A nord di Napoli si estende la Campania Felix (cioe fortunata) degli antichi greco -romani perchè i copiosi frutti di questo territorio allietarono le loro mense.
Una pianura immensa, ribattezzata in seguito Terra di Lavoro, con Caserta come capitale dove gli iniziali luoghi scelti come territorio di caccia sono stati in seguito trasformati, rivalutati e valorizzati in vere e proprie aziende agricole specializzate.

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San Leucio, Caserta

Della così detta “terra di lavoro”, faceva parte un gruppo di 22 siti borbonici: la reggia di Carditello, Palazzo Reale di Napoli, Reggia di Capodimonte, Tenuta degli Astroni, Villa d’Elboeuf, Reggia di Portici, Villa Favorita, Palazzo d’Avalos nell’isola di Procida, lago di Agnano, Licola, Capriati a Volturno, Cardito, Reale tenuta di Carditello, Reale tenuta di Persano, Fusaro di Maddaloni, Selva di Caiazzo, Sant’Arcangelo, Reggia di Caserta, San Leucio, Casino del Fusaro, Casino di Quisisana, Mondragone e Demanio di Calvi.

Questi siti non erano solo semplici luoghi per lo svago (soprattutto per la caccia) della famiglia reale borbonica e della sua corte, poiché, in alcuni casi costituivano vere e proprie aziende, espressione di imprenditoria ispirata dalle idee illuministiche in voga in quei tempi. Si citano per esempio gli allevamenti della Fagianeria di Caiazzo, la produzione della seta a San Leucio, la pesca al Fusaro, gli allevamenti della Tenuta di Persano e del Demanio di Calvi  e La Reale Tenuta di Carditello detta anche Reggia di Carditello, dove si coltivava grano e legumi e si allevavano pregiate razze di cavalli e bovini.

La famiglia reale dei Borboni in questo luogo vi creò un importante allevamento di bufali e vi insediò anche un caseificio che portò ad una vera e propria prima industrializzazione della mozzarella di bufala.

La Reggia, oltre a costituire un sito Reale, fu uno dei primi esempi in Europa di zona agricola industrializzata, ospitando all’interno vere a proprie aziende, come la “Reale industria della pagliata delle bufale”:
Carlo di Borbone fu un sovrano illuminato che cercò di modernizzare lo stato, favorendo tra l’altro, la creazione di grandi manifatture come le tappezzerie di San Carlo alle Mortelle e la Reale Fabbrica di Porcellane di Capodimonte.
Anche a Capodimonte si produceva mozzarella. Nel Real sito di Capodimonte si trovava una “vaccheria Reale” che produceva i latticini di bufala mentre in tutte le zone di confine della città di Napoli, come gli antichi casali di Ancarano, Piscinola, e i Camaldoli oltre alle bufale erano collocate varie tenute di vacche e capre, che offrivano alla popolazione della capitale un servizio per i tempi unico in Europa di distribuzione giornaliera di latte fresco.

Da documenti storici leggiamo:
Gli animali sono tenuti ed alimentati in stalle, si pascolano ogni giorno nelle circostanze di Napoli, e massime sopra i Camaldoli ed in luoghi ove ci ha selve o luogo incolto. Dopo tramontato il sole si riconducono in Napoli, e quivi si dividono in molte branche, delle quali prendendo ciascuna diverse strade, percorrono i diversi quartieri della capitale, e col suono di campana danno segno a coloro che hanno bisogno di latte. Di grandissimo utilità agli abitanti di Napoli, i quali ricevono latte fresco premuto in loro presenza, e non adulterato o guasto. Questa industria è tutta particolare del nostro paese, non essendovi in altra parte d’Europa

Dalla metà del 1700 fino all’unità d’Italia, la produzione dei prodotti bufalini nel meridione d’Italia corrispondeva ad uno dei primi esempi di industria casearia d’Europa, ed era in continua crescita rientrando nei progetti illuministici d’Industrializzazione Borbonica.

Da questo momento in poi il consumo di mozzarella inizia a diffondersi grazie soprattutto all’avvento della ferrovia, quando da Eboli e Battipaglia partiranno treni carichi di mozzarelle verso tutta l’Italia.
I prodotti erano ignoti al resto d’Italia e tanta era l’ignoranza riguardo i prodotti di bufala nel resto d’Italia che riguardo il caciocavallo: “Il Gorani (Giuseppe Gorani, conte e scrittore Milanese, del 1740), alle favole del suo viaggio alle corti meridionali, associa errori ridicoli. Egli  dice che tal formaggio si fa dal latte di cavalla

Con l’unità d’Italia ormai avvenuta, il quadro cambiò notevolmente giacchè il numero dei capi fu ridotto a poco più di un terzo come conseguenza diretta ed immediata delle bonifiche che interessarono le piane intorno al Volturno, recuperando terre all’agricoltura, ma riducendo drasticamente quelle idonee all’habitat bufalino.
Dal 1861 al 1871, come tutta l’industria meridionale dell’epoca, anche la produzione della mozzarella di bufala si fermò e molte pagliare vennero dismesse, ed abbandonate.

Carditello, la Campania e l’Italia persero purtroppo uno dei primi esempi in Europa d’industrializzazione casearia, e la produzione ebbe un lento declino fino agli anni 50 e 60 del novecento, che portò l’industria bufalina quasi a scomparire.
Il processo di industrializzazione dei Borboni e la loro crescita economica era molto temuto e invidiato dal resto dell’Europa e in primis da Francia e Inghilterra.

Prima della Unione dell’Italia d’altronde alla rassegna internazionale di Parigi del 1856 l’industria borbonica ottenne il premio per il terzo posto in europa come sviluppo industriale dopo Inghilterra e Francia.

Nel 1861, al momento dell’unità d’Italia vi erano solo tre fabbriche in Italia in grado di produrre locomotive: Pietrarsa, Guppy ed Ansaldo e due di queste erano al sud.

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Museo Nazionale ferroviario di Pietrarsa

Il gruppo Ansaldo aveva 480 operai contro i 1000 del gruppo Pietrarsa e la Fiat non esisteva ancora nascendo solo 57 anni dopo.

L’opificio Reale di Pietrarsa è al momento dell’unita’ la piu grande fabbrica d’Italia, l’unica in grado di fabbricare motrici navali e il regno delle due Sicilie era l’unico stato della penisola a non doversi avvalere di macchinisti inglesi per la loro costruzione (ciò dava molto fastidio all’Inghilterra) . Venivano costruiti vagoni e locomotive.

Il cantiere navale di Castellammare di Stabia con 1800 operai era il primo del Mediterraneo per grandezza e faceva invidia a parecchie regioni d’Europa (Nei due grandi cantieri arsenali- navali del golfo lavoravano 3400 operai su 6650 del ramo in tutta l’ Italia ).

Da questo cantiere sono uscite numerose grandi navi compresa la Amerigo Vespucci, la quale ancora oggi desta stupore e meraviglia in tutto il mondo.

La Macry ed Henry aveva 600 operai e produceva strutture metalliche per le navi militari e per gli ingranaggi.
La Real Fonderia ubicata in Castel Nuovo fabbricava cannoni, fornaci ed altri utensili di tipo industriale e presero ad operare 150 addetti di alta specializzazione. Era inoltre presente una scuola per carpentieri, fonditori, ottonai e macchinisti.

Sul ponte della Maddalena, fondata da un inglese (notate quanti interessi avevano sul regno gli inglesi) era presente un opificio metalmeccanico chiamato Guppy con 600 operai; Si producevano macchine pneumatiche, strumenti ottici, utensili chirurgici, orologi e armi. Questo gruppo tra l’altro fornì il supporto per la prima illuminazione a gas della capitale.
Napoli era specializzata nella produzione di guanti, 500.000 dozzine di guanti l’anno contro le 100.000 del nord e noti come “con lavorazione d’Aragona” ( il nome ad uno dei più’ popolari quartieri di Napoli) erano reputati i migliori d’Europa.

Nel cuore della montagna calabra, attorno a Serra San Bruno, sorgeva lo stabilimento di Mongiana e più tardi venne costruita Ferdinandea. Oggi Mongiana è un piccolo borgo con pochi abitanti e Ferdinandea è spopolata.
Queste fonderie furono smantellate nel post-unità poichè situate in posti poco accessibili e lontano dal mare, cioè dalla maggiore via di trasporto dell’epoca. Ovviamente una volta smontate vennero riaperte al Nord.

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Reale opificio borbonico di Pietrarsa

Immaginate quanto è costato in termini occupazionale, sociale, territoriale, di sviluppo complessivo e di emigrazione massiccia.

Quando venne proclamato il Regno d’Italia nel 1861 gli addetti alla ferriera di Mongiana erano 762 unita’ e si produceva ferro e ghisa di ottima qualità. Da Mongiana usci’ il ferro forgiato per produrre le catena che pesavano 180 tonnellate, per i due magnifici ponti sul Garigliano e sul Calore.
Sempre a Morgiana, accanto alla fabbrica, sorse anche una fabbrica di armi e altre ferriere sorsero a Bivonzi e Pazzano.

Nel settore della lavorazione del metallo si specializzarono aziende di Abruzzo e molti dei suio coltelli e rasoi  erano più costosi ma anche più belli di quelli francesi ed inglesi e fortemente ricercati.
La chimica industriale del’ 800 era quasi tutta basata sullo zolfo, specialmente l’industria degli esplodenti per le armi. Il sud disponeva dell’importantissima produzione dello zolfo siciliano che nella prima metà dell’800 copriva il 90% della produzione mondiale.

Appare pertanto chiara l’enorme valore strategico di tale produzione ed il conseguente atteggiamento dell’Inghilterra nella questione degli solfi siciliani.
Gli inglesi odiavano il progresso economico del regno delle due Sicilie ed erano molto interessati alle sue miniere di zolfo in Sicilia, pertanto furono ben lieti di aiutare con forti finanziamenti ( massonici ) la spedizione dei mille pur di promuovere la fine del regno Borbonico e liberarsi cosi di un soggetto politico-economico divenuto scomodo concorrente.

Garibaldi quindi non conquistò un bel nulla, tantomeno non sconfisse il potente esercito borbonico. Gli alti ufficiali si misero d’accordo con Cavour tradendo il loro re per soldi e promozioni ( prime prove di corruzione su cui poi hanno amministrato l’Italia negli anni ).

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Belvedere di San Leucio
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Castellammare di Stabia antica
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Real sito di Carditello
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Real fabbrica d’armi di Torre Annunziata
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Miniere di zolfo in Sicilia
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