E’ una fontana del 500 in marmo bianco , ubicata nel centro antico di Napoli addossata alla Chiesa di Santa Caterina della Spina Corona in Via Giuseppina Guacci Nobile (vicino Piazza Nicola Amore). Strada questa, che inizia dalla Piazza Portanova (alle spalle del Corso Umberto) e termina sul fianco destro dell’Università. Essa si chiama della Sirena o di Spina Corona, dal nome della chiesa che si riteneva conservasse una spina della corona di Gesù,

La fontana , totalmente in stile barocco, consiste in una sirena alata e nuda, ritta tra due monti che versa, in una vasca rettangolare e sottostante, l’acqua che le scaturisce dalle mammelle (zizze in napoletano) sul Vesuvio lambito da rivoli  di lava ed un violino. Al di sopra di esse  si trovava una epigrafe in marmo , ormai perduta , su cui era incisa la frase” Dum Vesevi Syerena Incendia Mulcet ”  (mentre la sirena mitiga l’ardore del Vesuvio ). Una esortazione  alla protezione divina della città contro la furia del fuoco vulcanico .  Sembra, infatti, che i napoletani invocassero spesso la dea Sirena per placare l’ira funesta del Vesuvio, particolarmente attivo in quegli anni.

Non esistono dati storici sulle origini di questa fontana . Da  alcuni storici documenti sappiamo che esisteva già in epoca aragonese e secondo alcuni storici  potrebbe  anche risalire ad un’epoca anteriore.  Qualcuno la colloca nel 1139, periodo in cui vi furono due lunghe eruzioni del Vesuvio, che forse esortarono a costruirla, consacrandola alla protezione divina della città contro la furia del fuoco vulcanico. Ma è più attendibile ritenere , come ritroviamo in un inventario del 1498 , che assume la forma attuale nel 1540, ad opera dell’architetto Giovanni da Nola, su richiesta del viceré di Carlo V, Pedro da Toledo che  fece aggiungere alla fontana tre stemmi alla sirena alata nell’atto di spremere le sue mammelle come attestato della presenza di Carlo V.

La fontana rappresenterebbe la sirena Partenope intenta a fermare l’eruzione del Vesuvio; il soggetto principale è rappresentato infatti dalla sirena (icona mitologica di Napoli) che appare  in procinto di spegnere le fiamme del vulcano Vesuvio  con l’acqua che le sgorga dai seni. La simbolica scena pone l’attenzione sulla sirena come autentica protettrice della città , poichè con il  latte versato dal suo seno spegne le minacciose fiamme del Vesuvio alla sua destra e dalla parte opposta irrora uno strumento musicale ai suoi piedi , ossia asseconda la vena musicale dei partenopei suoi figli. 

La fontana attualmente visibile è solo una copia dell’originale attribuita allo scultore Giovanni Merliano da Nola , che la restaurò nel 1540 per volere del vicerè don Pedro di Toledo che gli fece apporre tre  stemmai: quello a scacchi del vicerè , quello rosso e dorato della città ed infine quello più importante di Carlo V posto tra le colonne d’Ercole . Rimossa   successivamente  durante i lavori di risanamento del centro storico, la struttura originale della fontana viene più volte restaurata e infine conservata nel Museo di San Martino . La Sirena oggi visibile al pubblico è infatti solo una identica copia, riprodotta  nel 1931 dallo scultore Achille D’Orsi, e come la maggior parte delle poche fontane presenti nella nostra città ( la maggior parte se le sono portate vie in Spagna a suo tempo i vari vicerè ) è una fontana senz’acqua, perché niente esce più dalle Zizze di Partenope. La sirena non versa più niente nella vasca perchè purtroppo le sue mammelle si sono inaridite ma non solo, le delicate forme sono irriconoscibili, guastate ed annerite, come tutto il resto della fontana, dall’incuria e dal tempo.

La fontana  tuttavia , nonostante il continuo disinteresse della sovraintendenza nei confronti dei nostri antichi monumenti ,  continua a rappresentare un aspetto pittoresco della città e dell’ironia dei napoletani che con la loro allegria e fantasia  hanno soprannominato e sempre chiamato l’opera  “la fontana delle Zizze” ,non riferendosi solo alle zizze come parte anatomica femminile, ma anche per esprimere con questo termine un augurio di salute, prosperità, benessere e felicità.

 

 

ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA
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