Il termine normanno “north man” significa ” uomo del nord“.

I normanni erano gente di stirpe germanica ed erano coraggiosi guerrieri ed intrepidi marinai. Dovunque andavano razziavano e depredavano così come avvenne nella regione francese che da loro prese il nome di Normandia, dove si stabilirono.
Il loro desiderio di conquista li portò ad impossessarsi di territori in tutta Europa e addirittura a cingere di assedio Costantinopoli.
La Normandia ad un certo punto si era sovrappopolata per cui i normanni iniziarono l’emigrazione verso l’Italia Meridionale.
Spinti dalla loro natura avventurosa veleggiavano nel mediterraneo offrendo il loro braccio mercenario a chiunque lo richiedeva.

In particolare si faceva valere un gruppo di guerrieri mercenari con a capo Rainulfo di Drangot; questi mentre si trovava di passaggio a Gaeta fu contattato dal duca di Napoli Sergio IV che gli chiese il suo aiuto per riconquistare la città di Napoli, momentaneamente occupata dai longobardi.

Nel 1029 il principe longobardo Pandolfo IV, signore di Capua per vendicarsi del duca di Napoli che aveva dato asilo ad un suo rivale, aveva infatti occupato la città di Napoli e costretto il duca Sergio IV a fuggire per Gaeta.
Sergio una volta contrattato l’aiuto di Rainulfo di Drangot riusci, grazie al normanno ed ai suoi guerrieri, a riconquistare la città di Napoli.

In compenso dell’aiuto Rainulfo ebbe da Sergio la povera borgata di Aversa ed il titolo di Conte. Essendo a metà strada tra Napoli e Capua, la borgata occupata dai normanni poteva costituire nelle intenzioni di Sergio, un valido baluardo tra lui e il suo nemico.

I calcoli di Sergio però si rivelarono ben presto inesatti. Rainulfo, dopo aver circondato Aversa di fossati ed averla munita di mura e torri facendone una vera e propria fortezza, incominciò a chiamare altri compatrioti a popolarla allettandoli con promesse di facili conquiste e decantando l’amenità dei luoghi.

La povera borgata di Aversa divenne in pochi anni una città forte ed un’importante base militare strategica da cui i normanni furono in grado di sottomettere tutto il meridione dando così vita al Regno di Sicilia.

All’epoca il meridione era diviso tra più popoli: gli arabi in Sicilia, i bizantini in Puglia e Calabria, i longobardi in Benevento, Capua e Salerno.
Napoli, Sorrento, Gaeta, Amalfi erano dei Ducati autonomi e lo Stato Pontificio era indipendente.

Aversa divenne in poco tempo il centro dell’espansione normanna che dilagò in Campania, Lucania, Capitanata e Sicilia, spazzando via tutte le Signorie locali ed in poco più di due decenni, nel 1530, i nuovi venuti erano padroni di quasi tutta l’Italia Meridionale che per la prima volta era unita sotto un solo sovrano.

Questo fu possibile grazie anche alle rivalità esistente tra i principi di Capua, Salerno e Benevento i quali invece di riunire le proprie forze contro un comune nemico si logoravano con lotte inutili tra loro.
Per le terre soggette all’Impero d’Oriente fu ancora più facile. Le località erano presiedute da poche forze bizantine ed i nativi erano poco disposti a combattere per conservare le terre ad un dominatore piuttosto che ad un altro.

A provarlo fu Napoli che gelosa della propria autonomia fu l’ultima a capitolare quando già tutto il meridione era stato assoggettato ed il regno già proclamato. Napoli resistette infatti ben 60 anni a lunghi e numerosi assedi.

Tutta la regione Campana fu divisa in feudi, portando una nuova organizzazione che favorì l’incremento del commercio e dell’agricoltura con nuove tecniche di coltivazione.
La cultura, le arti e la scienza ebbero un impulso straordinario costruendo a Salerno la celebre Scuola Medica famosa in tutta Europa.

Durante il regno normanno, la città di Napoli vide innalzarsi sull’isolotto di Megaride il Castel dell’Ovo e nei pressi della porta che conduceva a Capua, il più antico dei castelli napoletani (Castel Capuano) che usato come fortezza, divenne la residenza dei reali normanni.

Chi si distinse durante la conquista normanna fu la famiglia degli Altavilla (Tancredi con i suoi 10 figli) ed in modo particolare Roberto detto  il Guiscardo” (il furbo) che conquistò PugIia e Calabria mentre il fratello Ruggero invadendo la Sicilia nel 1060 e nel 1090 scacciava da tutta l’isola i musulmani che vi avevano dominato per 240 anni.

L’opera di Roberto e Ruggero di Altavilla fu poi conclusa dal figlio di quest’ultimo, Ruggero II, il quale inserendosi nella lotta per il potere papale riuscì ad avere l’investitura del regno di Sicilia. Il regno comprendeva la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Capitanata, la Campania, la Lucania e dal 1140 anche l’Abruzzo. La capitale era Palermo.

Ad incoronare Ruggero II, re del regno di Sicilia fu l’antipapa Anacleto II, sostenuto dal normanno contro il papa Innocenzo II.
Nel 1137 l’ultimo duca di Napoli dovette cedere a Ruggero II e riconoscere la sua autorità. Tuttavia la città non ebbe a dolersi della sua sottomissione perché il conquistatore non dimostrò rancore per la resistenza oppostagli per tanto tempo.

L’amministrazione della città restò autonoma con funzionari locali; vi risiedeva solo un rappresentante regio (il compalazzo) per l’amministrazione della giustizia e delle rendite demaniali.

Il normanno inviò suo figlio Anfuso a prendere possesso di Napoli quale principe di Capua e Duca di Napoli (morto poi prematuramente 5 anni dopo). Venne a Napoli una sola volta (nel 1140) e fu accolto trionfalmente da tutti.
Ruggero morì a 61 anni e sul trono del Regno di Sicilia restò il figlio terzogenito Guglielmo che già da qualche anno era stato associato al potere dal padre, stanco del lungo guerreggiare e depresso per la prematura morte dei suoi primi due figli Anfuso e Ruggero.

Guglielmo I è passato alla storia come “il malo” , forse più per la sua avarizia ma anche forse per la violenza con cui aveva risolto le rivolte dei mediani e sopratutto dei nobili.

Il re aveva infatti accentrato nelle sue mani tutti i poteri, sottraendo al clero e alla nobiltà molti poteri e privilegi e questo aveva difatti generato numerose e continue rivolte da lui sedate con durezza e crudeltà. Il suo regno durò 12 anni e fu appunto contrassegnata da guerre e ribellioni che egli riuscì comunque a ben gestire, districandosi sia con abilita’ politica che con le armi.

Durante il suo regno dovette fronteggiare oltre che i potenti nobili, sia l’Imperatore di Bisanzio che addirittura il papa.
L’Imperatore di Bisanzio invase la Puglia per riprendersi parte dei territori persi ed egli grazie ad abili doti diplomatiche riuscì a concludere una pace, trovando un accordo dove in cambio delle conquiste asiatiche ed africane fatte da suo padre (lontane dal suo diretto controllo) riaveva le città pugliesi senza disgregare in questo modo il suo regno.

Il papa Adriano IV invece poichè vedeva con sempre più apprensione l’accrescersi della potenza normanna, incoraggiò Federico Barbarossa, Imperatore del Sacro Romano Impero ad invadere la Sicilia ed egli stesso, alla testa delle sue milizie, occupò Benevento.

Guglielmo allora assali’ nella città di Benevento Adriano IV, e dopo averlo sconfitto lo fece prigioniero costringendolo alla pace.

Diversi baroni che volevano ribellarsi del vassallaggio approfittando della situazione innalzarono la bandiera della ribellione e in una congiura ordita a Palermo fu immolato addirittura il figlio ancora giovane del re, Ruggero, che i congiurati volevano porre sul trono al posto del padre. Il tutto fu sedato con l’uso delle armi con durezza e talvolta con crudeltà.

Unico e temibile avversario rimase il Barbarossa che comunque al momento non destava eccessive preoccupazione in quanto impegnato a rimettere ordine nelle sue terre.

Nel 1156, in visita a Napoli diede disposizioni per la trasformazione di un bastione che cavalcava le mura nella parte orientale della città: sorgeva in tal modo Castel Capuano, così chiamato perché sul fianco si apriva la porta che menava a Capua.
Diede in quella stessa circostanza disposizioni per l’ampliamento ed il consolidamento di una rocca esistente sull’isolotto del Salvatore. Nasceva così anche Castel dell’Ovo che dovette il suo nome alla forma ovale dello scoglio sul quale si elevava.

Nel 1145 ad appena 45 anni Guglielmo il Malo morì, lasciando erede il figlio secondogenito anche lui di nome Guglielmo (detto il “Buono“).

Guglielmo II sposo’ Giovanna Plantagenete, figlia di Enrico II d’Inghilterra e sorella di Riccardo cuor di Leone, alla quale Napoli fece grandi festeggiamenti quando giunse scortata da 25 galee.
Il nuovo sovrano per risolvere la grave minaccia di Federico Barbarossa che gravava sul regno, concluse con questo una pace, accettando la condizione di far sposare la figlia di Ruggero II, Costanza (sua zia, sorella del padre) con Enrico di Svevia, figlio ed erede dell’Imperatore Barbarossa.

Quando furono celebrate le nozze a Milano nel 1186, Enrico aveva solo 20 anni e Costanza 32 (a quell’epoca considerata età tarda per una donna) ma l’importante era che per il futuro imperatore del Sacro Romano Impero diventava, per diritto di matrimonio, anche erede di Guglielmo II che intanto non aveva avuto figli.

E’ un momento importante della storia poichè da questo matrimonio nascerà uno dei più grandi uomini della storia soprannominato “Stupor mundi “, cioè Federico II di Svevia (della serie gallina vecchia fà buon brodo).

Guglielmo II, morì a 35 anni nel 1189 ed alla sua morte si scatenò un vero putiferio in quanto a reclamare il Regno di Sicilia furono ben tre personaggi:
1) Riccardo Cuor di Leone , che infine si accontentò di una forte somma d’oro.
2) Enrico di Svevia, forte dei suoi diritti matrimoniali
3) Tancredi di Lecce, figlio naturale di Ruggero, duca di Puglia (il figlio primogenito di Ruggero II, morto prematuramente) che l’aveva procreato con la figlia del Conte di Lecce. Quindi era di fatto cugino di Guglielmo II e reclamava il regno come suo legittimo erede.

Il papa Clemente III che temeva l’unione del Regno di Sicilia con i territori italiani del Sacro Romano Impero avrebbe portato al soffocamento e forse all’annientamento dello stato della chiesa sostenne Tancredi, il quale, appoggiato da un forte partito locale di nobili normanni, fu acclamato re nel 1189 nello stesso mese in cui era morto Guglielmo II.
Il re eletto si preparò così a sostenere l’assalto certo di Enrico di Svevia.

Tancredi da uomo intelligente ed accorto, comprendendo che per sostenere con successo la lotta contro il più forte nemico avrebbe avuto bisogno della fedeltà dei baroni e della partecipazione attiva della città, fu sin da subito prodigo di concessioni e privilegi rari ai tempi del Medioevo: nessun pagamento di pedaggio era più dovuto alle porte della città, e al passaggio di fiumi e porti fu abolito il diritto regio sulla vita e sui beni di tutti i sudditi e cosa non da poco fu abolito il servizio obbligatorio sulle navi che da quel momento doveva essere solo volontario e a pagamento.

Fu addirittura abolito la tassa sul mantenimento delle mura che era dolo a carico delle finanze regie.
Tutte queste riforme furono ovviamente ben accette da tutto il popolo e dalla stessa nobiltà. Esse portarono un immediato benessere diffuso che vide subito rifiorire il commercio tant’e che il porto di Napoli divenne il più’ importante del Mediterraneo e la città fu autorizzata addirittura a coniare monete.

Nel momento del bisogno Tancredi fu quindi ben ripagato dai sudditi per cui quando la città fu stretta d’assedio per terra e per mare (1191) da Enrico VI, rafforzato dai Pisani e genovesi (nemici tradizionali dei normanni per la rivalità marittima) questa seppe ben resistere ai ripetuti assalti e dopo tre mesi, colpiti da una forte epidemia di peste, che decimò le loro fila, gli imperiali tolsero il campo.

Purtroppo solo tre anni dopo Tancredi moriva, lasciando sul trono un fanciullo di soli 8 anni, sotto la tutela della madre, la regina Sibilla di Acerra.

Nel frattempo Enrico di Svevia era succeduto al padre Federico di Hobenstaufen detto il Barbarossa (morto annegato nel guadare il fiume Selef in Siria durante la terza guerra crociata alla quale partecipava) ed era stato nominato nuovo Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Enrico VI.

Ovviamente Enrico VI approfittò subito della ghiotta occasione e sempre con l’aiuto delle flotte pisane e genovesi assaltò di nuovo Napoli per mare e per terra.
La città priva di condottieri e senza guida non seppe e non potè resistere alle soverchianti forze sveve-pisani -genovesi e facilmente si arrese senza però evitare, nonostante l’atto di sottomissione, una dura punizione per la resistenza opposta 4 anni prima.

L’Imperatore abolì subito tutti i privilegi concessi da Tancredi e ordinò l’abbattimento delle mura della città (tale offesa i napoletani non l’avrebbero mai più dimenticata ne perdonata a tutti gli Hobenstaufen).

Durante la conquista del regno Enrico VI commise molte atrocità per cui passò alla storia con l’appellativo di “crudele” e mai nome fu così appropriato.

Appena giunto a Palermo fece esumare il cadavere di Tancredi, morto dieci mesi prima, per fargli togliere la corona e le insegne reali con le quali era stato seppellito.

Il giovane fanciullo, erede di Guglielmo, fu ovviamente spodestato e nonostante la sua sottomissione fu imprigionato e accecato. Poi insieme alla madre regina e le sue due sorelle, inviato in Germania (di loro non si seppe più nulla).

I sostenitori normanni furono tutti perseguitati, imprigionati, accecati, decapitati, arsi vivi ed i loro beni confiscati. Interi villaggi e borgate furono incendiati mentre alcune città furono sottoposta a stragi e saccheggi (Catania subì la sorte peggiore).

Nel giorno della natività del Signore, centinaia di roghi si elevarono così ad illuminare sinistramente il trionfo dello Svevo che a Palermo cingeva intanto la corona del Regno di Sicilia.

Il 26 dicembre, giorno successivo alla sua incoronazione,  sua moglie Costanza d’Altavilla durante il viaggio per raggiungere il marito, giunta a Jesi, nelle Marche, dava alla luce un maschio.

Questo bambino che per 50 anni sarebbe stato il protagonista della storia d’Europa e che i posteri avrebbero chiamato “lo stupore del mondo ” ebbe lo stesso nome del suo grande avo: Federico.

Enrico VI fu un re duro e assetato di potere ma fortunatamente mori presto a 37 anni a Messina dove si ammalò di una grave forma di dissenteria e il suo unico merito e’ stato forse solo quello di aver generato uno dei più grandi fra gli uomini che la storia ricordi: FEDERICO DI SVEVIA.

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