoso in città per il suo clima salubre a tal punto da farlo considerare , nella sua parte più alta , il luogo adatto per la costruzione di un grande complesso Ospedaliero .

Il troppo vicino Vomero intanto si avviava a diventare un quartiere residenziale signorile espandendosi spesso con scempi edilizi che non risparmiarono neanche il nuovo rione Arenella . La sua caratteristica bassa urbanizzazione , in conseguenza della saturazione edilizia del vicino quartiere Vomero , venne inglobata dalla nuova spregiudicata ed incosciente edilizia di insaziabili imprenditori . All’esaurirsi delle zone edificabili dell’area Vomero  l’antico  salubre  rione Arenella dovette così subire dalla metà del XIX secolo  una pesante speculazione edilizia .  La massiccia urbanizzazione ebbe inizio poco prima della seconda guerra mondiale per poi intensificarsi  a partire dalla seconda metà del novecento .

 

Idealmente l’Arenella comincia da  quella Piazza degli Artisti che oggi è sede di uno dei più animati mercati cittadini . In questo tratto , accanto ai giardinetti di Via Ruoppolo ,è presente la Chiesa dei Fiorentini , ricostruita in questo posto nel XX secolo dopo che l’originale , datata 1461.presente nel quartiere dei Guantai, fu demolita nel 1953 per per decisione di  una demenziale amministrazione comunale  che per  bonificare il  vecchio rione  Carità  decise di   far sorgere  al suo posto il brutto palazzo della ” Standa “. La chiesa  dopo la fine della guerra, nonostante i bombardamenti, stava sempre in piedi ed appariva ancora perfettamente solida, a dispetto dei suoi quattrocento anni. eppure, malgrado ciò, la cieca amministrazione comunale  decise di espropriare e lottizzare l’intero «Rione San Giuseppe Carità» per darlo in pasto alla speculazione edilizia  ( era il periodo di Achille Lauro ).

La stolta amministrazione di colui che con la sua anonima e brutta edilizia ha come pochi altri deturpato la nostra bella città , portò così alla scomparsa di uno storico edificio cui furono devoti i mercanti toscani concentrati in quella zona  a Napoli , e con esso anche i resti mortali seppelliti in quella chiesa , del famoso ministro  Bernardo Tanucci . Le spoglie  del  potente segretario di stato  durante il regno borbonico  , sono poi state fortunosamente  ritrovate  in un  ipogeo presente sotto la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi  ( vedi articolo ).

 La bella  chiesa, fondata nella prima metà del quindicesimo secolo da Isabella d’Aragona, dove esistevano pregevoli opere d’arte come otto statue del Naccherino e pregevoli dipinti di  Marco Pino e Giovanni Balducci nonchè  sull’altare maggiore, nonchè una bella  Natività di Cristo di Marco da Siena , una volta abbattuta , perché la sua presenza ostacolava gli interessi degli speculatori venne “ricostruita ”  all’Arenella  in un contesto moderno . Nella nuova chiesa l’intero patrimonio artistico e storico della vecchia chiesa .non trovò però adeguato spazio  riuscendo ad accogliere solo nove  dipinti provenienti dalla vecchia chiesa  e nemmeno una statua.

Dopo la demolizione otto statue di marmo di Michelangelo Naccherino e bottega raffiguranti Apostoli e Profeti furono collocate nella Basilica dell’Incoronata a Capodimonte, mentre solo nove tele dei pittori toscani Marco Pino, Giovanni Balducci e Pompeo Caccini furono portate nell’attuale chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.

La chiesa moderna è decorata da un ciclo di 23 vetrate del pittore napoletano Antonio Virgilio, eseguite negli anni ‘60 e raffiguranti il mistero pasquale della Chiesa e la vita del Battista. All’artista napoletano Luigi Ciccone,(  allievo di Vincenzo Gemito,)  si devono invece l’altare, il tabernacolo e il Cristo risorto. Lungo la navata si trovano quattro tavole del pittore fiorentino cinquecentesco Giovanni Balducci, uno dei più tipici esponenti dell’arte devota della Controriforma mentre la zona absidale è ornata da cinque tele di Marco Pino da Siena.

Poco distante , dal mercatino rionale presente alle spalle di Piazza degli artisti , in Via Sa Gennaro a Antignano , prima dell’incrocio con Via Conte della Cerra, troviamo presente un’altra importante chiesa intorno alla quale ruota la storia del Rione . Si tratta della basilica di San Gennaro a Antignano , costruita tra il 1904 e il 1938 in stile romanico su progetto di Giuseppe Pisanti , sovrapposta alla cappella ” VACCHIANO ” ( dal nome della famiglia ).

Nei primi anni del XVII secolo , un ramo del casato della nobile famiglia Vacchiano , originaria di Cicciano dove era proprietaria di innumerevoli beni feudali , decise di trasferire  la propria  dimora nella capitale del Regno, Napoli , comprando oltre ad una  grande masseria rustica  a Monteverginella, verso Poggioreale, circondata da ben 30 moggia (ca. 10 ettari)  anche e sopratutto  un’altra masseria, di maggior pregio architettonico, sita nel Casale di Antignano, la cui struttura, consistente in una villa di svariati membri, un cortile rustico con aia e stalle, e numerosi bassi adibiti a magazzini, risaliva ai primi anni del sec. XVII, ed alla quale erano annesse quasi 15 moggia (ca. 5 ettari) di terreno .

Don Antonio Vacchiano , concentrò i suoi interessi economici e commerciali nell ‘acquisto di vari beni terreni ed immobiliari in città ( Chiaia, Montecalvario  Pignasecca ) ma sopratutto nel casale di Antignano dove con il tempo arrivò ad acquistare la quasi totalità delle proprietà rustiche della zona.  Egli si premurò di riorganizzare radicalmente la vita agreste del luogo, non solo affidando la coltivazione dei vasti fondi a coloni locali, ma anche erigendo apposite strutture (case con cortile, stanze di servizio al pian terreno e terrazzi ottenuti al di sopra dei depositi) per stallieri, cellai, ed altre figure alle sue dipendenze.

Negli anni successivi, intorno al 1810, nel Casale di Antignano, ove la famiglia maturava, come già detto significativi interessi fondiari, l’Architetto di Casa Reale don Antonio de Simone acquistò dai nobili Ossorio Calà , marchesi di Villanova, la Masseria Pontaniana  in Largo Antignano, n.10 ed i territori ad essa pertinenti, compreso quelli della vicina Villa Pontano ad Antignano ( proprietà che si estendeva fino alla chiesa di San Gennariello, ed abbattuta tra il 1895 e il 1897 ) ,all’interno dei quali figurava una piccola cappella, risalente al 1707, sorta nel luogo ove sarebbe avvenuto, per la prima volta  , nel 315 , il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. Questo sarebbe avvenuto, seconda una tradizione locale, al passaggio delle ossa del martire lungo quella strada sotto l’impero di  Costantino.

N.B.  La residenza estiva di Giovanni Pontano ,  segretario di Ferrante I e Alfonso II d’Aragona, fu edificata ad Antignano nel1472 circa. La proprietà si estendeva verso i Camaldoli ed era circondata da giardini ed orti dove il Poeta si rifugiava per comporre versi; qui scrisse l’opera più celebre: il dialogo “Asinus”. Due lapidi poste all’ingresso ci ricordano che la villa fu acquistata nel 1626 da don Pedro Ossorio de Figueroa; nel 1810 passò ad Antonio de Simone, consigliere e architetto di Ferdinando I di Borbone.

Di villa Pontaniana, il cui ingresso fu inglobato in un edificio del 1818, non rimane nulla, ad eccezione degli archi abbassati
tipici del periodo aragonese; degli orti rimane una piccola traccia all’interno di villa Rosalba.

Sulla summenzionata cappella di San Gennaro, in seguito rammentata come Cappella Vacchiano , i  precedenti proprietari del terreno dove prima sorgeva un’edicola  avevano infatti commissionato  la costruzione  di un altarino  ( una volta a mo’ di cappella ) e sulla sulla facciata di esso  posto una  testa in marmo del Santo.

Il piccolo monumento , di fattura cinquecentesca , era in quest’epoca  già meta di fastose processioni da parte dei numerosi fedeli  e in seguito all’acquisto della famiglia Vacchiano , prese ,da quel momento a chiamarsi col nome dei nuovi proprietari .

Nel 1813 , il re Ferdinando I, acquistò la cappella ed il suolo circostante dal suo architetto di corte Antonio De Simone con la volontà di  costruire sul luogo una grande Basilica in onore del santo , progettata sul modello di San Francesco di Paola .La prima pietra fu gettata il 4 maggio 1859 dal cardinale Riario Sforza ma la costruzione fu interrotta nel 1860 per la caduta del Regno Borbonico e fu ridotta a palazzo privato, riconoscibile nell’edificio fronteggiante la chiesa. Il  progetto  di Ferdinando  rimase quindi  solo un bel sogno  a causa della caduta della dinastia borbonica.

Nel  1897 , il complesso , nonostante Vittorio Emanuele l’avesse dichiarato monumento nazionale fu abbattuto, ed ad oggi , l’unica sua cosa presente è la sola testa in marmo del santo  incorporata in un monumento in piperno posto nei pressi di via Conte della Cerra .Una lapide , datata 1513, evidenzia in aggiunta , la pietra su cui sarebbe stata poggiata la testa del santo.

Nel  1902  il monsignore Gennaro Sperindeo ,vista l’indignazione degli abitanti della zona per l’abbattimento della vecchia Cappella , in occasione del sedicesimo centenario del martirio di San Gennaro , programmò la realizzazione d’una chiesa sul luogo dove era prima presente la vecchia cappella , mediante raccolta di elemosine e varie offerte dei fedeli .

Si tratta quindi di una chiesa di recente costruzione  realizzata su progetto di G. Pisanti per ricordare una chiesa molto più antica fondata, secondo la tradizione, sul luogo dove nel V secolo , si verificò per la prima volta la liquefazione del sangue di San Gennaro durante la traslazione delle reliquie del Santo dall’agro Marciano alle catacombe di Capodimonte.. Essa secondo alcuni storici, esisteva già nel sec. XIII perché in un documento dell’epoca si legge che un terreno della zona confinava con la chiesa di San Gennaro. Inoltre la chiesa viene citata in un atto notarile del 1472 relativo all’acquisto di una villa da parte dell’umanista Giovanni Pontano, nel quale si legge che la proprietà si estendeva da Antignano fino alla chiesetta di San Gennariello.  Nel 1513 fu ricostruita ed alla fine del ‘600 era nota come San Gennaro alle Gradelle, perché per accedervi si dovevano salire alcuni gradini. Rimaneggiata più volte fu poi affidata ai padri Cistercensi dal 1711 al 1807, anno in cui furono espulsi per la soppressione degli ordini religiosi da parte di Giuseppe Bonaparte. Fu tenuta dal 1821 al 1865 dai Frati Minori Conventuali di San Lorenzo Maggiore, che la riebbero nel 1920.

Secondo queste fonti quindi  questa antica  chiesa napoletana  sarebbe stata la prima ad aver ospitato le reliquie di San Gennaro e  la prima sede napoletana dove sarebbe avvenuto il fenomeno della liquefazione del sangue durante la  breve sosta.

L’edificio nella sua facciata si ispira alle basiliche paleocristiane d’impianto romanico . Essa  presenta un portale in piperno al di sopra del quale c’è un rilievo marmoreo con San Francesco, messo al posto della testina di San Gennaro presente dal 1897 al 1941, anno in cui fu trasferita su un monumentino in piperno presso la chiesa di San Gennaro ad Antignano. Sul lato sinistro della facciata, incastrata nel muro, si nota un’ara romana trovata in loco, a testimonianza dell’antica frequentazione della zona.

L’interno della chiesa si presenta di dimensioni modeste, e con  un’architettura ancora riferibile al Settecento, specie per le due acquasantiere poste all’ingresso, a destra e a sinistra, recanti all’apice della vaschetta mitra e pastorale, (simbologia ricorrente per le versioni sulla figura di San Gennaro ) Ai lati dell’ingresso, vi sono due lapidi marmoree. La lapide di sinistra fu trasferita dalla Cappella Vacchiano dopo la sua demolizione e ne ricorda la fondazione al 1707; quella di destra risale al 1513 e ricorda che su una pietra collocata accanto alla parete sarebbe stata poggiata la testa del Martire durante la sosta del corteo ad Antignano. Ai lati dell’altar maggiore due piccoli bassorilievi in marmo ottocenteschi raffigurano il martirio e la glorificazione di San Gennaro.

Le tre navate, sono divise da 12 colonne di granito con capitelli, transetto e abside semicircolare .  Sulla parete della navata minore destra un bassorilievo in marmo raffigura l’offerta delle ampolle al vescovo di Napoli, Giovanni I, che guidava il corteo. Sulla parete della navata minore sinistra una targa marmorea ricorda la fondazione della chiesa nel 1904 e la sua elevazione da parte di Papa Pio X a Basilica Minore nel 1909 e Pontificia nel 1912. Il mosaico del catino absidale con San Gennaro orante, eseguito dai mosaicisti vaticani nel 1960, è ripreso dagli affreschi delle catacombe di San Gennaro.

La chiesa  è  annotata tra gli archivi come la chiesa di San Gennaro alle Gradelle ma è conosciuta più col semplice toponimo di chiesa di San Gennariello  o anche in taluni casi detta La Piccola Pompei al Vomero, per la presenza sulla parete centrale al suo interno di  un’immagine molto venerata della Madonna di Pompei dipinta nel 1945 dal frate minore conventuale Padre Stefano Macario. racchiusa in un ovale racchiuso in una cornice fastosa di manifattura ottocentesca.

La chiesa completata in tutte le sue parti solo nel 1968, è una delle tre chiese presente sulla collina del Vomero .

La presenza nella zona di Antignano di tante chiese dedicate a San Gennaro si spiega con l’antica tradizione che voleva in tali luoghi il passaggio delle reliquie del Martire durante la loro traslazione tra il 413 e il 431 d.C. dall’agro Marciano, località della sua prima sepoltura ( attuale zona di Via Terracina a Fuorigrotta, ) alle catacombe di Capodimonte, passando lungo la Via Antiniana, tratto dell’antica Via Puteolis-Neapolim per colles, e l’avvenimento del primo miracolo della liquefazione del sangue. Si tramanda che durante la sosta del corteo uscisse da una casa di Antignano una pia donna che aveva conservato il sangue del Santo in alcune ampolline e che, portate queste a contatto con i resti del Martire, il sangue cominciò a ribollire e si sciolse. Secondo la tradizione sul luogo fu eretto un altarino e su di esso fu posta una testa di marmo del Santo; in seguito sullo stesso sito, nella biforcazione tra le Vie San Gennaro ad Antignano e San Gennaro al Vomero, fu eretta la  cosidetta “Cappella Vacchiano”

Un ‘altra importante chiesa dedicata a San Gennaro , presente al Vomero si trova ubicata in via Bernini , nelle immediate vicinanze di piazza Vanvitelli . La sua costruzione avvenuta nel 1884 ,  fu necessaria per dare all’intera  zona una nuova struttura di culto, poiché la vicina chiesa di Santa Maria del Soccorso all’Arenella  non riusciva più a soddisfare, da sola, le esigenze dei fedeli: uno dei motivi principali è che oramai si presentava troppo decentrata. La costruzione della chiesa fu possibile soprattutto grazie all’intervento di re Umberto I che permise la costruzione di quattro nuove parrocchie, tra cui questa in questione.

Chiesa di San Gennaro al Vomero

 

Nel corso della sua storia è stata restaurata due volte a causa di crolli e lesioni provocati da due terremoti, quello del 1930   e quello del  1980.

L’edificio è in stile neoclassico a croce latina mostra  unica grande navata ,sovrastata da una grande cupola  , sei arcate  e sei cappelle . L’altare maggiore è settecentesco, ornato con marmi policromi e graziose testine di cherubini. Nella nicchia della parete di fondo si nota un busto di legno policromo di San Gennaro sette-ottocentesco.

La controfacciata è caratterizzata da una cantoria dell’inizio del XX secolo  , in legno intagliato, ed anche da un grande e pregevole organo in legno dipinto, intagliato a metallo a fusione.

Le opere d’arte di maggior pregio sono quattro tele provenienti dal monastero di Santa Patrizia all’Anticaglia soppresso nel 1864 :si tratta di quattro dipinti su tavola. All’interno della chiesa sono inoltre collocate anche acquasantiere, fonte battesimale e altari in marmi policromi (oltre a quello maggiore) , creati da maestranze napoletane. . La navata e il  presbiterio  inoltre, sono abbelliti da 12 grandi lampadari di vetro di Murano . Da ricordare anche il crocifisso della mensa.

Un’altra importante chiesa attorno alla quale ruota la storia del quartiere è quella di Santa Maria del Soccorso edificata dove un tempo si trovava l’antico villaggio  di contadini dell’Arenella . In origine era solo una cappella eretta nell’anno 1599 e solo nel 1672 divenne parrocchia ,  quando cioè gli  abitanti del borgo ottennero il permesso di costruire un luogo di culto dal vicerè Juan de Zuniga .

La chiesa di Santa Maria del Soccorso, a causa dei radicali restauri effettuati nel Settecento e negli anni sessanta del Novecento, oggi non mostra  nulla  della sua primitiva costruzione. La sua deliziosa facciata rosea mostra nella sua parte superiore due belli orologi maiolicati mentre nel suo intero settecentesco troviamo nella parte superiore della controfacciata un importante affresco di autore ignoto, raffigurante Santa Monica e Sant’Agostino . Ad essere degne di menzione sono anche le acquasantiere e le poche tele che si ammirano nelle cappelle laterali, come: il Tobiolo e l’Angelo di Salvatore Mollo , la Madonna con le anime purganti di Raffaele Spanò, la Crocifissionelo Sposalizio della Vergine e la Fuga in Egitto realizzate da ignoti pittori settecenteschi. L’altare maggiore, in marmi policromi, è stato invece smembrato in seguito al Concilio Vaticano II.

 

Nella vicina  Via Giacinto Gigante è presente l’Arciconfraternita di Santa Maria del Soccorso eretta nel 1704 con nel suo interno , la statua di una Madonna di Fatima molto venerata ed una cripta ricavata in una cavità naturale. Sotto la  chiesetta è anche presente un importante ipogeo ( terrasanta ) oggi chiuso.

In una casa di fronte a questa  chiesa , nacque nel 1615 il figlio più illustre dell’allora borgo Arenella , cioè il pittore Salvator Rosa a cui è dedicata una statua ( di Achille d’Orsi ) al centro di Piazza Muzii , a pochi metri dalla scultura della Madonna dell’Immacolata . A dire il vero la statua di Muzii era prima posta al centro della piazza ma fu poi spostata per dare priorità all’immagine della  Madonna Immacolata.

Salvator Rosa , nacque in una vecchia casa-masseria rurale sulla cui parete il 20 ottobre1876  fu apposta una lapide commemorativa; ma questo non servì a salvarla dal suo abbattimento che  avvenne nel 1938 . L’edificio fu infatti distrutto, insieme ad altre vecchie case rurali contigue, per ottemperare al piano di ampliamento del rione Arenella e costruire nuovi palazzi.

La casa fu costruita da suo nonno Salvatore che in età anziana chiese a suo figlio di ammogliarsi nella casa paterna facendo costruire  a sue spese una camera dove poi venne al mondo Salvatore.

Ala morte di suo padre , avvenuta quando lui aveva soltanto sei anni , la madre lo abbandonò al nonno insieme coi  fratelli. Fu presto mandato a studiare nel convento dei padri Scolopi , dove manifestò per la prima volta l’interesse per l’arte. Cresciuto , imparò a dipingere nella bottega di Francesco Fracanzano , poi conobbe Aniello Falcone , di cui subì idee e  influenza pittorica . Nel 1634 si trasferì a Roma , poi tornò a Napoli dando prova di bravura nelle scene di paesaggio, prima di stabilirsi a Firenze come pittore alla corte di Mattia de’ Medici , per il quale riprodusse battaglie , paesaggi e vedute fantastiche . A Firenze inoltre  promosse l’Accademia dei Percossi che riuniva poeti , letterati e pittori .Nel 1649 , ritornò a Roma dove ebbe inizio per lui un periodo di riflessione durante il quale dipinse in prevalenza soggetti biblici ,religiosi, e mitologici , tuttavia sempre con un’intenzione moralizzante . A Napoli  iinvece  fece invece parte di quella famosa Compagna della morte , fondata da Aniello  Falcone per vendicare la morte di un amico , che ebbe come scopo l’uccisione di tutti i soldati spagnoli presenti a Napoli , colti specialmente in agguati improvvisi e notturni .Avrebbero fatto parte della Compagnia i migliori allievi di A. Falcone , tutti abili spadaccini , come Micco Spadaro , Luca Forte , e appunto Salvator Rosa , oltre che un giovanissimo Masaniello.

La casa masseria , come le altre case rurali della zona venne abbattuta per dar luogo alla realizzazione della attuale Piazza Muzii

La piazza è dedicata a  l’ufficiale napoletano Francesco Muzii , nato a Napoli nel 1864 ,e morto in seguito a ferite riportate in combattimento nel 1912   A lui fu conferita nel 1913  , la  Medaglia a valor Militare .

Molte strade del  quartiere sono comunque dedicate a pittori ed artisti. Tra questi ricordiamo Sebastiano Conca , la cui trafficata via si trova tra via Mario Fiore e Via Giotto .Cona fu  allievo di Francesco Solimena che frequentò per oltre 15 anni , egli nacque a Gaeta nel 1680 , studiò a Napoli e collaborò alle opere eseguite dal maestro per l’Abbazia di Montecassino . Trasferito a Roma nel 1707 , si affermò grazie al mecenatismo di personaggi di primo piano , come i cardinali Ottoboni , Ferrari , Acquaviva e dei Pontefici Clemente XI e Benedetto XIII , che gli affidarono incarichi sempre più prestigiosi. A sancirne il definitivo successo fu la decorazione del soffitto della Chiesa di Santa Cecilia in Trastevere e la successiva presidenza alla Accademia di San Luca.

 

Tornato a Napoli nel 1752 , grazie alla protezione del Vanvitelli , ricevette oneri ed incarichi da Carlo II di Borbone e dai più potenti ordini religiosi partenopei. Le sue opere più significative di quegli anni sono purtroppo andate quasi tutte perdute ( affreschi della chiesa di Santa Chiara e 5 tele per la cappella palatina del Palazzo Reale di Caserta ) .

La serie di dipinti del soffitto di Santa Chiara sono quelle che gli procurarono la maggior fame e gloria in città . Purtroppo, però, il bombardamento del 1943 , che distrusse completamente la chiesa , ha completamente fatto perdere a noi tutti questa mgnifica opera .

Tra via Simone Martini e via Giuseppe Capaldo troviamo invece una strada dedicata all’autore della statua di re Ruggero II , che troviamo in una delle nicchie del Palazzo Reale di Piazza del Plebiscito . In verità ad Emilio Franceschi  fu affidata , dopo aver vinto un concorso , anche la cosstruzione del monumento a Vittorio Emanuele che dopo ben 12 anni , alla sua prematura avvenuta morte ( 51 aani ) egli comunque non aveva ancora completato .

Del monumento in dodici anni per lungaggini burocratiche e di finanziamenti che scarseggiavano , egli nel suo studio di Capodimonte riuscì a realizzare solo il cavallo a grandezza naturale  e alcuni bozzetti . La rimanente parte della statua , cioè la figura del re , venne poi scolpita da Tommaso Solari e Alfonso Bazzico , mentre la statua di Partenope , che fa parte del basamento dell’opera fu invece scolpita da Salvatore Cepparulo .

Il monumento insomma per essere completato  ed inaugurato impiegò altri 10 anni . Si vede che questo re , evidentente proprio NESSUNO LO VOLEVA .

Da Piazza Muzii , salendo via Domenico Fontana con i suoi moderni palazzi residenziali ed un bel panorama che abbraccia il golfo , si arriva nella zona ospedaliera dove sono presenti i principali nosocomi della città . Essi sono dedicati ad alcuni dei grandi medici vissuti in cittò tra il settecento ed il novecento come   Domenico Cotugno , Vincenzo Monaldi, Giovanni Pascale   ed Antonio Cardarelli . Sono inoltre presenti il Policlinico Universitario,  le  le facoltà di Medicina, Farmacia e Biotecnologie dell’Università Federico II , nonchè un centro di ricerca del CNR .

Da questa panoramica altura salendo troviamo prima il moderno rione Alto , sorto negli anni sessanta e poi continuando a salire si può raggiungere la sommità dei Camaldoli , dove è presente un enorme Parco urbano con un’estesa area di verde ed un incredibile panorama mozzafiato sui campi flegrei .

Troviamo in questa zona anche un quiete  eretto nel 1585 dalla Congregazione camaldolese della Trasfigurazione , sostenuta da Giovannai d’Avalos e dalla figlia di re Ferrante d’Aragona , Maria .

La chiesa qui presente , sorge dove un tempo vi era già una chiesetta dedicata al Santissimo Salvatore , vicino ad una grotta che si narra fosse adibita al culto di San Gaudioso . La chiesa oggi presente ,  si erge invece dove un tempo era presente un tempio dedicato ad Era , edificato dagli antichi greci ( chiamato  Hermon ).

La chiesa oltre che conservare nel suo interno preziosi dipinti di Massimo Stanzione e Luca Giordano , custodisce anche un moderno crocifisso di Giulio Catelli disposto sulla croce con le gambe e le braccia accavallate , in maniera da formare una sorta di lettera y . Secondo molti studiosi di esoterismo , esso simbolereggerebbe l’ultima lettera dell’alfabeto greco che come sappiamo caratterizzava anche la zona di Forcella .

Altro edificio presente in zona dai chiari intenti simbolici misteriosi è un casale in rovina da tempo abbandonato , presente tra  via Camillo Guerra e via Soffritto , il cui nome è ancora impresso sul marmo : la decina.

La grande scrittura ha per lungo tempo suscitato la curiosità degli abitanti del luogo senza mai trovare una logica spiegazione. Pare alla fine che tale denominazione derivi da una grossa quercia chiamata appunto “decima o regina” presente nel suo vasto giardino.

Secondo alcuni studiosi invece potrebbe trattarsi di un riferimento all’ordine dei Templari.
Secondo questi infatti il numero 10 era in assoluto il numero perfetto poichè rappresentava la somma dei primi quattro numeri interi: 1+2+3+4=10.

L’ordine dei Templari fu infatti fondato da 10 templari (tra cui il fondatore Ugo di Payns) e nella loro cultura iniziatica il numero 10 ricorreva spesso. Era per loro un numero pieno e completo in sè stesso (la grande madre che abbraccia tutto e tutto delimita).

Un altro ornamento della facciata che suscita molti interrogativi alimentando la curiosità della gente che vi passa e’ quello della statua di una donna adagiata su una sfera con le mani congiunte in segno di penitenza.
Per alcuni si tratterebbe solo della Madonna Maria, madre di Cristo, che in passato veniva spesso posizionata agli incroci per aiutare i viandanti nella giusta scelta della via da percorrere; sembra questa l’ipotesi più cavalcabile considerato che un tempo il posto era un’antica osteria e un punto di dazio e confine.

Secondo altri invece, l’ immagine che balza agli occhi dei passanti incuriositi, non sarebbe altri che la rappresentazione di Maria Maddalena, figura sacra ai Cavalieri del tempio di Salomone, appunto di nuovo i Templari.

L’alone di mistero che circonda il casolare viene inoltre alimentato da un altro misterioso ornamento costituito da un bassorilievo posto sotto la Madonna , riportante uno stemma con armatura, elmo e armi da guerra, simile a quello adoperato dalle due logge massoniche “Società Torre di Guardia e Cavalieri Templari” quest’ultima attuale e appartenente al decimo grado del rito di York.

Ma il simbolo più interessante è situato all’ingresso di uno dei corpi che costituiscono il casale, si tratta del BAFOMETTO, la mitica “testa barbuta”, che pare fosse adorata dai Templari.Il discusso idolo della cui venerazione i templari furono accusati.

E’ posta all’ingresso di una grande stanza rettangolare con apertura ad occidente, caratteristiche tipiche richieste dal rito massonico per le sale di riunione ed iniziazione, ed è del tutto simile a quella che si trova all’interno di una delle sale di Castel del Monte in Puglia, il leggendario castello che fece costruire Federico II.

La stessa immagine la possiamo trovare anche sul portale della chiesa di Sainte-Merry a Parigi e su quello della chiesa di Sainte-Craix a Provins, luoghi da sempre ritenuti sede di cerimonie iniziatiche.

Bafometto viene raffigurato come un diavolo barbuto, alato ed ermafrodito, con faccia e gambe da caprone, corna e artigli. Ricordiamo a tal proposito che proprio per colpa di Bafometto l’inquisizione mise al rogo molti Templari con l’accusa di eresia.

 

 

CURIOSITA’ :

Dal piazzale dove è situato l’Ospedale possiamo al bivio , non solo salire salire verso i Camaldoli , ma in maniera opposta scendere lungi i Colli Aminei che portano verso Capodimonte o  volendo verso il centro della città . Questo tratto di strada in declivio era molto amato dagli antichi greci che qui producevano un ottimo vino dalla vite ” aminea “, ovvero amena , scomparsa con l’eccessiva urbanizzazione dell’intera zona.

Ai Colli Aminei , sorgeva un tempo , nella zona dove ora esiste il “parco del Poggio ” un grosso mausuleo funebre detto ” la connocchia “, andato distrutto nel 1965. Esso era situato all’imbocco della salita ” lo scudillo ” , un suggestivo stretto e ripido strada  tufacea di epoca romana che partendo dai colli aminei  conduceva direttamente al rione Sanità all’altezza dell’Ospedale San Gennaro . La strada ,stretta e con forte pendenza ,  come accennato, pare esistere, con il nome di “Scutillum”, già dai tempi dei romani, tanto che lì c’era l’antichissimo mausoleo della Conocchia (un colombario del primo secolo distrutto nel 1965 per speculazioni edilizie, che era meta di molti visitatori stranieri nel corso dell’800). Ma il nome dello Scudillo potrebbe anche fare riferimento al fatto che questa piccola via, utilizzata per secoli come collegamento fra la parte alta della città, che era campagna, e quella vivace dei mercati del centro, era “scura”, ombreggiata da alberi e costoni di tufo. In ogni caso questa salita scavata nella roccia, anche per la sua veduta panoramica, venne scelta nel Settecento come residenza di molte nobili famiglie napoletane, e non a caso lì si trovano ancora oggi palazzi bellissimi come Villa Domi o il Convitto Pontano.

Un tempo , molto trafficata perchè tagliando in due la collina permetteva un rapido collegamento con il centro della città , oggi la bellissima strada di epoca romana che collega la Sanità con la parte alta della città, costeggiando, fra cave di tufo e panorami del Vesuvio, chiusa al transito per motivi di staticità , invece di essere recuperata,  è diventato per un tratto una discarica illegale, e per un altro una vera e propria giungla inaccessibile.

E’ bastato il solo crollo di un costone di tufo, che rappresentava un muro perimetrale della strada, di proprietà privata per chiudere la strada penalizzando i tanti cittadini che dal centro città potevano facilmente ed in poco tempo raggiungere la parte alta della città con tutti i suoi ospedali . Ovviamente in qualsiasi paese civile all’ordinanza di chiusura avrebbero fatto seguito lavori di ripristino. Solo che il privato in questione si rifiuta, e inizia un lentissimo contenzioso con il Comune di Napoli, mai risolto. Nel frattempo la strada resta chiusa, nonostante ogni tanto la questione venga posta con forza dai cittadini, e ci siano diversi sopralluoghi di politici e tecnici del comune. Mentre la discussione dilaga , intanto lo scudillo diventa   terra di nessuno e discarica illegale per tutti .

La Sanità , invece , come ai tempi di Murat ,  viene ancora una volta tagliata fuori da Napoli, mentre il traffico sui Colli Aminei si ingorga sempre di più . Oggi con la chiusura del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Gennaro i cittadini della Sanità vivono un disagio fortissimo: in caso di interventi le ambulanze restano bloccate per molto tempo nel quartiere e sono costrette a passare per il traffico di Via Foria. Aprendo lo Scudillo potrebbero invece arrivare in pochi minuti in piena zona ospedaliera;

L’imponente sepolcro monumentale della ” Connocchia ” dopo essere ridotta a stalla, venne poi distrutto come detto nel 1965   durante gli sbancamenti finalizzati alla realizzazione di un progetto di lottizzazione dell’area , poi non portato a termine. Il processo penale che ne seguì si concluse peraltro con l’assoluzione del costruttore, anche perché il monumento non era mai stato sottoposto al vincolo archeologico.

COSE DI NAPOLI !!!!!

Si suppone che il mausoleo fosse adiacente ad una villa, oppure che si trovasse lì in conformità alle tradizioni sepolcrali romane di costruire tombe lungo le principali vie di transito extraurbano (la salita dello Scudillo probabilmente era già in uso in età antica).

Napoli dalla Conocchia

La denominazione Conocchia (dal latino medievale conuccla = rocca per filare) fu utilizzata nel Medioevo per indicare una certa tipologia di mausolei, quella a cuspide, la cui forma affusolata ricordava quella dello strumento tessile. Il mausoleo La Conocchia aveva una base cubica nella quale si aprivano delle nicchie e sulla quale si poggiava il corpo cilindrico a cuspide .

Nel Medioevo, il mausoleo napoletano diede il nome alla zona, che si disse prima “ad illa Conuccla” e poi la Conocchia, toponimo che tuttora indica un’area limitrofa.

Durante l’epoca del  Grand Tour  il mausoleo della Conocchia comparve in numerose guide turistiche e pitture ,e  fu al centro di  numerosi studi archeologici. comparendo per decenni  in vari libri sull’architettura romana sepolcrale.

Quella di Salita Scudillo è davvero una vicenda incredibile, che ogni napoletano dovrebbe conoscere. Perché la dice lunga sulla storia e sulla bellezza di questa città, ma anche sull’inefficienza delle amministrazioni e sul poco amore che alcuni hanno per il territorio in cui vivono.

 

  • 9870
  • 1